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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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La
questione della capitale non è mai stata di facile soluzione ed ha
sempre portato con sé un carico di tensioni internazionali, mancati
riconoscimenti, ipocrisie ed azioni diplomatiche che andrebbero
analizzate una ad una per avere un quadro completo della realtà della
nostra capitale. Prima di ogni cosa dovremmo comprendere
l’atteggiamento degli Stati europei che pur non riconoscendo l’azione
del nostro paese, di fatto, lo accettano ed apprezzano che esso abbia
fatto ogni sforzo per evitare uno spargimento di sangue e per aver
garantito alle minoranze presenti in città una piena autonomia,
privilegi e diritti. Purtroppo la reazione di queste stesse minoranze
non è stata di collaborazione, né di presa di coscienza dell’avvenuta
azione militare che come tale è legittima nella sua essenza di
conquista territoriale e liberazione dei quartieri della città che non
possono non far parte della nostra millenaria capitale.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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Molti
fra i giovani, “abbandonati dalla borghesia, incompresi dal mondo della
cultura ufficiale rientrarono in se stessi e si appassionarono alla
loro azione personale […] ritornarono violentemente alle idee
tradizionali, a quelle che rappresentavano una rispettabile somma di
esperienza storica e riaffermarono energicamente la Nazione come valore
unico, eterno, supremo” (Mario Missiroli, Il fascismo e la crisi
italiana, Bologna 1921, p,17). Si tratta di uno sguardo contemporaneo
estremamente lucido sulle dinamiche che condussero molti giovani negli
anni della crisi 1919-1920 ad abbracciare quello che sarà l’inizio
dello squadrismo fascista. Enzo Sereni nel 1939 ripensava dalla
Palestina alle Origini del Fascismo (La Nuova Italia, Firenze 1998) e
commentava questa valutazione con sguardo disincantato: “In nome della
nazione si chiedeva ora loro di sfaldare il proletariato
‘antinazionale’. Essi accettano il compito come missione, senza spesso
essere coscienti delle forze che li spingono e li guidano”. Quanto
delle tensioni che si vivono oggi nella società italiana e in quelle
europee vede la sua origine in quegli anni? E quanto allarmanti sono i
segnali che ci provengono nel costituirsi di gruppi estremistici che
apertamente si rifanno a quegli anni e a quelle dinamiche ideologiche?
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Hamas vuole l'Intifada
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Giornata
di scontri e tensione ieri in Cisgiordania. Decine di feriti, mentre
Hamas chiama a raccolta i palestinesi reclamando la necessità di una
nuova Intifada. E da Gaza i terroristi islamici al governo della
Striscia lanciano razzi Kassam verso Israele. “Cosa capiterà nelle
prossime ore? È possibile una terza Intifada, dopo quella ‘delle
pietre’ nel 1987 e quella ‘delle bombe’ agli inizi dello scorso
decennio? Tante volte negli ultimi anni israeliani e palestinesi si
sono posti queste domande. E ora, come nel passato, le risposte restano
estremamente variegate. Certamente – scrive il Corriere – le piazze di
Cisgiordania e Gaza sono in subbuglio”.
Molto sollecitati, in queste ore, autori e scrittori israeliani. Assaf
Gavron a Repubblica dice: “II riconoscimento di Gerusalemme capitale da
parte di un presidente razzista e che ha strizzato l’occhio a gruppi
neonazisti come Donald Trump era proprio l’ultima cosa che a noi
israeliani serviva”. Più cauto Amos Oz, che al Corriere dice: “Non ho
ben compreso i motivi che hanno spinto Donald Trump a fare questa
dichiarazione su Gerusalemme. Non capisco se è dettata più da
considerazioni di ordine internazionale, oppure di politica interna
americana”.
Diversa la posizione di Fiamma Nirenstein, che sul Giornale riflette:
“La minaccia nazionale e internazionale sembrano essere le uniche
parola che i palestinesi conoscano. Ma è stata la continua strategia
della minaccia, del sostegno alla delegittimazione e al terrorismo, che
ha finalmente portato alla svolta del riconoscimento di Gerusalemme”.
Mentre Claudio Cerasa, direttore del Foglio, propone di fare di Israele
un “patrimonio dell’umanità”.
Sì alla sospensione cautelare dei gruppi neofascisti. A proporre questa
nuova norma è il ministro della Giustizia Andrea Orlando. “Il giro di
vite è previsto per la prossima seduta del Consiglio dei ministri.
Un’accelerazione per rendere più fluida la normativa che, superando la
tortuosità e le lungaggini del percorso giudiziario-processuale – si
legge su Repubblica – permetta di arrivare in tempi brevi allo
scioglimento dei gruppi neofascisti e neonazisti”.
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Qui roma - l'evento Un libro e la magia della sabbia
per raccontare il coraggio
Anett
scopre che nello scantinato della sua casa si nasconde una famiglia di
ebrei. Anche se scendere le scale buie dello scantinato le fa un po’
paura, è lei a portar loro da mangiare oltre a tutte le cose di cui
hanno bisogno. Così conosce Carl, un bambino come lei, con cui fa
presto amicizia. La famiglia di Carl sta aspettando una notte di luna
piena per raggiungere il porto e fuggire in Svezia, ma le nuvole non
vogliono diradarsi ed è troppo buio per scappare. Finché ad Anett non
viene in mente un’idea geniale per salvare il suo amico Carl dai
soldati nazisti che si stanno avvicinando sempre di più. Una storia di
coraggio e solidarietà, basata su una vicenda realmente accaduta negli
anni delle persecuzioni. E che da un libro di successo, La città che
sussurrò, nel 2015 vincitore del prestigioso Premio Andersen, è
diventata oggi uno spettacolo di musica e sand art.
Tanti educatori, insegnanti, genitori e bambini presenti alla
performance tratta dal libro, scritto da Jennifer Elvgreen e illustrato
per Giuntina da Fabio Santamauro. Protagonisti Simona Gandòla (Sand
Art), Clelia Liguori (voce recitante e canto), Salvatore Di Russo
(clarinetto) e Pietro Bentivenga (fisarmonica).
L’incontro, tra gli eventi di apertura dell’odierna giornata della
fiera Più libri, più liberi in svolgimento a Roma, è stato patrocinato
dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
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qui roma - il libro di veltri Filosofia, viaggio alle origini
Sapienza alienata
è il titolo di un recente saggio del filosofo Giuseppe Veltri,
pubblicato da Aracne e presentato ieri al Centro Bibliografico Tullia
Zevi dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. A parlarne con
l’autore la professoressa di filosofia morale alla Sapienza di Roma
Chiara Adorisio, il professore ordinario di filosofia antica alla
Sapienza Emidio Spinelli, introdotti dalla docente di storia ebraica a
Tor Vergata e coordinatrice del Diploma universitario in studi ebraici
dell’UCEI Myriam Silvera.
Il saggio di Veltri, autore prolifico, professore di lungo corso di
filosofia ebraica e direttore del Maimonides Center for Avanced Studies
di Amburgo, è sottotitolato “La filosofia ebraica tra mito, storia e
scetticismo”. Un testo ampio e complesso, dedicato alla natura stessa
della filosofia ebraica, che secondo Veltri ha una certa attitudine
allo scetticismo, un discorso già iniziato dal filosofo con il suo
precedente “Simone Luzzatto. Scritti politici e filosofici di un ebreo
scettico nella Venezia del seicento”. Leggi
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Notizie dal festival
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La
tripla vittoria (miglior film, miglior attore e migliore attrice) del
film israeliano Al tishkechi oti / Don’t forget me di Ram Nehari al
Torino Film Festival è una bellissima notizia. Ancora più bella, a mio
parere, perché il film, pur raccontando storie di disagio, dà conto di
un Paese assolutamente normale: la storia d’amore tra l’anoressica Tom
e Neil, suonatore di tuba con qualche problema di socializzazione,
potrebbe essere ambientata in qualunque altro posto sulla faccia della
terra (o per lo meno del mondo occidentale). “Pericoloso, originale,
difficile da fare” lo ha definito il presidente della giuria Pablo
Larraín nell’assegnare il premio. Un giudizio sul film in sé,
indipendentemente dal luogo in cui è ambientato. Temo, però, che dal
pubblico e dalla critica sia stato percepito diversamente; la Stampa,
per esempio, parlava di “un contesto sociale che non ha ancora
elaborato i suoi traumi”. In effetti c’è un fugace riferimento alla
Shoah, nelle preoccupazioni della madre di Tom all’idea che la figlia
vada a Berlino, ma a mio parere si tratta di discorsi irrazionali, e
anche involontariamente comici, inseriti nel film per mostrare come sia
labile il confine tra “malattia” e “normalità”. Quando si riuscirà a
vedere un film israeliano senza volerci leggere dentro per forza
l’ideologia, la storia o l’identità dell’intero Stato di Israele?
Anna Segre, insegnante
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Sionismo e antisionismo |
Mentre
un anno fa percorrevo al contrario l’Aeroporto Ben Gurion per
imbarcarmi sull’aereo per Milano, ero accompagnato alle pareti da una
spettacolare esibizione sui 120 di storia del sionismo. Essa terminava
poi con una frase virgolettata dove era scritto “Zionism is an infinite
ideal”.
Più volte mi sono interrogato sul significato odierno di questa parola,
sionismo appunto, senza venirne pienamente a capo. Sia Herzl che Buber
concepivano il sionismo sovente in modo utopistico, Israele sarebbe
dovuta diventare una sorta di “società modello” redentrice delle altre.
Essa invece nella società contemporanea quando non acquista
un’accezione tipicamente negativa, assume comunque un significato molto
vario e non ben definito, soprattutto per chi vive in diaspora il
sionismo è percepito come la difesa dello stato di Israele (al di là
dei suoi governi) o della sua natura ebraica, per altri invece ha una
connotazione più nostalgica e legata al passato, o ancora di semplice
legame emotivo con Israele. Sarebbe però assurdo chiedere a un
israeliano se si considera sionista o antisionista al pari di come
sarebbe domandare a un italiano se è mazziniano o garibaldino. In
Israele infatti, destra radicale a parte, questa etichetta è utilizzata
molto più spesso a sinistra per rievocare l’Israele dei padri o per
promuovere un percorso di “normalizzazione”.
Francesco Moises Bassano
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La promessa di Trump
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Nell’era
delle promesse vane, arriva l’uomo arancione dalla folta chioma bionda
cotonata. Ha proprio le sembianze di un clown, con quella cravatta
rossa e gli occhi ridotti in fessure. Grida quando dovrebbe sussurrare,
appare goffo e inadeguato in ogni gesto e circostanza. Porge la mano a
sua moglie e lei gliela nega, la ritrae con fare disgustato. Il popolo
lo detesta e lo osserva bieco con lo stesso disgusto di Melania. Il
loro tarlo in fondo è lo stesso: lei che si domanda come abbia fatto a
sposarlo, lui che si domanda come abbia fatto a votarlo. Insomma, se
fosse il concorrente di un reality show, probabilmente Trump verrebbe
eliminato all’unanime da tutti e quattro i giudici e deriso poi dal
pubblico in studio, a casa e pure sul web. Possiamo concludere che, se
questa storia fosse il macabro copione di un film hollywoodiano, ora ci
lasceremmo cullare nel flashback del protagonista amareggiato.
David Zebuloni
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