Società – Lo Stato e l’etica contro il gioco d’azzardo

gioco azzardoCosa farebbe lo Stato italiano senza i proventi del gioco d’azzardo legalizzato? L’Agenzia dei Monopoli ha pubblicato per la prima volta tutti i dati sul gioco legale dal 2006 al 2016: “L’anno scorso gli italiani – ha scritto la giornalista Chiara Brusini – hanno perso in totale 19,48 miliardi (dagli 11,9 di dieci anni prima). Ben 10,48 se li sono mangiati slot e altre macchinette. La spesa per i giochi online è salita del 1184% in soli otto anni. Intanto l’Erario si accontentava di veder salire gli introiti dai 6,7 miliardi del 2006 a 10,5 miliardi”. Il problema maggiore sul fronte sociale, rileva Brusini, oltre alle slot – che in Italia, secondo un provvedimento governativo, devono essere ridotte del 30 per cento entro la fine dell’anno – sono i giochi a distanza: “Quelli, di conseguenza, più pericolosi nell’alimentare la ludopatia. Dal blackjack al texas Hold’em. In soli otto anni (le serie iniziano nel 2008) la raccolta è passata da 242 milioni a 16,9 miliardi. Di cui solo 119 milioni si trasformano in introiti per l’erario. Nel frattempo la spesa, cioè la perdita subita dai giocatori, è salita del 1184%, da 46 a 591 milioni di euro. Da notare che i dati non comprendono il gioco online su hardware basati all’estero”. I giocatori problematici in Italia, secondo i dati della commissione Affari sociali, variano dall’1,3 al 3,8 per cento della popolazione. In termini assoluti si tratta di un gruppo sociale che va dai 750mila ai 2.300.000 italiani adulti. Sono considerati così coloro che scommettono frequentemente “investendo anche discrete somme di denaro – si legge nel documento depositato a Montecitorio dell’agenzia della Dogane e dei Monopoli – ma che non hanno ancora sviluppato una vera e propria dipendenza”. Diverso il discorso per i giocatori “patologici”, che in preda a una vera e propria malattia non sono in grado di controllare la necessità di scommettere. “I dati – scrive Marco Sarti su Linkiesta – lasciano sorpresi: sono interessati da questa situazione dai 300mila al milione e 300mila italiani”. Nella tradizione ebraica il gioco d’azzardo è generalmente vietato. “Ci sono delle forme come il lotto che sono tollerate – spiega rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, a Pagine Ebraiche – ma ci sono diversi divieti in merito. Nel Talmud si considera ad esempio il giocatore d’azzardo come inabile a testimoniare perché considerato inaffidabile”. Nell’ebraismo poi si insegna l’importanza di guadagnarsi da vivere facendo qualcosa di utile per il mondo: la scommessa, evidentemente, non rientra in questa categoria. Non che questo abbia evitato che il mondo ebraico fosse – come tutta la società – esposto al problema. “Nota è la storia del rabbino Leone da Modena (1571 – 1648) – ricorda rav Di Segni – che scrisse un’opera a tredici anni riguardo al gioco per poi diventare lui stesso un ludopatico”. Nella versione inglese della traduzione dell’autobiografia di Leone da Modena – uno dei grandi pensatori dell’ebraismo moderno – Howard Adelman riporta le parole di Immanuel Aboab, rabbino italiano contemporaneo di Leone da Modena: “Ho visto in Italia molti luoghi dove i signori si incontrano per le loro ‘dispute di gioco’ (come le chiamano); e ho visto alcune persone perdere e andare sul lastrico a causa dei giochi di carte, dadi e al tavolo… quante case rovinate abbiamo visto, quante fortune perse per l’amore del gioco d’azzardo”. Rav Aboab lo scrisse quattro secoli fa ma il problema, come dimostrano i dati che vedono l’Italia ai primi posti per le perdite al gioco (stime del Global Gaming and Betting Consultancy), non è cambiato. Una delle risposte, quando lotto, macchinette, e così via diventano patologia, è la solidarietà: “la tzedakah, intesa come giustizia sociale, come aiuto della comunità nei confronti di chi è in difficoltà”, spiega il rav. Ma anche la matematica: il Politecnico di Milano ha creato Bet on math, un progetto finanziato dal 5 per mille del Politecnico di Milano che il docente Marco Verani definisce “matematica civile”: “Vogliamo fornire ai ragazzi, ma non solo – raccontava Verani a Linkiesta – un percorso di insegnamento della probabilità per dar loro gli strumenti per interpretare il gioco e l’azzardo da un punto di vista razionale, non magico. Vogliamo far capire loro quanto sia facile perdere e quali siano gli errori logici attraverso cui si finisce per buttare via un sacco di soldi in macchinette e gratta e vinci, fino a diventarne dipendenti”.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2017