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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Rav
Yosef B. Soloveitchik insegna che ciò che tiene legato il bambino al
padre è la necessità della scoperta delle proprie origini, la fonte, la
causa della propria esistenza, l’urgente bisogno di cercare i propri
ormeggi, lo scongiurare “la paura di essere inseguito senza senso come
una foglia secca guidata dal vento in una notte scura di novembre”,
secondo le stesse parole del rav. Per te, amore mio, che inizi il tuo
cammino lontano e vicinissimo a me, che non ci sia mai freddo, né notte
scura di novembre, né viaggio di foglia senza senso.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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Il
termine “sionismo” in alcuni ambienti mediatici e politici viene sempre
più spesso sottratto alla sua concretezza storica per proiettarlo in
una dimensione immaginaria utile per scrivere striscioni, bandiere e
manifesti politici, ma poco interessante per conoscere la storia e
interpretarla in maniera critica. Nel bel mezzo della Grande Guerra
nasceva in seno all’ebraismo italiano un nuovo settimanale. Si trattava
di “Israel”, una testata nella quale confluivano il “Corriere
Israelitico” di Trieste (all’epoca terra contesa) e la “Settimana
Israelitica” di Firenze. In un’epoca di scontro fra contrapposti
nazionalismi, vecchie e nuove nazioni andavano affermando in vario modo
le loro aspirazioni. Fra queste, anche gli ebrei europei – che erano
stati massacrati e vilipesi a centinaia di migliaia a partire dalla
seconda metà dell’800 da una crescente violenza antisemita che
conosceva nuove e inedite connotazioni politiche – avevano aperto una
stagione di nazionalismo. Anche nella minoritaria esperienza italiana
questa aspirazione aveva conosciuto importanti espressioni teoriche e
intellettuali, guidate in particolare dai rabbini e giornalisti Dante
Lattes e Alfonso Pacifici che si erano infine ritrovati attorno a un
progetto comune proprio durante la prima guerra mondiale. Un
settimanale da subito molto diffuso, ideologicamente connotato in
direzione di un risveglio della coscienza nazionale ebraica. Ma, nel
contempo, un organo di stampa che contribuì alla diffusione e al
radicamento dei principi della tradizione ebraica in una minoranza per
lo più assimilata e lontana dalle tradizioni. Negli anni del fascismo
il giornale divenne una delle poche palestre di libertà di stampa
dell’intero panorama italiano, fastidioso al punto da essere oggetto di
un attacco squadrista che nel 1938 ne provocò la chiusura. Solo nel
1944 (a Roma liberata) il settimanale poté riprendere le pubblicazioni.
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Onu, l'Italia vota
contro gli Usa
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C’è
anche l’Italia tra i paesi che alle Nazioni Unite hanno votato sì alla
risoluzione presentata da Yemen e Turchia contro il riconoscimento di
Gerusalemme capitale di Israele deciso dall’amministrazione Trump e
l’intenzione di spostare l’ambasciata americana annunciata
dall’inquilino della Casa Bianca. “Gli Stati Uniti si ricorderanno di
questo giorno” ha sottolineato l’ambasciatrice Nikki Haley al termine
del voto. Mentre il collega israeliano Danny Danon ha detto, a
proposito della risoluzione: “Finirà nell’immondizia della Storia”. “A
schierarsi apertamente contro la risoluzione – scrive Repubblica – solo
in nove: oltre, ovviamente a Stati Uniti ed Israele, ecco Guatemala,
Honduras, e i minuscoli stati di Nauru, Palau, Togo, Micronesia e Isole
Marshall. La cosa più vicina a un appoggio, che Trump ha ottenuto da
alleati storici come Canada, Australia, Messico e perfino le Filippine
dell’amico Duterte, è stata l’astensione: in 35 hanno scelto di non
sostenere gli Stati Uniti votando contro la mozione, ma nemmeno li
hanno criticati con un voto a favore”.
Scrive Bernard-Henri Levy sul Corriere: “Gerusalemme è chiaramente, e
da sempre, la capitale di Israele. Avverto tuttavia qualcosa di
assurdo, e anche di scandaloso, nell’indignazione planetaria suscitata
dal riconoscimento, da parte degli Stati Uniti, di questa evidenza”.
L’intellettuale francese non nasconde però le sue perplessità sulla
mossa di Trump: “Sarebbe stato infinitamente meglio calare questa carta
vincente, la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale,
all’interno di un vero piano di pace, il solo in grado di garantire
l’inalienabile diritto di questo paese all’esistenza e alla sicurezza.
Ma il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti non se n’è curato
minimamente: mirava alla spacconata politica – scrive BHL – non a
scrivere la Storia”.
Sul Giornale Fiamma Nirenstein parla della posizione italiana come di
un ‘peccato mortale’. “Tutti i suoi ultimi primi ministri – scrive la
giornalista ed ex parlamentare – hanno parlato alla Knesset pretendendo
amicizia immortale. Tutti hanno visto la bellezza della città amata da
3mila anni, mai capitale di nessun altro, e il rispetto democratico per
le tre componenti religiose”. Il voto, aggiunge, “è stato un misto di
antisemitismo, di paura, di cecità di chi non vede che solo la verità
può indurre un processo di pace, e che le menzogne odierne non hanno
mai spinto i palestinesi a rinunciare al terrorismo e al rifiuto di
Israele”.
Profonde anche le ripercussioni nel mondo dello sport. Come abbiamo
avuto modo di anticipare ieri pomeriggio sui nostri canali social, il
ciclista turco Ahmet Orken ha infatti lasciato la Israel Cycling
Academy, prima squadra professionistica israeliana di ciclismo. Come ha
spiegato lo stesso atleta in una drammatica comunicazione, a pesare
sono state le minacce ricevute da madre e fratello (che vivono in
Turchia). Scrive la Gazzetta: “La sua avventura è finita ieri. Un
bruttissimo colpo per chi crede nei valori assoluti dello sport”.
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il ciclista turco ingaggiato dalla academy
"La mia famiglia minacciata,
addolorato ma devo lasciare"
“Una decisione che ci ha spezzato il cuore”.
Con queste letterali parole la Israel Cycling Academy ha comunicato,
nel tardo pomeriggio di ieri, la risoluzione del contratto con il
corridore turco Ahmet Orken.
Ad interrompersi è un sodalizio davvero speciale, che prometteva di
andare ben oltre la dimensione agonistica. Un atleta turco (e
musulmano) ingaggiato dalla prima squadra professionistica israeliana,
alla vigilia dell’anno che porterà il Giro d’Italia a Gerusalemme (e
con la Academy in lizza per una wild card, che molto probabilmente
otterrà). In un Medio Oriente sempre più in frantumi, un messaggio in
controtendenza che aveva avuto un forte impatto sull’opinione pubblica.
La richiesta di risoluzione è arrivata da Orken ed è stata motivata,
così ha sostenuto l’atleta, “dall’effetto che i recenti eventi hanno
avuto su di me e sulla mia famiglia”. Dove per “recenti eventi”, spiega
la Academy in una nota, va inteso lo scenario di crisi che si è aperto
dopo l’annuncio di Trump su Gerusalemme delle scorse settimane. Tra i
paesi più apertamente ostili proprio la Turchia, con il presidente
Erdogan che si è lasciato andare a dichiarazioni di estrema gravità
guidando tra l’altro il fronte che ieri alle Nazioni Unite ha fatto sì
che l'iniziativa fosse rigettata dall’assemblea (con il sì dell’Italia,
insieme ai principali paesi europei). Non a caso, senza entrare troppo
nel dettaglio ma lasciando intendere scenari particolarmente
inquietanti, Orken ha riferito di “situazioni terribili” che hanno
riguardato la madre e il fratello (che vivono in una città
dell’Anatolia, Konya).
Ci ha provato in tutti i modi, la Academy, a fargli cambiare idea.
Addirittura inviando il proprio general manager Ran Margaliot a casa
Orken, dove ha avuto luogo un confronto con i familiari. “La decisione
ci rattrista, naturalmente – commenta Margaliot – ma le porte della
Academy rimarranno sempre aperte in caso di un suo ripensamento. La
nostra sfida andrà comunque avanti, e così il messaggio di dialogo e
coesistenza che vogliamo promuovere attraverso lo sport”.
Proprio Orken era stato uno dei protagonisti della cerimonia al Centro
Peres per la Pace di Tel Aviv nel corso della quale, lo scorso
novembre, i corridori della Academy (tra cui l’italiano Kristian
Sbaragli) erano stati insigniti del titolo di “ambasciatore per la
pace”. Il volto sorridente e disteso. La voglia di lanciare messaggi di
normalità. “Entrare a far parte di una squadra israeliana non l’ho mai
visto come un problema. Al contrario tutti intorno a me hanno sostenuto
questa decisione con entusiasmo” ci raccontava Orken. Aggiungeva poi:
“Aspettavo da tempo la possibilità di gareggiare con un team in
crescita e con delle ambizioni. La più grande motivazione che mi ha
spinto qui è stata quella di aggiudicarmi delle corse, ma sono anche
consapevole dell’importanza di questa iniziativa su un altro piano:
lanciare un segnale di pace e fratellanza”.
I suoi occhi parlavano chiaramente. Era una sfida che sentiva, non uno
slogan privo di contenuti. Cercava l’abbraccio dei compagni, e i
compagni cercavano lui.
Una bella storia, ora drammaticamente interrotta. E una triste pagina per tutti gli appassionati di ciclismo.
(Foto di Brian Hodes – Velo Images)
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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l'incontro al centro bibliografico Gli ebrei e l'esperienza mistica,
nel Talmud il punto di partenza
“Non
vivremo questa sera un’esperienza mistica. Iniziamo a sgombrare il
campo da possibili equivoci su cosa sia la mistica ebraica”. Con questa
affermazione ironica e paradossale, ma al tempo stesso sintetica di
tutta la riflessione successiva, rav Benedetto Carucci Viterbi ha
aperto il suo seminario “Vivere l’esperienza mistica”, che è parte del
ciclo “Il popolo dei libri. Un viaggio attraverso i testi della
tradizione ebraica”. Iniziativa che, da maggio 2017, si sta svolgendo
mensilmente, presso il Centro Bibliografico Tullia Zevi, con
l’obiettivo di fornire strumenti metodologici e chiavi di orientamento
in questa vasta letteratura e sottolineare come lo studio e
l’interpretazione attiva, individuale e al tempo stesso collettiva di
questi testi, di generazione in generazione, costituiscano un elemento
fondante della vita e della spiritualità ebraica.
È possibile individuare tratti caratteristici dell’esperienza mistica
ebraica? Oppure declinare la mistica in genere secondo parametri
specifici finisce per diventare una contraddizione in termini? Se il
raggiungimento di un rapporto diretto con Dio è la finalità di
qualsiasi esperienza mistica, l’introduzione di connotati culturali e
religiosi specifici non rischia infatti di interporre in questo
contatto una mediazione? Secondo rav Carucci non vi è in ciò alcuna
contraddizione o svilimento della mistica: ogni tradizione ricorre
necessariamente alle proprie categorie religiose e culturali per
entrare in rapporto diretto con Dio.
A smentita di una superficiale ma consolidata vulgata che ha
considerato la mistica ebraica come folklore popolare ed eterodosso,
rav Carucci ha mostrato – sulla scia di Gershom Scholem, pioniere degli
studi sulla Cabbalà e della sua valorizzazione – come essa si inserisca
senza soluzione di continuità all’interno della tradizione,
incardinandosi rigorosamente al suo interno e a sua volta fecondandola.
Raffaella Di Castro Leggi
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Captatio benevolentiae
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Criticare
Israele davanti a un pubblico filoisraeliano e criticare i palestinesi
davanti a un pubblico filopalestinese. Suona come una grande prova di
coraggio e onestà intellettuale. In realtà non funziona. Voglio dire,
funziona se lo scopo è sentirsi bene con se stessi, ma non funziona per
convincere gli altri. Lo avevano capito benissimo già gli antichi:
senza captatio benevolentiae non si va da nessuna parte. Se non
disponiamo i nostri interlocutori ad ascoltarci con benevolenza
tireranno giù la saracinesca delle orecchie prima ancora che noi
abbiamo iniziato a parlare. Dire alle persone quello che non vogliono
sentirsi dire, contrariamente a quello che a volte si afferma, non è un
modo per distruggere certezze o instillare dubbi. Anzi, rafforza
l’ascoltatore nelle sue certezze di segno opposto.
Anna Segre, insegnante
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Mother!
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Nell’ultimo
film di Darren Aronofsky, Mother!, l’umanità viene percepita agli occhi
di una giovane coppia di fidanzati che vive in una bellissima casa in
un luogo verde e remoto, come stupida, invasiva e arrogante, dominata
dalla violenza e dal fanatismo. Il film è facilmente leggibile in
chiave biblica, dove attraverso numerosi riferimenti allegorici
s’instaura il rapporto maschile/femminile del Creatore con la Terra, e
poi dell’uomo con ambedue.
Tra i registi attuali, Aronofosky è uno tra i più virtuosi e
promettenti, nato in una famiglia ebraica di Brooklyn, ha sovente
inserito nelle proprie pellicole richiami alla propria cultura
d’origine, da “Pi – il teorema del delirio” sino al recente “Noach”,
unendo a ciò un chiaro messaggio ambientalista. Ciò che ne è derivato è
un cinema concettuale, non di rado disturbante, che può essere visto
senza difficoltà da un pubblico di massa anche poco preparato. Di
fronte al caos contemporaneo Mother! ci può offrire una diversa visione
del nostro mondo, delle nostre fatiche e dell’odio che viene coltivato
all’interno di una casa fatiscente sempre più stretta. Un tentativo
forse a tratti presuntuoso da parte di un regista, ma che è utile a
rimarcare l’havel havalim e come di fronte all’universo e alla
grandezza di D.o non saremmo in fondo che nulla.
Francesco Moises Bassano
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