Jonathan Sacks, rabbino | Il mondo che i nostri figli erediteranno sarà diretta conseguenza del livello delle scuole che metteremo loro a disposizione.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | Secondo alcuni l’uomo dell’anno è Benito Mussolini.
Non c’è niente di più malinconico, per non dire ridicolo (un “usato
sicuro” dall’esito garantito e già ampiamente provato dalla Storia
senza possibilità di appello) di chi si nasconde dietro le immagini di
un “capo” del passato, pensando così di avere diritto a ipotecare un
futuro.
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Iran, ancora proteste
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Terzo
giorno di manifestazioni in piazza in Iran. Con le forze dell’ordine
che, nel tentativo di sedare le proteste contro il carovita, hanno
usato la violenza. Slogan politici, scrive tra gli altri il Corriere,
sono risuonati in diverse città: contro la disoccupazione, contro le
guerre per procura in Siria e in Yemen (“in cui Teheran dilapida
risorse da anni”, si legge), contro l’intero regime politico, inclusi
la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente “moderato” Hassan
Rouhani. E così alla fine della giornata di ieri “alcuni video diffusi
sui social network mostravano due corpi per strada coperti di sangue,
forse morti, nella città di Dorud, mentre altre fonti non verificate
arrivavano addirittura a contare sei morti in tutto il Paese”. Via
Twitter, il presidente americano Donald Trump si è così rivolto ai
leader iraniani: “Il mondo vi sta guardando!”.
Riassumerà l’incarico di comandante della Polizia Locale di Biassono
(Monza) Giorgio Piacentini, rimosso nel gennaio scorso dopo la
pubblicazione sul proprio profilo Facebook di una sua foto con la
divisa delle SS. Per un anno intero Piacentini è stato declassato, ma
per il sindaco di Biassono, il leghista Luciano Casiraghi, le cui
parole sono riportate dal Fatto Quotidiano, “ha lavorato bene,
partecipa spesso a manifestazioni storiche con un’associazione e non ha
pensato a cosa sarebbe potuto accadere postando quella foto”.
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i propositi del leader leghista per il 2018 Salvini strizza l'occhio a Orban
"Soros? Sarà messo al bando" “Soros e i suoi miliardi pro clandestini saranno messi al bando: persona (e soldi) indesiderati”.
No, non è un messaggio del premier ungherese Orban. Ad esibirsi nella
peggior immondizia populista, sulla stessa lunghezza d’onda delle
campagne ordite in questi anni dal governo magiaro, molto spesso
solleticando i peggiori istinti antisemiti dell’elettorato di destra, è
il segretario leghista Matteo Salvini.
Un post, su Facebook, che ha presto fatto il giro della rete. Un
messaggio agli italiani, alla vigilia di una campagna elettorale che si
annuncia particolarmente infuocata, in cui lo stesso ha confessato di
ammirare proprio il governo ungherese, ma anche l’Austria e la Polonia
tra gli altri. Paesi al centro delle cronache per l’inquietante ascesa
di gruppi nazionalisti e xenofobi, oggi anche partiti di governo, e
“attenzionati” da una Unione Europea sempre più spaventata dal consenso
che forze anti-sistema sta conquistando all’interno dei confini
continentali. Paesi che, per Salvini, “hanno saputo difendere i loro
confini e la loro cultura”.
I social, come spesso accade, il veicolo più efficace per diffondere
messaggi destabilizzanti. Il 2018, in questo senso, si annuncia come
l’anno della verità dopo mesi di paccottiglie, bufale, fake news ai
massimi livelli. Scrive al riguardo il Corriere: “I prossimi 12 mesi si
aprono con gli effetti di quanto accaduto: oggi in Germania scadono i
primi tre mesi di rodaggio della legge che prevede fino a 50 milioni di
multa alle piattaforme che non si dimostrino in grado di cancellare
contenuti d’odio e bufale in un lasso di tempo compreso tra le 24 ore e
i sette giorni dalla denuncia in base alla gravità”. Sulla Germania,
viene spiegato, sono puntati gli occhi di tutto il mondo, Italia
compresa. Svariati infatti sono i contesti in cui si stanno valutando
interventi normativi per inchiodare le piattaforme alle loro
responsabilità. Leggi
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pagine ebraiche gennaio 2018 Illuminare le vite degli ultimi Aperta
da qualche settimana al Londra, alla Courtauld Gallery, la mostra
dedicata a Chaim Soutine raccoglie per la prima volta una parte
consistente delle tele che il grande pittore russo naturalizzato
francese ha dedicato a coloro che lavoravano nei grandi alberghi.
Intitolata “Soutine’s Portraits: Cooks, Waiters and Bellboys” sarà
visitabile sino alla fine di gennaio, ed apre le pagine culturali
dell’ultimo numero del giornale dell’ebraismo italiano in distribuzione
in questi giorni.
Smarrito nelle sale della Somerset House, svolti l’angolo in questi
giorni in una delle sale incantate delle collezioni del Courtauld
Institute of Art della London University e ti pare di essere capitato
nell’atrio di un grande albergo europeo ai primi del Novecento.
Camerieri, cuochi, pasticceri, fattorini in uniforme si affollano nei
ritratti esposti alle pareti di un paio di sale dove ha luogo una delle
più emozionanti esposizioni d’arte di questa stagione. I curatori
dell’istituto superiore che forma con orgoglio i direttori di quasi
tutti i grandi centri internazionali di arti figurative hanno deciso di
chiamare a raccolta, per un’occasione forse irripetibile, i ritratti
del pittore russo Chaim Soutine, morto a Parigi nel 1943 mentre cercava
di sfuggire alla deportazione. Le grandi mostre che gli sono state
dedicate in questi ultimi anni ancora non bastano per rendere giustizia
a un genio scomodo e senza pari di cui ci è pervenuta purtroppo solo
una parte della produzione e che è stato troppo a lungo sottovalutato e
dimenticato. La sua passione di cogliere le espressioni dei lavoratori
più umili che popolavano il dietro le quinte degli alberghi di lusso
era nota. Ma nessuno era riuscito fino ad oggi a raccogliere con tanta
dedizione tutti i ritratti reperibili di questo particolare capitolo
della produzione di Soutine. Divorato dall’incontrollabile, quasi
insana, febbre di studiare il linguaggio espressivo del corpo e del
volto, il pittore non si accontenta di ritrarre i propri modelli mentre
sono all’opera, nella spontaneità dei propri doveri quotidiani. Ma
vuole chiamarli fuori dalla massa dei colleghi, li sottrae al lavoro
pressante, li pone su un piedistallo, li mette in posa, li illumina di
uno sguardo profondo e li vuole sulla tela mentre vestono le diverse
divise professionali.
Guido Vitale, Pagine Ebraiche gennaio 2018
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demenza digitale "Gli abusi commessi sui social
violano la Legge ebraica" Le
opinioni di un mio conoscente sono apparse recentemente su queste
pagine. Ho dato un’occhiata ai commenti postati sotto il suo testo e
sono rimasto impressionato da quanto alcuni fossero perfidi nei
confronti dell’autore e degli altri commentatori. Quasi nessuno dei
commenti si riferiva al contenuto del pezzo, erano tutti attacchi
personali contro lo scrittore o chi d’altro avesse commentato. Mi
chiedo se questa gente avesse realmente letto il pezzo o semplicemente
immaginato il punto di vista dell’autore basandosi solo sul titolo.
“Ė
palese che odi Israele e ami i terroristi che ammazzano i bambini nel
sonno“ era il commento più cortese. Comunque, non è una sorpresa che
Internet sia uno dei principali responsabili dell’incapacità della
nostra società di intavolare un discorso civile. Nella comunicazione
istantanea, le persone rispondono spesso a caldo, trascinate
dall’enfasi del momento, e dicono cose che probabilmente avrebbero
evitato se avessero avuto il tempo di rifletterci o se avessero dovuto
scriverle e mandarle per e-mail.
Gran
parte della comunicazione istantanea è poi anonima. Non potrò mai
sapere chi sia davvero Banana321, ovvero chi mi augura di morire di una
dolorosa malattia. Banana321 si sente libero di scrivere qualsiasi cosa
gli passi per la testa, proprio perché sa che il suo commento risulterà
anonimo. Sicuramente quei commenti che scrive in forma anonima non li
farebbe mai a una festa, di fronte a persone in carne ed ossa.
Il risultato è che Internet invece di incoraggiare la comunicazione reale, la sta soffocando.
Sulla base delle mie competenze rabbiniche ho deciso di vietare la
pubblicazione di commenti anonimi sui social. Un rabbino liberale come
me solitamente non emette un Psak Din (“decisione di Legge“). Nel mondo
ortodosso i più grandi studiosi giuristi sono i Poskim (“i decisori“
della Legge ebraica) e io non mi pongo certo al loro livello. Ma i
rabbini hanno pur sempre l’autorità e la responsabilità di applicare la
Tradizione ebraica alle questioni morali del nostro tempo e questo
dev’essere fatto con attenzione e scrupolo, non a casaccio. Nel
definire la mia opinione una Psak Din, voglio sottolineare la serietà
di questo problema nella nostra società.
bloomberg businessweek facebook socialVorrei ora spiegare perché credo che postare commenti anonimi debba essere vietato.
È vietato perché, così facendo, vengono violati una serie di comandamenti/mitzvot della Torah:
Non porrai inciampo davanti al cieco (Levitico 19:14)
Non andrai qua e là facendo il diffamatore fra il tuo popolo (Levitico 19:16)
Non odierai il tuo fratello in cuor tuo (Levitico 19:17)
Amerai il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19:18)
Scrivere
commenti malevoli su altre persone è proprio la definizione di
diffamazione, a cui i rabbini si riferiscono con l’espressione Lashon
ha-Ra, letteralmente “malalingua“. Postare commenti di questo genere in
forma anonima, inoltre, pone sicuramente “inciampo davanti al cieco“.
I rabbini commentano poi che per evitare che si possa pensare che siano
proibite esclusivamente le azioni dettate dall’odio il versetto afferma
che anche se l’odio fosse confinato all’interno del proprio cuore,
sarebbe comunque vietato. Anche scrivere discorsi carichi di odio è una
chiara violazione di questa mitzvah. Infine, “Amerai il prossimo tuo
come te stesso” (secondo alcuni il principio cardine della Torah) è
l’esatto contrario della malalingua.
Dal momento che sono molte le mitzvot che vengono violate postando in
rete commenti malevoli in forma anonima, è importante evitare la
pubblicazione anonima anche di commenti benevoli. Si tratta di una
“barriera di protezione” che serve a impedire che qualcuno si senta
autorizzato a scrivere post anonimi che siano anche solo parzialmente
negativi.
Vorrei anche specificare che l’imperativo biblico che consiglia di
rimproverare chi sta sbagliando (“hokha’ah tokhiah”-“riprendi pure il
tuo prossimo”, Levitico 19:17) non può essere compiuto con un commento
negativo postato online. Sebbene il rimprovero implichi inevitabilmente
una critica, i rabbini sottolineano che bisogna rimproverare l’altro
quando si trova nella condizione di poter recepire l’ammonimento.
Non sarà certo un commento cattivo online a cambiare il comportamento
della gente. È anche chiaro che l’intento di tali critiche non è di far
sì che il destinatario diventi una persona migliore; l’intento,
piuttosto, è di ferire o mettere in imbarazzo. Questo non è lo scopo
del rimprovero. I rabbini, infatti, interpretano il finale di questo
versetto come il divieto di infangare pubblicamente l’immagine di
qualcuno, divieto che si applica perfettamente al trolling online.
I dettami del Levitico disegnano una società ideale, compassionevole,
in cui l’amore per il prossimo è tale da muoverci a rimproverarlo con
dolcezza e per il suo bene. È una visione sicuramente ambiziosa, ma in
fondo essere santi vuol dire proprio questo.
Sforziamoci quindi di essere quei santi che la Torah ci sfida a
diventare. Riflettiamo sui nostri interventi online e tratteniamoci dal
dire cose che facciano male, e chiediamoci se sia giusto
nascondersi dietro nomi falsi o scrivere espressioni diffamatorie,
anche sotto i nostri veri profili social.
Dopotutto D. ha creato il mondo attraverso la Parola e anche noi il
nostro mondo, virtuale e reale, lo ricreiamo attraverso la parola.
Michael Strassfeld, The Forward
Society for the Advancement of Judaism – New York
Versione
italiana di Francesca Antonioli, - Scuola Superiore Interpreti e
Traduttori dell’Università di Trieste, tirocinante presso la redazione
giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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L'ometto dell'anno
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Affermare
che la storia non si ripeta mai, quanto meno nel suo insieme, non
implicare il ritenere che tutti gli elementi del passato siano
destinati ad essere consegnati definitivamente al tempo trascorso. Se
così invece fosse, non dovremmo confrontarci con il ritorno di una
«tentazione totalitaria» (il copyright è di Jean-François Revel, anche
se lui ne parlava in un contesto storico un po’ diverso dal frangente
attuale), che si accompagna al mutamento che stiamo attraversando, così
come con l’attrazione per ciò che sembra essere autorevole solo perché
è autoritario. Se nel secondo caso l’atteggiamento mentale in questione
deriva perlopiù da una deficienza di comprensione, che si fa ripetuta
ottusità e rifiuto a qualsivoglia riscontro critico, nel primo, invece,
le cose sono un po’ più complesse. Poiché entra in gioco una perversa
dinamica, in virtù della quale al riscontro della fragilità delle
istituzioni democratiche si accompagna l’attrazione dichiarata per la
loro negazione. Ad esse, infatti, si prediligono i sistemi
(evidentemente non solo di matrice politica ma anche sociale e
culturale) basati su una tanto fittizia quanto seducente unitarietà.
Non più tutti per uno così come uno per tutti: semmai «tutti in uno». E
non di certo perché “tutti” eguali – nei diritti e nelle opportunità –
bensì in quanto uniformi, ovvero atomi aggregati ad un’unica entità,
che si chiami Stato, nazione, partito, classe, stirpe, comunità ma
anche religione o cos’altro (a conti fatti, le differenze di risultato
non sono poi così rilevanti: sempre di sfracelli si sta parlando).
L’affermare che il ritorno del fascismo storico non sia alle porte,
cosa di cui siamo convinti, in nessun modo libera dall’affanno con il
quale assistiamo alle derive in corso, e non solo tra gruppuscoli
assortiti, più o meno veraci depositari del «fascismo 2:0» (oppure
oltre) così come del «terzo millennio».
Claudio Vercelli
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I 90 anni di Emilio |
Emilio
Jona, biellese-torinese esemplare, compie novant’anni. Personalmente
sono orgogliosa di conoscerlo e di aver condiviso con lui i momenti più
intensi e cruciali per reinventare un futuro della nostra Comunità
ebraica di Vercelli e Biella. Solo lui, durante il corso degli anni
Novanta riuscì a convincermi che potevo e “dovevo” prendere le redini
di una Comunità che stava estinguendosi. Vercelli e Biella, luoghi
storici dell’ebraismo piemontese, stavano dimenticando la loro
componente ebraica, con il suo immenso patrimonio storico,
tradizionale, cultuale ed architettonico.
Con una Comunità ai margini della vita sociale e culturale si era reso
necessario un cambio di rotta, un nuovo presidente capace di preservare
ciò che restava di una secolare tradizione del Piemonte nord
occidentale. Emilio Jona è stato il motore nascosto della Comunità:
grazie al suo incoraggiamento ho cominciato a riportare ad una dignità
perduta tutti i nostri luoghi sacri e a recuperare le persone e la
Memoria, partendo dai pochi iscritti che potevano ancora ritrovare il
senso comunitario.
Rossella Bottini Treves, presidente Comunità ebraica di Vercelli
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La terza via
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Secondo
un rito spesso assai in voga tra commentatori nel mondo ebraico come in
quello degli amici d’Israele, ben visibile in rete, sembra impossibile
essere, al contempo, preoccupati per le espressioni antisemite e
antisioniste riemergenti in comparti di destra e di sinistra, senza
essere vicendevolmente tacciati di voler sottovalutare o sottacere le
criticità che la propria “fazione” sottolinea.
Rivendico quindi il diritto a una terza via, ovvero quella di potermi
preoccupare, in ugual misura, del riproporsi di becere istanze che si
richiamano al nazifascismo quanto delle saldature tra antisemitismo e
antisionismo, non nuove a sinistra come a destra, senza voler fare (non
è un gioco di parole) d’ogni erba un “fascio”.
Gadi Polacco
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