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9 Gennaio 2018 - 22 Tevet 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Roberto
Della Rocca,
rabbino
Ieri Anna Foa ha rivolto la sua attenzione sulla originale rappresentazione di Gesù nelle vesti di una ragazzina nigeriana, e sulla reazione scandalizzata di Forza Nuova. In questi stessi giorni, io stavo invece concentrando la mia attenzione su un altro bambino, Moshé, che nella tradizione ebraica è il paradigma di tutti i bambini perseguitati e che viene salvato grazie a una donna coraggiosa che lo adotta, la figlia del Faraone, e grazie a un Giusto delle Nazioni, Ytrò, ex sacerdote di Midiàn, che diventerà suo suocero.
Moshe, cresciuto senza una famiglia, decide di stabilirsi a Midiàn dando così prova di riconoscenza verso Ytrò e le sue figlie che lo hanno accolto con grande affetto e calore. Sembra essersi insediato e aver iniziato una nuova esistenza ma, quando sceglie il nome per suo primo figlio gli impone il nome di Ghershòm che significa “straniero là” e il testo aggiunge “… perché straniero ero in una terra straniera …” (Shemòt, 18;3), sottolineando il concetto di estraneità che prova in Midiàn. Ma dove è straniero Moshè?
 
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
“E non opprimerai lo straniero, perché voi sapete cosa prova lo straniero, essendo stati stranieri in terra di Egitto” (Esodo 23:9). Per tre volte la Torah insiste sulla parola ‘straniero’, che è anche l’estraneo di passaggio, ed è anche il proselita, colui che non ha stabilità, colui che non appartiene.
Non si vive il proprio ebraismo se non ci si mette nei panni dell’altro, se non ci si sforza di capire e di provare ciò che l’altro prova, ciò di cui gode e ciò di cui soffre. Non è ebraismo quello che nell’altro vede solo l’avversario.
Naturalmente la Torah mette anche in guardia nei riguardi di ‘Amalek – “Ricorda ciò che ti ha fatto ‘Amalek mentre uscivate dall’Egitto” (Deuteronomio 25:17). Curioso che in entrambi i casi il testo distingua il dovere del singolo dall’esperienza collettiva – “E non opprimerai… essendo stati stranieri”; “Ricorda… mentre uscivate”. Il dovere è di ciascuno di noi, proprio perché tutti assieme abbiamo vissuto la nostra storia. Sono ciò che sono, individualmente, perché appartengo a un popolo e ne condivido la storia e il destino collettivo.
Ma è necessario conciliarli i due moniti contrapposti, non se ne può sposare solo quello che più aggrada, nel bene e nel male. Essere ebrei è incarnarsi nell’altro rimanendo sempre fortemente se stessi. Anche nella difesa dei propri interessi, ma sempre senza dimenticarsi l’altro. Un’operazione per niente facile, ma un esercizio continuo di critica umanitaria e di equilibrio quello che ti richiede la Torah. Altrimenti sarebbe troppo facile.
 
La missione di Pence
Il vicepresidente americano Mike Pence sarà in visita ufficiale in Egitto, Giordania e Israele dal 19 al 23 gennaio. Lo ha reso noto la Casa Bianca nelle scorse ore. La missione era attesa per metà dicembre, programmata subito dopo il discorso del presidente Donald Trump sul riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, ma era stata poi rimandata. Pence vedrà prima il presidente egiziano al Sisi poi il re di Giordania Abdullah II e infine il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Previsto anche un suo intervento alla Knesset, il parlamento israeliano.
 
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  davar
qui parigi - a tre anni dall'attacco
Hyper Cacher, l'anniversario

e le nuove minacce antisemite
Nel giorno in cui cade l’anniversario della strage dell’Hyper Cacher di Parigi, in cui quattro persone furono assassinate da un terrorista islamico perché ebree, nella capitale francese torna nuovamente lo spettro dell’antisemitismo. Due negozi casher sono infatti stati danneggiati da un incendio a due settimane di distanza dall’aver subito atti vandalici a sfondo antisemita: sulle serrande delle due attività erano state dipinte delle svastiche. Rispetto all’episodio di ieri, la polizia, riferisce il quotidiano Le Parisien, non ha ancora fatto sapere se si tratti o meno di un incendio doloso. Intanto il Crif, l’organizzazione che rappresenta l’ebraismo francese, ha ricordato in queste ore e chiesto la maggior partecipazione possibile all’evento realizzato questa sera per commemorare le vittime dell’Hyper Cacher.
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l'iniziativa del congresso ebraico mondiale 
Memoria, la campagna è social

"Ricordiamo, anche sulla rete"
Dobbiamo ricordare perché quel ‘mai più’ sembra invece accadere ancora e ancora. È responsabilità delle nuove generazioni insegnare oggi ai loro amici cosa significa l’orrore dell’odio e di diffondere il messaggio che ‘mai più’ deve voler dire davvero ‘mai più’”. È il monito del presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder in occasione del lancio, per il secondo anno consecutivo, della campagna social #WeRemember, noi ricordiamo, un’iniziativa legata al Giorno della Memoria (27 gennaio) per sensibilizzare sulla necessità di contrastare l’antisemitismo e ogni forma di odio, negazionismo, xenofobia.
Un progetto a cui l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha scelto di aderire attivamente, invitando – in particolare attraverso i canali social della redazione UCEI – a partecipare alla campagna anche il pubblico italiano. Per far sentire la propria voce in difesa della Memoria basta un gesto simbolico: prendere carta e penna, scrivere su un foglio #WeRemember, scattarsi una foto insieme al cartello e postarla sui propri profili Facebook, Twitter, Instagram.
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qui roma - la cerimonia
Undici pietre per il ricordo
Della storia di Ester Mieli, neanche sei anni al momento della cattura, si sa ancora molto poco. Visse sicuramente in via dei Delfini al civico 14 insieme ai genitori e al fratello di un anno più piccolo di lei. Ed è probabile che la sera del 15 ottobre 1943, la vigilia della retata nazista al Portico d’Ottavia, abbia dormito in casa dello zio paterno Marco Aurelio in via Catalana 5. E che con loro, quella sera, in casa ci fossero anche i cugini Lazzaro e Rossana.
Da oggi una pietra incastonata nel marciapiede, davanti alla casa in via dei Delfini, ricorda il suo nome e il drammatico epilogo di questa giovanissima vita. Una “stolpersteine”, una pietra d’inciampo, posta dall’artista tedesco Gunter Demnig.
È da questa apposizione, svoltasi alla presenza e con il coinvolgimento di varie decine di alunni di scuole romane, che ha preso ufficialmente il via stamane la nona edizione di Memorie d’inciampo a Roma, iniziativa curata da Adachiara Zevi con il patrocinio dei municipi I, II, V e XIII e il sostegno dell’ambasciata della Repubblica Federale di Germania. Dal 2010, ha spiegato Zevi, sono state 273 le pietre poste complessivamente nella Capitale. Arte al servizio della Memoria: un binomio che, ha poi aggiunto, ha finito per diffondersi a macchia d’olio un po’ in tutto il paese. Tanto che lo stesso Demnig, che dal 1993 ad oggi ha realizzato oltre 60mila pietre d’inciampo, sarà in Italia per oltre due settimane.
Ester, la cui biografia è stata ripercorsa da Bice Migliau, non superò la prima selezione. Fu infatti assassinata il giorno stesso dell’arrivo del convoglio ad Auschwitz, il 23 ottobre 1943. Drammatiche anche le vicende di altre dieci vittime del nazifascismo di cui è stata fatta memoria.
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qui roma - la testimonianza inedita
Elie, la Memoria ricomposta
La sua storia se l’è inghiottita l’Arno, in occasione della drammatica alluvione del 4 novembre 1966. La notizia dell’arresto, i dettagli della detenzione, quel suo rapido passaggio nella prigione cittadina prima della deportazione nel lager.
Elie Marey era poco più di un ragazzino quando, nella primavera del 1944, fu arrestato dai nazifascisti. Allora all’anagrafe faceva Elia Mizrachi, un giovane ebreo italo-francese braccato dagli aguzzini. Dal carcere delle Murate, in cui fu imprigionato dopo il fermo, ebbe inizio il suo viaggio verso l’orrore. Prima il campo di Fossoli, quindi il trasferimento ad Auschwitz-Birkenau, la lotta quotidiana per la salvezza portata all’estremo. Una storia mai raccontata in Italia e che, anche in ragione della sua unicità, non ha mancato di emozionare il folto pubblico accorso alla Casina dei Vallati, sede della Fondazione Museo della Shoah di Roma, dove Marey si è confrontato con i sopravvissuti alla Shoah Sami Modiano e Piero Terracina e con lo storico Marcello Pezzetti.
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pilpul
Consapevolezza, senza rigidità 
Proviamo a fare un po’ di ordine. In particolare riflettiamo, per poche righe, sul rapporto che esiste tra storia ed estetica, tra simboli e architetture. L’argomento è attuale in Italia per quanto riguarda il fascismo, se ne è occupata persino la stampa americana, ma viene agitato più per fare polemica che per ragionare. Ad esempio, lo si è sfruttato per contestare la “legge-Fiano”, che può anche essere messa in discussione, ma che ha il merito oggettivo di affrontare l’emergenza di un neofascismo dilagante e sempre più protervo. Si tende invece a ridicolizzare. Ma come? Volete davvero abbattere l’obelisco del Foro Italico? E cambiare il nome delle scuole intitolate a Vittorio Emanuele III, il re che firmò le leggi razziali, spedì i suoi sudditi a morire in Russia e infine scappò dall’Italia? E poi che altro, magari smontare il Colosseo perché vi morivano i gladiatori?
La questione è complessa, e va affrontata con serietà ma senza reticenze. In una recente trasmissione televisiva è stato citato mio nonno Bruno Zevi, che nel 1956 difese l’edificio (meraviglioso) della “Casa del Fascio” di Como dalla demolizione. Ma mio nonno proponeva di buttare giù nientemeno che il Vittoriano, l’Altare della Patria di Roma! Menzionò questo episodio per spiegare che non va posto alcun limite al dibattito: i monumenti possono essere demoliti, i simboli possono essere divelti, e allo stesso tempo si può scegliere invece di mantenere tracce di storia anche drammatica nella toponomastica, nei luoghi pubblici e nel tessuto urbano.


Tobia Zevi
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Storie - L'alpinista antifascista 
“Il vero alpinista non è fascista”. Lo scriveva nel suo diario Ettore Castiglioni, grande alpinista, rampollo di una famiglia dell’alta borghesia milanese ma nato a Ruffré, in Trentino, nel 1908, autore di guide Touring e Cai, che aprì lungo le Alpi qualcosa come duecento nuove vie.
La sua figura è tornata di attualità non solo per il suo antifascismo ma anche per l’opera di assistenza che svolse dopo l’8 settembre 1943 per guidare sopra Ollemont, verso la Svizzera, e cioè verso la libertà, molti ebrei e dissidenti antifascisti, tra cui anche Luigi Einaudi, il futuro presidente della Repubblica.
“Dare la libertà alla gente, aiutarli a fuggire per me adesso è un motivo di vita” annotava in una pagina del suo diario.
Ricordato a dicembre in Svizzera e in Israele con la proiezione del documentario “Oltre il confine” realizzato da Federico Massa e Andrea Azzetti, è uscito in queste settimane in libreria un saggio che lo riguarda, intitolato “Il giorno delle Mésules” (Hoepli): una selezione dei suoi diari personali dal 1931 al 1944. La prefazione è di Paolo Cognetti, il racconto in calce è invece di Marco Albino Ferrari, curatore dei materiali secondo le volontà di Saverio Tutino, che era nipote di Castiglioni.


Mario Avagliano

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Informazioni sostenibili,
informazioni insostenibili

Le operazioni più elementari cui si è richiamati nella vita consistono, notoriamente, nel saper leggere, scrivere e far di conto. Saper leggere è fondamentale per riuscire a scrivere, perché altrimenti i meno dotati faticherebbero ad ispirarsi ai più bravi.
Le cose si complicano, però, quando l’impresa riguarda il far di conto. Valga un esempio per tutti: sovente ci si sgola a perorare la causa di due popoli per due Stati, come soluzione per il conflitto arabo-israeliano. Sennonché, essendovi in Israele una popolazione non ebraica e prevalentemente araba di quasi due milioni di persone, il rapporto fra popoli e Stati non sarebbe di uno a uno bensì di uno a due, poiché non risulta che la presenza ebraica in Cisgiordania e Gaza sia caldeggiata o comunque contemplata. Come arrivare alla pace se i dati sono rimossi?


Emanuele Calò
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