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31 Dicembre 2017 - 13 Tevet 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Jonathan Sacks, rabbino
Il mondo che i nostri figli erediteranno sarà diretta conseguenza del livello delle scuole che metteremo loro a disposizione.
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Secondo alcuni l’uomo dell’anno è Benito Mussolini.
Non c’è niente di più malinconico, per non dire ridicolo (un “usato sicuro” dall’esito garantito e già ampiamente provato dalla Storia senza possibilità di appello) di chi si nasconde dietro le immagini di un “capo” del passato, pensando così di avere diritto a ipotecare un futuro.
 
Iran, ancora proteste
Terzo giorno di manifestazioni in piazza in Iran. Con le forze dell’ordine che, nel tentativo di sedare le proteste contro il carovita, hanno usato la violenza. Slogan politici, scrive tra gli altri il Corriere, sono risuonati in diverse città: contro la disoccupazione, contro le guerre per procura in Siria e in Yemen (“in cui Teheran dilapida risorse da anni”, si legge), contro l’intero regime politico, inclusi la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente “moderato” Hassan Rouhani. E così alla fine della giornata di ieri “alcuni video diffusi sui social network mostravano due corpi per strada coperti di sangue, forse morti, nella città di Dorud, mentre altre fonti non verificate arrivavano addirittura a contare sei morti in tutto il Paese”. Via Twitter, il presidente americano Donald Trump si è così rivolto ai leader iraniani: “Il mondo vi sta guardando!”.

Riassumerà l’incarico di comandante della Polizia Locale di Biassono (Monza) Giorgio Piacentini, rimosso nel gennaio scorso dopo la pubblicazione sul proprio profilo Facebook di una sua foto con la divisa delle SS. Per un anno intero Piacentini è stato declassato, ma per il sindaco di Biassono, il leghista Luciano Casiraghi, le cui parole sono riportate dal Fatto Quotidiano, “ha lavorato bene, partecipa spesso a manifestazioni storiche con un’associazione e non ha pensato a cosa sarebbe potuto accadere postando quella foto”.
 
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  davar
i propositi del leader leghista per il 2018 
Salvini strizza l'occhio a Orban

"Soros? Sarà messo al bando"
“Soros e i suoi miliardi pro clandestini saranno messi al bando: persona (e soldi) indesiderati”.
No, non è un messaggio del premier ungherese Orban. Ad esibirsi nella peggior immondizia populista, sulla stessa lunghezza d’onda delle campagne ordite in questi anni dal governo magiaro, molto spesso solleticando i peggiori istinti antisemiti dell’elettorato di destra, è il segretario leghista Matteo Salvini.
Un post, su Facebook, che ha presto fatto il giro della rete. Un messaggio agli italiani, alla vigilia di una campagna elettorale che si annuncia particolarmente infuocata, in cui lo stesso ha confessato di ammirare proprio il governo ungherese, ma anche l’Austria e la Polonia tra gli altri. Paesi al centro delle cronache per l’inquietante ascesa di gruppi nazionalisti e xenofobi, oggi anche partiti di governo, e “attenzionati” da una Unione Europea sempre più spaventata dal consenso che forze anti-sistema sta conquistando all’interno dei confini continentali. Paesi che, per Salvini, “hanno saputo difendere i loro confini e la loro cultura”.
I social, come spesso accade, il veicolo più efficace per diffondere messaggi destabilizzanti. Il 2018, in questo senso, si annuncia come l’anno della verità dopo mesi di paccottiglie, bufale, fake news ai massimi livelli. Scrive al riguardo il Corriere: “I prossimi 12 mesi si aprono con gli effetti di quanto accaduto: oggi in Germania scadono i primi tre mesi di rodaggio della legge che prevede fino a 50 milioni di multa alle piattaforme che non si dimostrino in grado di cancellare contenuti d’odio e bufale in un lasso di tempo compreso tra le 24 ore e i sette giorni dalla denuncia in base alla gravità”. Sulla Germania, viene spiegato, sono puntati gli occhi di tutto il mondo, Italia compresa. Svariati infatti sono i contesti in cui si stanno valutando interventi normativi per inchiodare le piattaforme alle loro responsabilità.
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pagine ebraiche gennaio 2018
Illuminare le vite degli ultimi
Aperta da qualche settimana al Londra, alla Courtauld Gallery, la mostra dedicata a Chaim Soutine raccoglie per la prima volta una parte consistente delle tele che il grande pittore russo naturalizzato francese ha dedicato a coloro che lavoravano nei grandi alberghi. Intitolata “Soutine’s Portraits: Cooks, Waiters and Bellboys” sarà visitabile sino alla fine di gennaio, ed apre le pagine culturali dell’ultimo numero del giornale dell’ebraismo italiano in distribuzione in questi giorni.

Smarrito nelle sale della Somerset House, svolti l’angolo in questi giorni in una delle sale incantate delle collezioni del Courtauld Institute of Art della London University e ti pare di essere capitato nell’atrio di un grande albergo europeo ai primi del Novecento. Camerieri, cuochi, pasticceri, fattorini in uniforme si affollano nei ritratti esposti alle pareti di un paio di sale dove ha luogo una delle più emozionanti esposizioni d’arte di questa stagione. I curatori dell’istituto superiore che forma con orgoglio i direttori di quasi tutti i grandi centri internazionali di arti figurative hanno deciso di chiamare a raccolta, per un’occasione forse irripetibile, i ritratti del pittore russo Chaim Soutine, morto a Parigi nel 1943 mentre cercava di sfuggire alla deportazione. Le grandi mostre che gli sono state dedicate in questi ultimi anni ancora non bastano per rendere giustizia a un genio scomodo e senza pari di cui ci è pervenuta purtroppo solo una parte della produzione e che è stato troppo a lungo sottovalutato e dimenticato. La sua passione di cogliere le espressioni dei lavoratori più umili che popolavano il dietro le quinte degli alberghi di lusso era nota. Ma nessuno era riuscito fino ad oggi a raccogliere con tanta dedizione tutti i ritratti reperibili di questo particolare capitolo della produzione di Soutine. Divorato dall’incontrollabile, quasi insana, febbre di studiare il linguaggio espressivo del corpo e del volto, il pittore non si accontenta di ritrarre i propri modelli mentre sono all’opera, nella spontaneità dei propri doveri quotidiani. Ma vuole chiamarli fuori dalla massa dei colleghi, li sottrae al lavoro pressante, li pone su un piedistallo, li mette in posa, li illumina di uno sguardo profondo e li vuole sulla tela mentre vestono le diverse divise professionali.


Guido Vitale, Pagine Ebraiche gennaio 2018

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demenza digitale
"Gli abusi commessi sui social

violano la Legge ebraica"
Le opinioni di un mio conoscente sono apparse recentemente su queste pagine. Ho dato un’occhiata ai commenti postati sotto il suo testo e sono rimasto impressionato da quanto alcuni fossero perfidi nei confronti dell’autore e degli altri commentatori. Quasi nessuno dei commenti si riferiva al contenuto del pezzo, erano tutti attacchi personali contro lo scrittore o chi d’altro avesse commentato. Mi chiedo se questa gente avesse realmente letto il pezzo o semplicemente immaginato il punto di vista dell’autore basandosi solo sul titolo.
“Ė palese che odi Israele e ami i terroristi che ammazzano i bambini nel sonno“ era il commento più cortese. Comunque, non è una sorpresa che Internet sia uno dei principali responsabili dell’incapacità della nostra società di intavolare un discorso civile. Nella comunicazione istantanea, le persone rispondono spesso a caldo, trascinate dall’enfasi del momento, e dicono cose che probabilmente avrebbero evitato se avessero avuto il tempo di rifletterci o se avessero dovuto scriverle e mandarle per e-mail.
Gran parte della comunicazione istantanea è poi anonima. Non potrò mai sapere chi sia davvero Banana321, ovvero chi mi augura di morire di una dolorosa malattia. Banana321 si sente libero di scrivere qualsiasi cosa gli passi per la testa, proprio perché sa che il suo commento risulterà anonimo. Sicuramente quei commenti che scrive in forma anonima non li farebbe mai a una festa, di fronte a persone in carne ed ossa.
Il risultato è che Internet invece di incoraggiare la comunicazione reale, la sta soffocando.
Sulla base delle mie competenze rabbiniche ho deciso di vietare la pubblicazione di commenti anonimi sui social. Un rabbino liberale come me solitamente non emette un Psak Din (“decisione di Legge“). Nel mondo ortodosso i più grandi studiosi giuristi sono i Poskim (“i decisori“ della Legge ebraica) e io non mi pongo certo al loro livello. Ma i rabbini hanno pur sempre l’autorità e la responsabilità di applicare la Tradizione ebraica alle questioni morali del nostro tempo e questo dev’essere fatto con attenzione e scrupolo, non a casaccio. Nel definire la mia opinione una Psak Din, voglio sottolineare la serietà di questo problema nella nostra società.
bloomberg businessweek facebook socialVorrei ora spiegare perché credo che postare commenti anonimi debba essere vietato.
È vietato perché, così facendo, vengono violati una serie di comandamenti/mitzvot della Torah:

Non porrai inciampo davanti al cieco (Levitico 19:14)

Non andrai qua e là facendo il diffamatore fra il tuo popolo (Levitico 19:16)

Non odierai il tuo fratello in cuor tuo (Levitico 19:17)

Amerai il prossimo tuo come te stesso (Levitico 19:18)

Scrivere commenti malevoli su altre persone è proprio la definizione di diffamazione, a cui i rabbini si riferiscono con l’espressione Lashon ha-Ra, letteralmente “malalingua“. Postare commenti di questo genere in forma anonima, inoltre, pone sicuramente “inciampo davanti al cieco“.
I rabbini commentano poi che per evitare che si possa pensare che siano proibite esclusivamente le azioni dettate dall’odio il versetto afferma che anche se l’odio fosse confinato all’interno del proprio cuore, sarebbe comunque vietato. Anche scrivere discorsi carichi di odio è una chiara violazione di questa mitzvah. Infine, “Amerai il prossimo tuo come te stesso” (secondo alcuni il principio cardine della Torah) è l’esatto contrario della malalingua.
Dal momento che sono molte le mitzvot che vengono violate postando in rete commenti malevoli in forma anonima, è importante evitare la pubblicazione anonima anche di commenti benevoli. Si tratta di una “barriera di protezione” che serve a impedire che qualcuno si senta autorizzato a scrivere post anonimi che siano anche solo parzialmente negativi.
Vorrei anche specificare che l’imperativo biblico che consiglia di rimproverare chi sta sbagliando (“hokha’ah tokhiah”-“riprendi pure il tuo prossimo”, Levitico 19:17) non può essere compiuto con un commento negativo postato online. Sebbene il rimprovero implichi inevitabilmente una critica, i rabbini sottolineano che bisogna rimproverare l’altro quando si trova nella condizione di poter recepire l’ammonimento.
Non sarà certo un commento cattivo online a cambiare il comportamento della gente. È anche chiaro che l’intento di tali critiche non è di far sì che il destinatario diventi una persona migliore; l’intento, piuttosto, è di ferire o mettere in imbarazzo. Questo non è lo scopo del rimprovero. I rabbini, infatti, interpretano il finale di questo versetto come il divieto di infangare pubblicamente l’immagine di qualcuno, divieto che si applica perfettamente al trolling online.
I dettami del Levitico disegnano una società ideale, compassionevole, in cui l’amore per il prossimo è tale da muoverci a rimproverarlo con dolcezza e per il suo bene. È una visione sicuramente ambiziosa, ma in fondo essere santi vuol dire proprio questo.
Sforziamoci quindi di essere quei santi che la Torah ci sfida a diventare. Riflettiamo sui nostri interventi online e tratteniamoci dal dire cose che facciano male,  e chiediamoci se sia giusto nascondersi dietro nomi falsi o scrivere espressioni diffamatorie, anche sotto i nostri veri profili social.
Dopotutto D. ha creato il mondo attraverso la Parola e anche noi il nostro mondo, virtuale e reale, lo ricreiamo attraverso la parola.


Michael Strassfeld, The Forward
Society for the Advancement of Judaism – New York

Versione italiana di Francesca Antonioli, - Scuola Superiore Interpreti e Traduttori dell’Università di Trieste, tirocinante presso la redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane




pilpul

L'ometto dell'anno
Affermare che la storia non si ripeta mai, quanto meno nel suo insieme, non implicare il ritenere che tutti gli elementi del passato siano destinati ad essere consegnati definitivamente al tempo trascorso. Se così invece fosse, non dovremmo confrontarci con il ritorno di una «tentazione totalitaria» (il copyright è di Jean-François Revel, anche se lui ne parlava in un contesto storico un po’ diverso dal frangente attuale), che si accompagna al mutamento che stiamo attraversando, così come con l’attrazione per ciò che sembra essere autorevole solo perché è autoritario. Se nel secondo caso l’atteggiamento mentale in questione deriva perlopiù da una deficienza di comprensione, che si fa ripetuta ottusità e rifiuto a qualsivoglia riscontro critico, nel primo, invece, le cose sono un po’ più complesse. Poiché entra in gioco una perversa dinamica, in virtù della quale al riscontro della fragilità delle istituzioni democratiche si accompagna l’attrazione dichiarata per la loro negazione. Ad esse, infatti, si prediligono i sistemi (evidentemente non solo di matrice politica ma anche sociale e culturale) basati su una tanto fittizia quanto seducente unitarietà. Non più tutti per uno così come uno per tutti: semmai «tutti in uno». E non di certo perché “tutti” eguali – nei diritti e nelle opportunità – bensì in quanto uniformi, ovvero atomi aggregati ad un’unica entità, che si chiami Stato, nazione, partito, classe, stirpe, comunità ma anche religione o cos’altro (a conti fatti, le differenze di risultato non sono poi così rilevanti: sempre di sfracelli si sta parlando). L’affermare che il ritorno del fascismo storico non sia alle porte, cosa di cui siamo convinti, in nessun modo libera dall’affanno con il quale assistiamo alle derive in corso, e non solo tra gruppuscoli assortiti, più o meno veraci depositari del «fascismo 2:0» (oppure oltre) così come del «terzo millennio».

Claudio Vercelli
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I 90 anni di Emilio 
Emilio Jona, biellese-torinese esemplare, compie novant’anni. Personalmente sono orgogliosa di conoscerlo e di aver condiviso con lui i momenti più intensi e cruciali per reinventare un futuro della nostra Comunità ebraica di Vercelli e Biella. Solo lui, durante il corso degli anni Novanta riuscì a convincermi che potevo e “dovevo” prendere le redini di una Comunità che stava estinguendosi. Vercelli e Biella, luoghi storici dell’ebraismo piemontese, stavano dimenticando la loro componente ebraica, con il suo immenso patrimonio storico, tradizionale, cultuale ed architettonico.
Con una Comunità ai margini della vita sociale e culturale si era reso necessario un cambio di rotta, un nuovo presidente capace di preservare ciò che restava di una secolare tradizione del Piemonte nord occidentale. Emilio Jona è stato il motore nascosto della Comunità: grazie al suo incoraggiamento ho cominciato a riportare ad una dignità perduta tutti i nostri luoghi sacri e a recuperare le persone e la Memoria, partendo dai pochi iscritti che potevano ancora ritrovare il senso comunitario.


Rossella Bottini Treves, presidente Comunità ebraica di Vercelli

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La terza via
Secondo un rito spesso assai in voga tra commentatori nel mondo ebraico come in quello degli amici d’Israele, ben visibile in rete, sembra impossibile essere, al contempo, preoccupati per le espressioni antisemite e antisioniste riemergenti in comparti di destra e di sinistra, senza essere vicendevolmente tacciati di voler sottovalutare o sottacere ‎le criticità che la propria “fazione” sottolinea.
Rivendico quindi il diritto a una terza via, ovvero quella di potermi preoccupare, in ugual misura, del riproporsi di becere istanze che si richiamano al nazifascismo quanto delle saldature tra antisemitismo e antisionismo, non nuove a sinistra come a destra, senza voler fare (non è un gioco di parole) d’ogni erba un “fascio”.


Gadi Polacco
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