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18 gennaio 2018 -  2 shevat 5778
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MEMORIA

Il rabbino ritrovato

img headerIl 20-21 ottobre scorso (Shabbat P. Noach, Rosh Chodesh Cheshwan) il Bet ha-Kenesset di Torino è stato visitato da una delegazione proveniente da Israele tutta al femminile: una nonna, due figlie e cinque nipoti della stessa famiglia. Lasciati a casa vari mariti a bada della prole, le sei donne più giovani hanno accompagnato la nonna alla riscoperta della sua città natale. Rivka Grossman è nata infatti a Torino insieme alla sorella gemella Sara il 1° maggio 1936: lo stesso giorno della conquista dell’Abissinia, tanto che un vicino aveva proposto ai genitori di chiamare le due nuove nate Addis e Abeba! Come tutti gli Ebrei stranieri giunti in Italia dopo il 1919 anche la famiglia di Rivka dovette abbandonare il nostro paese nel 1939 per effetto delle leggi razziali. I Grossman raggiunsero Eretz Israel a bordo della nave Galilea prima che colasse a picco al viaggio successivo. Rivka, che aveva allora tre anni appena, non conserva alcun ricordo personale né di Torino, dove ora è ritornata per la prima volta, né del trasferimento in Israele. Chi era suo padre? Rivka è figlia del Rav Eliahu Eliezer Grossman. Nato in Polonia nel 1907, dopo aver conseguito il titolo rabbinico giunse in Italia (1928), a quanto pare a seguito di una proposta matrimoniale. Il 17 maggio 1931 Rav Grossman sposò a Milano Ides (Yehudit) Lichtenstein, figlia dello Shochet locale, titolare di un ristorante kasher nel capoluogo lombardo. Poco dopo le nozze si trasferì a Torino dove svolse, nella Comunità guidata da Rav Giacomo Bolaffio prima e Rav Dario Disegni poi, le funzioni di Chazan e di Shochet. Aprì a sua volta a Torino, nel cortile di Via Principe Tommaso, 20 a due isolati dal Bet ha-Kenesset, un ristorante kasher. Il locale era aperto –testimonia un fratello- a chiunque fosse interessato a un Devar Torah. Negli anni della sua permanenza a Torino il Rav si dedicò con energia a contenere l’assimilazione nell’ambiente ebraico della città. Se si eccettua qualche breve nota d’archivio, della sua presenza gli Ebrei torinesi non paiono aver conservato memoria, forse proprio per il fatto che il periodo si sarebbe chiuso con la tragedia della Shoah. Una volta stabilitosi in Israele, peraltro, Rav Grossman non dimenticò l’Italia. In famiglia si racconta che spesso dal quartiere di Bet ha-Kerem dove abitava a Yerushalaim, di Shabbat faceva oltre un’ora di strada a piedi per raggiungere il Bet ha-Kenesset italiano: qui amava ripetere le melodie che aveva appreso a Torino. Profondamente influenzato e ispirato dal movimento sionistareligioso Mizrachi strinse amicizia, fra gli altri, con Rav Menachem Emanuele Artom. Ho accompagnato Rivka e le sue discendenti alla ricerca delle radici torinesi di lei, aiutandole a ritrovare i luoghi cari alla loro memoria.

Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, gennaio 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

I linguaggi che migliorano il mondo

img headerIn che rapporto è il linguaggio con il mondo? Seguendo l’analisi di J. R. Searle (1979) possiamo distinguere tra caso in cui ‘le proposizioni vanno verso il mondo’ e quello in cui è ‘il mondo ad andare verso le proposizioni’. Cosa significa questo? Nel primo caso Searle restituisce la “direzione di adattamento” che intercorre tra le proposizioni descrittive (“fuori piove”) e la realtà empirica; è questo il caso, per parafrasare il Wittgenstein del Tractatus, in cui “le antenne del linguaggio” toccano il mondo. Nel secondo caso Searle indica la direzione di adattamento che intercorre tra le proposizioni di tipo prescrittivo (“apri quella porta!”) e l’agire degli uomini; in questo caso è appunto il mondo – ossia l’agire sociale – a doversi adeguare al linguaggio. La leshon ha-kodesh, il linguaggio della Torah e del Talmud ha, come evidente, uno spiccato carattere prescrittivo. Tanto che è ricorrente quell’immagine che vorrebbe Atene, ossia la tradizione filosofica greca, come riferimento per quel linguaggio, filosofico in senso lato, finalizzato alla descrizione e comprensione del reale e Gerusalemme, ossia la tradizione ebraica, come riferimento principe per quel linguaggio (etico?) finalizzato a prescrivere all’uomo come deve agire. Certo è una contrapposizione debole come lo stesso etimo di ‘etico’, che è di radice greca, segnala. Tuttavia le halakhot che innervano Torah e Talmud mostrano la parte di verità che di questa contrapposizione (Atene / Gerusalemme) qui rileva: la leshon ha-kodesh non è interessata a dire come il mondo è ma come quella singola collettività, che è Israele, deve agire – non senza rapporto alle prescrizioni sancite per i bene Noah.

Cosimo Nicolini Coen

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informazione  

Gidibì il Terribile, profeta del giornale glocal    

Quarant'anni fa, la notte fra il 14 e il 15 gennaio, moriva Giulio De Benedetti. Il più grande direttore di giornali nell'Italia del secondo Novecento era piccolo. Forse per questo era chiamato con nomignoli: Gidibì per le sigle gd.b. con le quali suggellava in prima pagina commenti essenziali, sferzanti; Ciuffettino per il riporto ribelle che gli cadeva sugli occhi. Quel ciuffo, il perenne maglione girocollo, le passeggiate ogni giorno nei boschi di Rosta, l'aspra sincerità, le sgridate impietose accesero il mito del Terribile, tuttavia pronto all'elogio e capace di affetti tenaci per i suoi giornalisti. Ne fiorirono aneddoti in tale quantità da superare quelli su Luigi Albertini e Mario Missiroli, altri direttori leggendari. Ma più degli sdegni, delle arguzie e delle abitudini, il suo carisma e il suo potere erano dovuti all'idea di giornale, ai risultati raggiunti con La Stampa, della quale nel 1948 si era messo al timone: vasta diffusione, prestigio nazionale ed europeo.


Alberto Sinigaglia, La Stampa,
12 gennaio 2018


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informazione 

Giulio De Benedetti
che intervistò il dittatore  

«Adolfo Hitler il "fascista"» è il titolo di un servizio speciale di Giulio De Benedetti pubblicato il 28 marzo 1923 sulla Gazzetta del Popolo, ne riproponiamo un ampio stralcio.

Si dice che intervistare il «fascista» Adolfo Hitler non sia cosa facile. Così almeno mi hanno informato a Monaco alcuni colleghi tedeschi. Non certo perché egli sia per temperamento un taciturno, ma perché i suoi compagni di fede non desiderano troppo che i giornalisti lo avvicinino. Ma ieri il caso mi ha aiutato. Mentre stavo discutendo nella redazione del Volkische Beobachter con una banda di esaltati (facce di nevropatici e di cocainomani che mi ricordavano un po' i cechisti di Mosca) sulla necessità o meno, e della forma più opportuna di ammazzare tutti gli ebrei e tutti i socialisti, ecco comparire Adolfo Hitler. Presentazione rapida: una stretta di mano così energica da indolenzire le dita (anche questo è un segno di forza) ed incomincia l'intervista.

La Stampa, 12 gennaio 2018


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shir shishi - una poesia per erev shabbat

Mayim, Mayim

img headerUna delle lettere più belle dell'alfabeto ebraico, da quello antico fenicio fino alla scrittura quadrata e corsiva, è la lettera mem che rappresenta nella sua forma pittografica il movimento dell'acqua. L'acqua, Maym in ebraico, maya in aramaico e maye in arabo, ha la grafia del rivolo in movimento, quella goccia preziosa che si raccoglie nella rugiada e appare benefica nelle piogge tanto desiderate e, a volte, minacciose e punitive nella dimensione del diluvio universale.
La tradizione ebraica dà un nome alla prima pioggia, yore, e all'ultima, malkosh. Mentre la parola pioggia ha più sinonimi che precisano sia i fenomeni meteorologici sia la stratificazione linguistica mutata in diversi periodi appartenenti all'ebraico biblico, mishnaico ecc. Si festeggia l'acqua e la pioggia alla fine della festa delle capanne e ogni giorno durante la preghiera Amidah si supplica l'Onnipotente di donare questo bene alla terra. L'acqua dal cielo dovrebbe giungere a noi nei tempi giusti, d'autunno dopo la prima semina e negli ultimi giorni di primavera prima della raccolta del grano color oro. Le parole profetiche di Isaia, capitolo 12, sono divenute con i primi anni dello stato di Israele una canzoncina orecchiabile e un ballo popolare, grazie alla melodia composta da Emanuel Amiran nel 1942 e da allora non c'è un gruppo di danza folcloristica o un matrimonio israeliano con una miriade di partecipanti, che non termini la festa con questa danza.  

*E in fine, una piccola curiosità. La canzone Mayim, Mayim, è da anni un grande hit in Giappone e la amano così tanto fino cantarla in versioni new age, usarla per i video games e per la pubblicità.

Acqua, acqua

E attingerete l'acqua con gioia
dalle sorgenti della salvezza.
E attingerete l'acqua con gioia
dalle sorgenti della salvezza.
Acqua, acqua, acqua, acqua
Oh acqua della gioia
Acqua, acqua, acqua, acqua
Oh acqua della gioia
Hei, hei, hei, hei,
Acqua, acqua,
acqua, acqua,
acqua, acqua della gioia.

Sarah Kaminski, Università di Torino 

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