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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Ieri Anna Foa
ha rivolto la sua attenzione sulla originale rappresentazione di Gesù
nelle vesti di una ragazzina nigeriana, e sulla reazione scandalizzata
di Forza Nuova. In questi stessi giorni, io stavo invece concentrando
la mia attenzione su un altro bambino, Moshé, che nella tradizione
ebraica è il paradigma di tutti i bambini perseguitati e che viene
salvato grazie a una donna coraggiosa che lo adotta, la figlia del
Faraone, e grazie a un Giusto delle Nazioni, Ytrò, ex sacerdote di
Midiàn, che diventerà suo suocero.
Moshe, cresciuto senza una famiglia, decide di stabilirsi a Midiàn
dando così prova di riconoscenza verso Ytrò e le sue figlie che lo
hanno accolto con grande affetto e calore. Sembra essersi insediato e
aver iniziato una nuova esistenza ma, quando sceglie il nome per suo
primo figlio gli impone il nome di Ghershòm che significa “straniero
là” e il testo aggiunge “… perché straniero ero in una terra straniera
…” (Shemòt, 18;3), sottolineando il concetto di estraneità che prova in
Midiàn. Ma dove è straniero Moshè?
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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“E
non opprimerai lo straniero, perché voi sapete cosa prova lo straniero,
essendo stati stranieri in terra di Egitto” (Esodo 23:9). Per tre volte
la Torah insiste sulla parola ‘straniero’, che è anche l’estraneo di
passaggio, ed è anche il proselita, colui che non ha stabilità, colui
che non appartiene.
Non si vive il proprio ebraismo se non ci si mette nei panni
dell’altro, se non ci si sforza di capire e di provare ciò che l’altro
prova, ciò di cui gode e ciò di cui soffre. Non è ebraismo quello che
nell’altro vede solo l’avversario.
Naturalmente la Torah mette anche in guardia nei riguardi di ‘Amalek –
“Ricorda ciò che ti ha fatto ‘Amalek mentre uscivate dall’Egitto”
(Deuteronomio 25:17). Curioso che in entrambi i casi il testo distingua
il dovere del singolo dall’esperienza collettiva – “E non opprimerai…
essendo stati stranieri”; “Ricorda… mentre uscivate”. Il dovere è di
ciascuno di noi, proprio perché tutti assieme abbiamo vissuto la nostra
storia. Sono ciò che sono, individualmente, perché appartengo a un
popolo e ne condivido la storia e il destino collettivo.
Ma è necessario conciliarli i due moniti contrapposti, non se ne può
sposare solo quello che più aggrada, nel bene e nel male. Essere ebrei
è incarnarsi nell’altro rimanendo sempre fortemente se stessi. Anche
nella difesa dei propri interessi, ma sempre senza dimenticarsi
l’altro. Un’operazione per niente facile, ma un esercizio continuo di
critica umanitaria e di equilibrio quello che ti richiede la Torah.
Altrimenti sarebbe troppo facile.
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La missione di Pence
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Il
vicepresidente americano Mike Pence sarà in visita ufficiale in Egitto,
Giordania e Israele dal 19 al 23 gennaio. Lo ha reso noto la Casa
Bianca nelle scorse ore. La missione era attesa per metà dicembre,
programmata subito dopo il discorso del presidente Donald Trump sul
riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, ma era stata
poi rimandata. Pence vedrà prima il presidente egiziano al Sisi poi il
re di Giordania Abdullah II e infine il premier israeliano Benjamin
Netanyahu. Previsto anche un suo intervento alla Knesset, il parlamento
israeliano.
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l'iniziativa del congresso ebraico mondiale
Memoria, la campagna è social
"Ricordiamo, anche sulla rete"
Dobbiamo
ricordare perché quel ‘mai più’ sembra invece accadere ancora e ancora.
È responsabilità delle nuove generazioni insegnare oggi ai loro amici
cosa significa l’orrore dell’odio e di diffondere il messaggio che ‘mai
più’ deve voler dire davvero ‘mai più’”. È il monito del presidente del
World Jewish Congress Ronald Lauder in occasione del lancio, per il
secondo anno consecutivo, della campagna social #WeRemember, noi
ricordiamo, un’iniziativa legata al Giorno della Memoria (27 gennaio)
per sensibilizzare sulla necessità di contrastare l’antisemitismo e
ogni forma di odio, negazionismo, xenofobia.
Un progetto a cui l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha scelto
di aderire attivamente, invitando – in particolare attraverso i canali
social della redazione UCEI – a partecipare alla campagna anche il
pubblico italiano. Per far sentire la propria voce in difesa della
Memoria basta un gesto simbolico: prendere carta e penna, scrivere su
un foglio #WeRemember, scattarsi una foto insieme al cartello e
postarla sui propri profili Facebook, Twitter, Instagram. Leggi
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qui roma - la cerimonia Undici pietre per il ricordo
Della
storia di Ester Mieli, neanche sei anni al momento della cattura, si sa
ancora molto poco. Visse sicuramente in via dei Delfini al civico 14
insieme ai genitori e al fratello di un anno più piccolo di lei. Ed è
probabile che la sera del 15 ottobre 1943, la vigilia della retata
nazista al Portico d’Ottavia, abbia dormito in casa dello zio paterno
Marco Aurelio in via Catalana 5. E che con loro, quella sera, in casa
ci fossero anche i cugini Lazzaro e Rossana.
Da oggi una pietra incastonata nel marciapiede, davanti alla casa in
via dei Delfini, ricorda il suo nome e il drammatico epilogo di questa
giovanissima vita. Una “stolpersteine”, una pietra d’inciampo, posta
dall’artista tedesco Gunter Demnig.
È da questa apposizione, svoltasi alla presenza e con il coinvolgimento
di varie decine di alunni di scuole romane, che ha preso ufficialmente
il via stamane la nona edizione di Memorie d’inciampo a Roma,
iniziativa curata da Adachiara Zevi con il patrocinio dei municipi I,
II, V e XIII e il sostegno dell’ambasciata della Repubblica Federale di
Germania. Dal 2010, ha spiegato Zevi, sono state 273 le pietre poste
complessivamente nella Capitale. Arte al servizio della Memoria: un
binomio che, ha poi aggiunto, ha finito per diffondersi a macchia
d’olio un po’ in tutto il paese. Tanto che lo stesso Demnig, che dal
1993 ad oggi ha realizzato oltre 60mila pietre d’inciampo, sarà in
Italia per oltre due settimane.
Ester, la cui biografia è stata ripercorsa da Bice Migliau, non superò
la prima selezione. Fu infatti assassinata il giorno stesso dell’arrivo
del convoglio ad Auschwitz, il 23 ottobre 1943. Drammatiche anche le
vicende di altre dieci vittime del nazifascismo di cui è stata fatta
memoria. Leggi
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qui roma - la testimonianza inedita Elie, la Memoria ricomposta La
sua storia se l’è inghiottita l’Arno, in occasione della drammatica
alluvione del 4 novembre 1966. La notizia dell’arresto, i dettagli
della detenzione, quel suo rapido passaggio nella prigione cittadina
prima della deportazione nel lager.
Elie Marey era poco più di un ragazzino quando, nella primavera del
1944, fu arrestato dai nazifascisti. Allora all’anagrafe faceva Elia
Mizrachi, un giovane ebreo italo-francese braccato dagli aguzzini. Dal
carcere delle Murate, in cui fu imprigionato dopo il fermo, ebbe inizio
il suo viaggio verso l’orrore. Prima il campo di Fossoli, quindi il
trasferimento ad Auschwitz-Birkenau, la lotta quotidiana per la
salvezza portata all’estremo. Una storia mai raccontata in Italia e
che, anche in ragione della sua unicità, non ha mancato di emozionare
il folto pubblico accorso alla Casina dei Vallati, sede della
Fondazione Museo della Shoah di Roma, dove Marey si è confrontato con i
sopravvissuti alla Shoah Sami Modiano e Piero Terracina e con lo
storico Marcello Pezzetti. Leggi
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Consapevolezza, senza rigidità |
Proviamo
a fare un po’ di ordine. In particolare riflettiamo, per poche righe,
sul rapporto che esiste tra storia ed estetica, tra simboli e
architetture. L’argomento è attuale in Italia per quanto riguarda il
fascismo, se ne è occupata persino la stampa americana, ma viene
agitato più per fare polemica che per ragionare. Ad esempio, lo si è
sfruttato per contestare la “legge-Fiano”, che può anche essere messa
in discussione, ma che ha il merito oggettivo di affrontare l’emergenza
di un neofascismo dilagante e sempre più protervo. Si tende invece a
ridicolizzare. Ma come? Volete davvero abbattere l’obelisco del Foro
Italico? E cambiare il nome delle scuole intitolate a Vittorio Emanuele
III, il re che firmò le leggi razziali, spedì i suoi sudditi a morire
in Russia e infine scappò dall’Italia? E poi che altro, magari smontare
il Colosseo perché vi morivano i gladiatori?
La questione è complessa, e va affrontata con serietà ma senza
reticenze. In una recente trasmissione televisiva è stato citato mio
nonno Bruno Zevi, che nel 1956 difese l’edificio (meraviglioso) della
“Casa del Fascio” di Como dalla demolizione. Ma mio nonno proponeva di
buttare giù nientemeno che il Vittoriano, l’Altare della Patria di
Roma! Menzionò questo episodio per spiegare che non va posto alcun
limite al dibattito: i monumenti possono essere demoliti, i simboli
possono essere divelti, e allo stesso tempo si può scegliere invece di
mantenere tracce di storia anche drammatica nella toponomastica, nei
luoghi pubblici e nel tessuto urbano.
Tobia Zevi
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Storie - L'alpinista antifascista
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“Il
vero alpinista non è fascista”. Lo scriveva nel suo diario Ettore
Castiglioni, grande alpinista, rampollo di una famiglia dell’alta
borghesia milanese ma nato a Ruffré, in Trentino, nel 1908, autore di
guide Touring e Cai, che aprì lungo le Alpi qualcosa come duecento
nuove vie.
La sua figura è tornata di attualità non solo per il suo antifascismo
ma anche per l’opera di assistenza che svolse dopo l’8 settembre 1943
per guidare sopra Ollemont, verso la Svizzera, e cioè verso la libertà,
molti ebrei e dissidenti antifascisti, tra cui anche Luigi Einaudi, il
futuro presidente della Repubblica.
“Dare la libertà alla gente, aiutarli a fuggire per me adesso è un motivo di vita” annotava in una pagina del suo diario.
Ricordato a dicembre in Svizzera e in Israele con la proiezione del
documentario “Oltre il confine” realizzato da Federico Massa e Andrea
Azzetti, è uscito in queste settimane in libreria un saggio che lo
riguarda, intitolato “Il giorno delle Mésules” (Hoepli): una selezione
dei suoi diari personali dal 1931 al 1944. La prefazione è di Paolo
Cognetti, il racconto in calce è invece di Marco Albino Ferrari,
curatore dei materiali secondo le volontà di Saverio Tutino, che era
nipote di Castiglioni.
Mario Avagliano
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Informazioni sostenibili,
informazioni insostenibili
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Le
operazioni più elementari cui si è richiamati nella vita consistono,
notoriamente, nel saper leggere, scrivere e far di conto. Saper leggere
è fondamentale per riuscire a scrivere, perché altrimenti i meno dotati
faticherebbero ad ispirarsi ai più bravi.
Le cose si complicano, però, quando l’impresa riguarda il far di conto.
Valga un esempio per tutti: sovente ci si sgola a perorare la causa di
due popoli per due Stati, come soluzione per il conflitto
arabo-israeliano. Sennonché, essendovi in Israele una popolazione non
ebraica e prevalentemente araba di quasi due milioni di persone, il
rapporto fra popoli e Stati non sarebbe di uno a uno bensì di uno a
due, poiché non risulta che la presenza ebraica in Cisgiordania e Gaza
sia caldeggiata o comunque contemplata. Come arrivare alla pace se i
dati sono rimossi?
Emanuele Calò
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