ARTE
"Il mio disagio diventa creazione"
In
occasione della cinquantasettesima Esposizione Internazionale d’Arte di
Venezia è stato Gal Weinstein a occupare il padiglione israeliano con
una installazione allo stesso tempo ironica e polemica, pessimista e
speranzosa, a cura di Tami Katz-Freiman. È stanchissimo, frastornato e
forse un po’ sorpreso dal successo che sta riscuotendo, come attesta la
lunga fila di persone che si accalcano per accedere al padiglione. A
differenza del predecessore Tsibi Geva che aveva completamente
rivestito l’esterno del Padiglione con copertoni, Weinstein riserva
tutte le sorprese all’interno. Pur se la messa in discussione dei
presupposti progettuali di Zeev Rechter, l’artefice del Padiglione, è
parimenti radicale.
All’asettica modernità di
stampo Bauhaus dell’edifico, frutto di una visione ottimista e
progressista dell’architettura, come reagisci?
Ho provato una strana sensazione, una sorta di disagio, come un gap tra
la vita quotidiana che vive oggi lo stato d’Israele e l’ambizione
progettuale degli anni ’50, quando il padiglione è stato realizzato.
Credo che questo padiglione non rappresenti più l’attuale Israele,
anche per la sua dimensione troppo piccola. Allora l’ambizione
progettuale si accompagnava a quella di costruire un paese che fosse al
passo con il mondo occidentale, moderno, progressista, umanista,
razionalista. È come quando una persona mette sul passaporto una foto
da giovane e col passare degli anni non è più riconoscibile.
Adachiara Zevi, Pagine Ebraiche, dicembre 2017
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