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7 novembre 2017 - 18 Cheshwan 5778
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NARRATIVA

Europa, il romanzo nella casa comune

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img headerRobert Menasse / DIE HAUPSTADT / Suhrkamp

E chi lo nega, c’è la crisi dei nuovi nazionalismi e l’avanzata dei populismi, c’è la Brexit, la lacerazione catalana, la ferita del terrorismo. Ma l’Europa va avanti. E continuerà la sua corsa fino a realizzare il suo più alto, ancora solo timidamente confessato ideale: quello di superare gli Stati nazionali e i loro venefici influssi, quello di essere la casa di tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo e quello di essere il territorio di incontro di tutte le identità e di tutte le minoranze. A dirlo chiaro non è Emmanuel Macron, e nemmeno Angela Merkel. Ma un romanzo di oltre 500 pagine che sarà il caso letterario del 2018 e che porta la firma di un ebreo viennese. Con Die Hauptstadt (La capitale) lo scrittore austriaco Robert Menasse ha conquistato di slancio l’ambito Deutscher Buch Preis, il premio che il consorzio degli editori e dei librai tedeschi assegnano al miglior romanzo dell’anno in occasione della Fiera del Libro di Francoforte. Ha anche scritto il primo grande romanzo che mette l’Europa che cresce sotto ai nostri occhi al centro di un’opera letteraria. “Il libro – spiega Sabine Peschel di Deutsche Welle - è al tempo stesso una satira, un giallo e un’analisi, e inoltre una requisitoria per un’Europa al di là degli egoismi nazionali”. La regola del gioco sta affissa sulla scrivania di Menasse da alcuni anni.

Guido Vitale, Pagine Ebraiche, novembre 2017

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LA FIERA DEL LIBRO A FRANCOFORTE

La Buchmesse dice basta ai populismi

img headerSono state Monika Grutters e Françoise Nyssen, ministri della cultura di Germania e Francia, paese ospite dell'edizione 2017 della Fiera internazionale del libro di Francoforte, a raccontare insieme l'incontro che forse più di tutti riassume lo spirito dell'ultima edizione della Buchmesse: "Abbiamo una enorme voglia di ripartire, di riprendere il discorso sull'Europa partendo dalla cultura. Ci sono alcuni principi che vogliamo portare avanti con forza e con azioni concrete: siamo convinte che cultura, conoscenza e condivisione siano veri pilastri, mattoni su cui costruire, insieme". Un'affermazione che è arrivata alla fine di un incontro informale organizzato per incontrare i loro omologhi di tutta Europa e a cui hanno partecipato i ministri della cultura di Belgio, Grecia, Lussemburgo, Croazia, Romania e Slovenia, e i rappresentanti di Spagna ed Estonia. Alla riunione era presente anche Petra Kammerevert, responsabile per il Parlamento Europeo della Commissione Cultura e Istruzione, che ha accolto con enorme soddisfazione l’iniziativa. "Stare insieme per un paio d'ore a discutere in questa maniera è un'opportunità rara, e sono molto felice sia successo qui, luogo per eccellenza dedicato alla cultura in Europa".

Ada Treves, Pagine Ebraiche, novembre 2017 

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ARTE

Rembrandt, ritratti di una comunità

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Steven Nadler / GLI EBREI DI REMBRANDT / Einaudi

Molte sono le opere di Rembrandt con soggetti tratti da episodi biblici e numerosi sono i suoi ritratti di notabili ebrei di Amsterdam, dove egli visse per lungo tempo. Ma quali furono i legami tra il grande artista e la comunità ebraica? Steven Nadler, professore di filosofia statunitense, documenta i rapporti quotidiani tra il pittore e i suoi vicini di casa a Vlooienburg, nel cuore del mondo ebraico di Amsterdam. E ben presto estende il campo d’indagine per descrivere alcune pagine centrali della vita degli ebrei olandesi: dei sefarditi, che in gran numero si erano trasferiti nei tolleranti Paesi Bassi dopo la cacciata dalla Spagna del 1492, e degli ashkenaziti, anch’essi immigrati in gran numero dall’Europa continentale a seguito della guerra dei trent’anni.
Un contesto storico molto ben conosciuto dall’autore, che è un eminente studioso di Spinoza, il filosofo ebreo sefardita che visse nei Paesi Bassi all’incirca negli stessi anni di Rembrandt.
Scrive Nadler: “All'epoca, il Vlooienburg costituiva il fulcro del mercato artistico e del commercio del legname, nonché il cuore del mondo ebraico di Amsterdam. E Rembrandt stava nel centro esatto di quest'area. Tutte le case immediatamente attigue o che si affacciavano sulla sua, sul lato destro e sinistro della strada, appartenevano a ebrei.

Marco Di Porto

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BIOGRAFIE

Le molte vite
di Primo Levi    

filosofia

L'Angelo della Storia
 

Roberta Mori e Domenico Scarpa (a cura di) / ALBUM PRIMO LEVI / Einaudi

«E la tagliarono in dodici pessi - E il più lungo era lungo così». Pessi, con doppia esse: così bisognava cantare la tragedia di Ferrero Michele «che sua moglie, e da viva, masò». Era l'autunno del 1942, a Milano. I sette ragazzi e ragazze venuti ad abitare in un appartamento in via San Martino erano tutti ebrei (notare la dicitura «di razza ebraica» che sporge nel documento d'identità), e tutti venivano da Torino. Le canzoni che cantavano di sera le avevano imparate da amici valdesi; e il dottore in chimica pura Levi Primo, di anni ventitré, tecnico nelle industrie farmaceutiche Wander, aveva l'incarico di mimare il dettaglio più truce di quella storia Guardiamocelo un po' perbene, nella caricatura disegnata da Eugenio Gentili Tedeschi. Magrissimo, la chioma frisée, il grugno e l'occhiolino da duro, le dita tese a forbice, un primolevi così non ce lo aspettavamo proprio.

Domenico Scarpa,
Il Sole 24 Ore Domenica, 5 novembre 201
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Hannah Arendt e Walter Benjamin / L'ANGELO DELLA STORIA / Giuntina

Cocci, errori, ingenuità. E uno spiritello maligno, da favola per bambini, che ingarbuglia anche le situazioni più semplici. Nelle pagine, affettuose e appassionate, che Hannah Arendt dedica all'amico Walter Benjamin, questo grande protagonista intellettuale del Novecento risalta in tutta la sua umana inadeguatezza. Sempre pronto a fare la scelta sbagliata, incapace di sbarcare il lunario, nato ricco e ben presto soffocato da affanni economici, Benjamin sogna un'esistenza sicura senza poterla mai ottenere. A non voler capire la vita, si rischia di perderla. A voler perdere la Storia, si rischia di capirla. Sentirsi fuori posto, sempre e comunque, è del resto un destino comune a molti pensatori ebrei tedeschi durante i primi decenni del Novecento. Nati in una casa, quella della cultura germanica, in cui sono ormai ospiti sgraditi, non riescono a rimetter piede nel vecchio, venerabile edificio dell'ebraismo.

Giulio Busi,
Il Sole 24 Ore Domenica, 5 novembre 201
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