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9 novembre 2017 - 20 Cheshvan 5778
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Società

Lo Stato e l’etica contro il gioco d’azzardo

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Cosa farebbe lo Stato italiano senza i proventi del gioco d'azzardo legalizzato? L'Agenzia dei Monopoli ha pubblicato per la prima volta tutti i dati sul gioco legale dal 2006 al 2016: “L'anno scorso gli italiani – ha scritto la giornalista Chiara Brusini - hanno perso in totale 19,48 miliardi (dagli 11,9 di dieci anni prima). Ben 10,48 se li sono mangiati slot e altre macchinette. La spesa per i giochi online è salita del 1184% in soli otto anni. Intanto l'Erario si accontentava di veder salire gli introiti dai 6,7 miliardi del 2006 a 10,5 miliardi”. Il problema maggiore sul fronte sociale, rileva Brusini, oltre alle slot – che in Italia, secondo un provvedimento governativo, devono essere ridotte del 30 per cento entro la fine dell'anno – sono i giochi a distanza: “Quelli, di conseguenza, più pericolosi nell’alimentare la ludopatia. Dal blackjack al texas Hold’em. In soli otto anni (le serie iniziano nel 2008) la raccolta è passata da 242 milioni a 16,9 miliardi. Di cui solo 119 milioni si trasformano in introiti per l’erario. Nel frattempo la spesa, cioè la perdita subita dai giocatori, è salita del 1184%, da 46 a 591 milioni di euro. Da notare che i dati non comprendono il gioco online su hardware basati all’estero”. I giocatori problematici in Italia, secondo i dati della commissione Affari sociali, variano dall’1,3 al 3,8 per cento della popolazione. In termini assoluti si tratta di un gruppo sociale che va dai 750mila ai 2.300.000 italiani adulti.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2017

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MACHSHEVET ISRAEL

Joseph B. Soloveitichik e Yeshayahu Leibowitz: riportare l’halakhah al centro dell'orizzonte

img headerNon sono molti i filosofi e i teologi ebrei che nel corso del Novecento abbiano messo l’halakhah al centro del loro “pensiero ebraico”. Per molti versi è giustificato dire che, al suo culmine, la modernità ebraica ha rimosso l’halakhah dal proprio orizzonte di riflessione: è quasi censurata dagli architetti della riforma, è trascurata dai teorici del sionismo, non è centrale in Buber, resta embrionale in Rosenzweig, viene riassorbita nell’etica da Hermann Cohen e Levinas... Il particolare di Israele è così riassunto nell’universale dell’umano. Tra i pochi a restaurarne la specifica forza cognitiva, oltre che il valore esistenziale, vanno ricordati il rabbino lituano-americano Joseph B. Soloveitchik e il bio-chimico nonché filosofo israeliano Yeshayahu Leibowitz.
Una bella sintesi del loro approccio si trova in Benjamin Gross, traduttore in francese di Nefesh ha-chayyim di Chayyim di Volozihn e di Ish ha-halakhah ossia la principale opera di filosofia halakhica del Rav di Boston: “I due autori [Leibowitz e Soloveitchik] accordano entrambi all’halakhah un posto fondamentale nell’impianto complessivo del giudaismo ed entrambi sono unanimi nel considerare l’halakhah il prodotto dell’opera dei saggi [i chakhamim] del Talmud, che hanno in tal modo dato al giudaismo la sua struttura definitiva. Ora, secondo Leibowitz sono questi saggi che hanno conferito ai testi della Scrittura il loro carattere sacro; al contempo essi hanno fissato dei principi a partire dai quali si sono potute formulare le regole di vita che la comunità ebraica ha accettato come regole di condotta religiosa. Per Leibowitz dunque l’autorità della Scrittura deriva da quella dei saggi dell’halakhah, e di conseguenza quest’ultima è un’opera puramente immanente che riposa sulla speranza di corrispondere alla volontà divina. Secondo Rav Soloveitchik, invece, l’autorità dei saggi ha la sua fonte nella Legge scritta, che cronologicamente precede e giustifica de jure la Legge orale. L’halakhah è l’applicazione della regola scritta e rivelata a situazioni sempre nuove (…) Per entrambi, è vero, l’halakhah si presenta come assiomatica, ma mentre per Leibowitz essa è a posteriori e di natura empirica, per rav Soloveitchik è indipendente dall’evento storico e normativa per rivelazione. Ossia, essa si costruisce a partire da principi normativi a priori”.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI

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Orizzonti   

Le armi di Kim e Assad   

Se le democrazie sono in affanno gli ultimi dittatori in circolazione godono di ottima salute e collaborano fra loro sulle armi di distruzioni di massa. II nordcoreano Kim Jong-un e il siriano Bashar Assad tengono salde le redini dei brutali regimi ereditati dai rispettivi genitori, usano la violenza più efferata contro gli oppositori, disprezzano la vita dei propri cittadini e, secondo almeno due rapporti dell'Onu negli ultimi sei mesi, sono protagonisti di una intensa cooperazione militare sulla proliferazione di armi proibite. A fine agosto è stato consegnato al Consiglio di Sicurezza dell'Onu un documento sul tentativo ripetuto da parte nordcoreana di consegnare al regime di Bashar Assad armi chimiche. Si tratta di due spedizioni che sono state intercettate, contenevano materiale proibito sulla base delle vigenti sanzioni, e vengono attribuite da esperti Onu ai legami fra il super segreto «Syrian Scientific Studies and Research Centre», a cui Assad ha assegnato lo sviluppo di armi non convenzionali, e la società nordcoreana «Korea Mining Development Trading Company», presente in Siria con propri agenti e da otto anni sotto sanzioni.

Maurizio Molinari, La Stampa,
5 novembre 2017


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società 

Buongiorno - Giù la testa   

L'università di Oxford ha risolto il rapporto di lavoro con Tariq Ramadan. Per gli inesperti, Ramadan è un islamologo e teologo di origine egiziana nato a Ginevra nel 1962, e ha perso il posto poiché due donne lo accusano di brutalità e stupro. Insomma, una specie di Harvey Weinstein del mondo accademico con la lieve attenuante, per Weinstein, che lui produceva film a Hollywood, non proprio un centro di spiritualità, e non era titolare di una cattedra nella facoltà di teologia di una delle più famose università del pianeta. Dopodiché solleva un po' di perplessità che Ramadan venga allontanato su un'accusa tutta da dimostrare, ma non quanta ne sollevava l'idea che Ramadan ancora insegnasse a Oxford. Già noto per alcune posizioni ambigue su infibulazione e lapidazione, Ramadan fu mostrato in un video del 2009 in cui definiva l'omosessualità una malattia e uno squilibrio, in cui sosteneva che le donne «devono tenere lo sguardo fisso a terra per strada» e che se usano il profumo non seguono il volere di Allah.




Mattia Feltri, La Stampa, 8 novembre 2017


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