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21 dicembre 2017-  3 Tevet 5778
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ARTE

"Il mio disagio diventa creazione"

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In occasione della cinquantasettesima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia è stato Gal Weinstein a occupare il padiglione israeliano con una installazione allo stesso tempo ironica e polemica, pessimista e speranzosa, a cura di Tami Katz-Freiman. È stanchissimo, frastornato e forse un po’ sorpreso dal successo che sta riscuotendo, come attesta la lunga fila di persone che si accalcano per accedere al padiglione. A differenza del predecessore Tsibi Geva che aveva completamente rivestito l’esterno del Padiglione con copertoni, Weinstein riserva tutte le sorprese all’interno. Pur se la messa in discussione dei presupposti progettuali di Zeev Rechter, l’artefice del Padiglione, è parimenti radicale.

All’asettica modernità di stampo Bauhaus dell’edifico, frutto di una visione ottimista e progressista dell’architettura, come reagisci?

Ho provato una strana sensazione, una sorta di disagio, come un gap tra la vita quotidiana che vive oggi lo stato d’Israele e l’ambizione progettuale degli anni ’50, quando il padiglione è stato realizzato. Credo che questo padiglione non rappresenti più l’attuale Israele, anche per la sua dimensione troppo piccola. Allora l’ambizione progettuale si accompagnava a quella di costruire un paese che fosse al passo con il mondo occidentale, moderno, progressista, umanista, razionalista. È come quando una persona mette sul passaporto una foto da giovane e col passare degli anni non è più riconoscibile.

Adachiara Zevi, Pagine Ebraiche, dicembre 2017 

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MACHSHEVET ISRAEL

I cristalli puri di Robert Cover

img headerPotremmo immaginare, si interroga Robert M. Cover (1983), un Nomos completamente autoevidente, ossia un testo normativo che non necessiti di interpretazione alcuna al fine di comprendere come ci venga prescritto di agire? Un testo normativo di tale tipo sarebbe costituito “da cristalli totalmente puri” e si caratterizzerebbe per una “chiarezza abbagliante”, priva di ombre e sfumature. Tale unità del significato di un testo normativo, continua il giurista e storico del diritto, può sopravvivere solo per un istante e tale istante è in se stesso “puramente illusorio”. Non solo perché presto un filosofo “sfiderebbe l’identificazione” di tale visione con la verità. Bensì, e soprattutto, perché a questo testo fanno riferimento esseri umani in carne e ossa i quali presto inizieranno a dividersi sul significato da attribuire ad alcune delle sue prescrizioni o, ad un altro livello, sulle prescrizioni medesime. Così il testo normativo, nell’analisi di Cover sempre intrecciato (in modo esplicito o meno) a elementi narrativi, è come un “DNA legale” da cui, in virtù di un processo di “mitosi giuridica” [juridical mitosis], crescono differenti interpretazioni, significati e norme. Tale processo può avvenire all’interno di una stessa “comunità nomica”, fintanto che questa sia in grado di sopportare un determinato grado di variabilità interna, oppure spingersi ai suoi confini sino a produrre scissioni e nascite di nuove comunità. È questo “il problema della molteplicità del significato”.

Cosimo Nicolini Coen

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MUSEI  

Raccontare mille anni
di ebraismo italiano   

«Amato da tutti», sta inciso in latino alla fine del suo scarno epitaffio di pietra. In calce, una piccola menorah, il candelabro del Tempio di Gerusalemme ormai distrutto, segno della sua appartenenza. Alexander faceva il macellaio a Roma, intorno al III secolo d.C., e se quasi sempre è così difficile intravedere la vita vera dietro la storia con i suoi documenti e le sue tracce materiali, quella vita torna a noi quasi intatta, con la sua «diversità» di ebreo ma anche nel segno di una vicinanza amica, in fondo inattesa. E proprio questo il segno della mostra «Ebrei, una storia italiana. I primi mille anni» che apre quest'oggi la vita del Meis, il Museo dell'Ebraismo Italiano e della Shoah, in via Piangipane a Ferrara.

Elena Loewenthal, La Stampa,
14 dicembre 2017


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orizzonti 

La guerra nello Yemen, catastrofe da fermare  

Sono passati mille giorni, una lugubre ricorrenza circondata dal silenzio. La guerra nello Yemen è una pestilenza geopolitica che dovrebbe diventare un'enorme colpa collettiva. Nell'attesa, però, si continua a morire. E nemmeno la leggendaria indovina dagli occhi azzurri Zarqa al-Yamama — che ha dato indirettamente il nome al Palazzo reale saudita obiettivo del missile lanciato ieri dai ribelli Houthi, armati dall'Iran — potrebbe prevedere se e quando l'ex «Arabia Felix» diventerà un unico ammasso di macerie umane. Certo, gli Houthi sono i primi responsabili dell'inizio delle ostilità: nel settembre 2014 hanno occupato Sana'a scendendo dal Nord.


Paolo Lepri, Il Corriere della Sera,
20 dicembre 2017


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Machshevet Israel

La cucina e il “pensare ebraicamente”

img headerNell’introdurre il bel volume collettaneo Ebraismo “al femminile”: percorsi diversi di intellettuali ebree del Novecento (Giuntina 2017, pp. 264) da lei curato, la studiosa Orietta Ombrosi – che anni fa organizzò a Bologna un grande convegno sulla filosofia ebraica – cita Martha Nussbaum, la quale nel saggio L’intelligenza delle emozioni sostiene che la dimensione emotiva va considerata “parte costitutiva del ragionamento filosofico” perché l’universale del concetto, cui ogni filosofia tende, “ha bisogno di nutrirsi del pensiero-esperienza, del pensiero-vita, quindi del singolare, senza però ricadere nell’irrazionalismo né tantomeno prendere le derive del sentimentalismo”.
E’ incontestabile il fatto che anche il pensiero ebraico, come la storia del pensiero mediterraneo ed europeo in generale, sia stato un elaborato prevalentemente maschile. Poche le eccezioni, nel Talmud e nell’epoca moderna. Potremmo dire sia stato più recettivo della voce femminile il Tanakh che i suoi commentatori nei secoli.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI 

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