
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Domani
leggeremo il comandamento e la descrizione del primo seder della nostra
storia, la prima notte della cerimonia eterna che segna l’inizio della
nostra libertà come popolo. Ci sono molte differenze tra Pesach
“mitzraim”, la celebrazione di Pesach dei nostri antenati in Egitto ed
Pesach “dorot”, la celebrazione di Pesach per le future generazioni.
Salto all’occhio il gesto ed il comandamento di porre il sangue del
sacrificio pasquale sulle porte e sull’architrave delle case ebraiche,
cosa che ovviamente non è stata ripetuta nelle generazioni successive.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, storico
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Lo
si dice spesso con orgoglio, Israele è l’unica vera democrazia in Medio
Oriente. E come tale, la società israeliana (e di riflesso quella
ebraica della Diaspora) si confronta oggi con un problema del tutto
simile a quello che attanaglia i paesi europei e nord americani: come
trattare la questione dell’immigrazione. Più in particolare, come
regolamentare la richiesta e l’accoglimento di domande di asilo
politico o umanitario. La risposta dell’attuale governo è stata molto
decisa: espulsione. Non è chiaro se siano stati negoziati accordi con
il Rwanda e l’Uganda (che negano). Di certo i richiedenti asilo (la
gran parte dal Sudan e dall’Eritrea) rischiano, tornando in patria, di
essere perseguitati duramente e versano quindi in chiaro stato di
pericolo. I numeri sono consistenti: si parla di 40.000 persone, di cui
alcune migliaia già “rimpatriate” e altre in procinto di essere espulse.
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Gerusalemme, Trump frena Netanyahu
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In
un'intervista alla Reuters, ripresa da tutti i quotidiani
internazionali, il presidente Usa Donald Trump ha smentito il premier
israeliano Benjamin Netanyahu, che aveva annunciato lo spostamento
dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme entro un anno.
“Entro la fine dell'anno? Stiamo parlando di uno scenario diverso. - ha
detto Trump - Si potrebbe trovare, entro un anno, una soluzione
temporanea. Ma non stiamo cercando di farlo. Assolutamente no”.
Dall'ufficio di Netanyahu è quindi arrivata una precisazione: gli Usa
starebbero pensando a “a misure ad interim che consentirebbero il
trasloco della sede in un anno. Quindi i due leader non avrebbero detto
nulla di differente”. A confermarlo il New York Times, secondo cui
l'amministrazione Trump sta lavorando per trovare una soluzione
temporanea che permetta al suo ambasciatore in Israele, David Friedman,
di trasferire il proprio ufficio in un edificio già esistente a
Gerusalemme nel 2019, prima della costruzione di un nuovo edificio per
l'ambasciata in città. Su Gerusalemme è intervenuto anche Bergoglio
nelle scorse ore, inviando una lettera all'imam egiziano Ahmad
Al-Tayyib in cui afferma che “solo uno speciale statuto, anch'esso
internazionalmente garantito, potrà preservare l'identità, la vocazione
unica di luogo di pace alla quale richiamano i Luoghi sacri, e il suo
valore universale, permettendo un futuro di riconciliazione e di
speranza per l'intera regione” (Osservatore Romano).
Pence in Israele. Come riporta Avvenire, è stato reso noto il
programma degli incontri che attendono il vicepresidente americano Mike
Pence, in visita di Stato in Israele da domenica sera, 21 gennaio, al
pomeriggio di martedì 23. Tra gli appuntamenti più attesi, il discorso
alla Knesset (il 22 alle 10 ora locale) e la tappa al Muro del Pianto
(il pomeriggio del 23). “Pence non incontrerà alcun rappresentante
palestinese: l'Anp ha deciso una rottura dei rapporti con
l'Amministrazione americana dopo la decisione su Gerusalemme”.
Grande pubblico per il Processo a Vittorio Emanuele III. Si è tenuta
ieri la rappresentazione teatrale voluta dall’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane e dalla Presidenza del Consiglio dei ministri
nell’ottantesimo dalle Leggi razziste: imputato, Vittorio Emanuele III,
il sovrano che firmò nel 1938 le infami norme contro gli ebrei. Un
processo, scrive il Messaggero oggi, di cui “si sentiva il bisogno, per
capire meglio la nostra storia senza paraocchi” e che ha richiamato
all'Auditorium di Roma un grande pubblico.
L'Italia e il Giorno della Memoria. Tante le iniziative realizzate in
tutta Italia in occasione del 27 gennaio: a Bologna andrà in scena la
seconda edizione di Run For Mem, la corsa per la Memoria organizzata
dall'UCEI, che ricorderà tra gli altri il grande allenatore di Inter e
Bologna Arpad Weisz (assassinato ad Auschwitz e di cui è stato
ripubblicato da Minerva Il giuoco del calcio, come racconta Avvenire);
oltre cento gli appuntamenti annunciati a Roma nel segno dello slogan
“Memoria genera Futuro”, come racconta il Corriere della Sera (“Cento
incontri, e una convergenza di istituzioni, dal Teatro di Roma
all'Accademia di Santa Cecilia, al Parco della Musica, al Teatro
dell'Opera, alla Museo della Shoah, alle biblioteche, ai centri
anziani”); a Milano - dove oggi saranno apposte per il secondo anno le
pietre d'inciampo (Repubblica Milano) - lunedì prossimo al Teatro Dal
Verme andrà invece in scena “Che non abbiano fine mai”, performance che
coinvolge circa 300 studenti delle scuole superiori, pensato e diretto
dal regista israeliano Eyal Lerner (Avvenire Milano); il 26 gennaio al
Mao di Torino verrà inaugurata l'installazione ideata dalla giornalista
Farian Sabahi e dedicata alla storia dei cosiddetti Bambini di Teheran,
un gruppo di giovanissimi ebrei fuggiti dalla Polonia invasa dai
nazisti e arrivati fino in Iran, da cui poi faranno l'aliyah
(Corriere).
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il presidente mattarella chiama la testimone
Liliana Segre senatrice a vita,
la nomina del Capo dello Stato
Il
Capo dello Stato Sergio Mattarella ha nominato nelle scorse ore Liliana
Segre, Testimone della Shoah sopravvissuta ad Auschwitz, Senatore a
vita della Repubblica italiana. “La vita è molto strana, sono così
vecchia che purtroppo mi ricordo delle leggi razziste di 80 anni fa.
Allora la mia colpa era quella di essere nata. Oggi mi viene
riconosciuto come merito. Questo ho detto al Presidente quando mi ha
chiamato per annunciarmi la nomina”, spiega a Pagine Ebraiche Segre,
pochi minuti dopo la telefonata con Mattarella. “Il Presidente
Mattarella mi ha chiamata poco fa e mi ha dato la notizia. È
un’onorificenza molto bella, di cui andare orgogliosi – ha sottolineato
ancora la Testimone a Pagine Ebraiche – ma la mia vita non cambia,
continuerò a dare la precedenza alle scuole. Il mio compito è quello di
parlare ai ragazzi e non smetterò di farlo”. Al telefono, prosegue
Segre il Capo dello Stato “ha dimostrato grande sensibilità e mi ha
detto, ‘lo so che lei ha scritto e detto tante volte che quando era in
carcere a San Vittore suo padre le chiedeva scusa per averla messa al
mondo’”. Da San Vittore, Liliana Segre, allora tredicenne, assieme al
padre Alberto fu condotta il 30 gennaio 1944 al binario 21 della
Stazione Centrale di Milano e da lì i due furono deportati ad Auschwitz
assieme ad altri 600 ebrei. Tra quelle centinaia di persone, solo in
ventidue tornarono. Liliana tra questi, mentre il padre fu ucciso ad
Auschwitz.
Da
anni Segre dedica il suo tempo e il suo impegno per raccontare alle
nuove generazioni la tragedia della persecuzione nazifascista. Ha
voluto la nascita del Memoriale della Shoah di Milano, luogo che sorge
sul binario 21 da cui lei stessa fu deportata, e ha fatto mettere sul
muro all’entrata la parola Indifferenza per ricordare ai visitatori che
quella fu una delle più grandi macchie della storia del Novecento:
l’indifferenza della società civile di fronte al destino degli ebrei e
degli altri perseguitati.
Tante le felicitazioni arrivate in queste ore a Liliana Segre per la
sua nomina a senatrice. “A nome di tutte le Comunità ebraiche in Italia
la commossa accoglienza di questa decisione del Presidente Mattarella
per questa importante nomina. – le parole della Presidente UCEI Noemi
Di Segni – Risponde esattamente alla profonda esigenza di assicurare
che l’istituzione chiamata a legiferare abbia a Memoria di quanto
avvenuto nel passato e sappia in ogni atto associare al formalismo
della legge, anche l’intrinseca giustizia e rispondenza ai fondamentali
principi etici, in un contesto sempre più preoccupante nel quale
l’oblio rischia di divenire legge oltre che fenomeno sociale”.
(Nell'immagine in basso, Segre ritratta da Giorgio Albertini) Leggi
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la grande intervista a pagine ebraiche
Liliana Segre: "Testimoniare?
Una importante scelta di vita"
Quale
presente, quale futuro per la Memoria? Mai come quest’anno, il periodo
del Giorno a essa dedicato è stato denso di eventi e dibattito. Come
correre ai ripari dal rischio di cadere nella retorica vuota, dagli
effetti della diffusa ignoranza della Storia? Nella sua bella casa
milanese, a raccontare il significato più autentico dell’impegno per il
ricordo è Liliana Segre, che fu deportata ad Auschwitz quando aveva
solo 13 anni e dopo decenni di silenzio, è diventata una delle voci più
ascoltate e potenti sugli anni bui della storia europea.
Liliana Segre, sono passati 14 anni dalla nascita del Giorno della Memoria. Come valuta la sua istituzione?
Noi che abbiamo vissuto la Shoah, non dovevamo certo aspettare questa
Giornata per ricordare. Tuttavia bisogna sottolineare che il Giorno
della Memoria ha risvegliato interesse per l’argomento e soprattutto
messo gli insegnanti in condizione di occuparsene. Poi si possono dire
tante cose. Forse è vero che negli anni si è arrivati a un’overdose di
eventi. Allo stesso tempo, il pensiero che una donna eccezionale come
Elena Loewenthal affermi che è necessario dire basta, per chi come me
ha dedicato alla trasmissione della Memoria 25 anni di vita, pone
interrogativi terribili, sensazioni agghiaccianti. Accade sicuramente
che alcune manifestazioni siano organizzate da persone di buona volontà
ma prive di conoscenza. Ma noi raccontiamo la nostra storia, poi come
viene utilizzata non dipende da noi.
Per tanti anni lei ha scelto di rimanere in silenzio. Come è maturata la decisione di iniziare a parlare?
Sono tornata da Auschwitz molto giovane e mi sono ritrovata diversa
dalle altre ragazze della mia età. La mia sofferenza non era facile da
condividere. Fino a che non ebbi la fortuna di trovare l’amore. Non
avevo ancora 18 anni quando incontrai mio marito Alfredo e fu per la
vita. A quel punto, egoisticamente, tutto ciò che volevo fare era
pensare a lui, ai miei figli, a quello che rappresentava una casa che
potessi chiamare mia, per la prima volta dopo Auschwitz. Per anni mi
sono difesa. Poi alcuni avvenimenti mi fecero cambiare prospettiva.
Diventai nonna, il traguardo che più di ogni altro per me rappresentava
la compiutezza della vita. E uscì il Libro della Memoria di Liliana
Picciotto (Mursia, 1991 ). Nella preparazione del volume ero stata
molto sollecitata a condividere i miei ricordi. Quando vidi quella
sorta di elenco telefonico, con i nomi di tutti i deportati, dei
pochissimi sopravvissuti, fui colpita. Erano trascorsi più di
quarant’anni e non avevo fatto niente per quei morti. Cominciai a
interrogarmi su come rimediare. Non ero insegnante, non mi capitava di
avere un pubblico a cui rivolgermi. Non sapevo nemmeno se mi sarebbe
uscita la voce. La prima volta che parlai mi trovavo con un gruppo a
casa di amici. Poi fu come una valanga.
Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, marzo 2014
(Ritratto di Giorgio Albertini) Leggi
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segnalibro - le testimonianze di liliana segre
"Memoria contro l'indifferenza"
“La
madre di tutti gli orrori è l’indifferenza. Combatterla è una
battaglia persa”. Non per questo Liliana Segre, sopravvissuta alla
Shoah, ha smesso di combattere. Seppur consapevole, con amarezza, di
non potersi dire ottimista, affaticata da un impegno gravoso, Segre
spiega a Pagine Ebraiche di conservare la speranza.
“Quando parlo davanti ai ragazzi, centinai di studenti, dico sempre:
‘Se almeno uno o due di voi si ricorderà di me, sarò felice’. Uno o
due di fronte a una moltitudine. No, non sono ottimista ma comunque
questo pensiero mi da la forza di continuare. E conservo sempre la
speranza”. L’auspicio che l’indifferenza nonostante tutto si sgretoli,
che testimoniare gli orrori della Shoah abbia un significato e serva
per le future generazioni. A loro sono diretti gli ultimi due suoi
libri, pubblicati a gennaio: Fino a quando la mia stella brillerà,
scritto con Daniela Palumbo per la collana dedicata ai ragazzi Il
battello a vapore (Piemme editore) e La memoria rende liberi (Rizzoli)
firmato con Enrico Mentana. “Sono due libri diversi nonostante siano
usciti in contemporanea. Il primo, quello del Battello a vapore, è
rivolto ai più giovani. È una specie di dissociazione di una me
vecchia che racconta la me bambina. Certo le parole sono dure ma per
raccontare quegli avvenimenti non ci sono alternative”.
(Nell'immagine, Liliana Segre a Milano con la Pietra d'inciampo
dedicata al padre Alberto.Al suo fianco l'artista Gunter Demning e il
sindaco di Milano Giuseppe Sala) Leggi
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L'iniziativa di ucei e presidenza del consiglio
Leggi del ’38, il re a processo:
“La Storia ti condanna”
La
Corte decide all’unanimità. Lo Statuto Albertino, la legge vigente
allora, dice che la persona del re è “sacra” e “inviolabile” e quindi
Vittorio Emanuele III in un’aula non ci sarebbe finito. Ma resta la
“condanna della Storia”, quella sì netta, per una chiara complicità del
sovrano nella promulgazione e nell’entrata in vigore delle Leggi
razziste. Si chiudono così due intense ore di dibattimento processuale.
Uno spettacolo, certo. Ma in cui avvocati e magistrati di fama si
confrontano sulle responsabilità di quelle Leggi. E in particolare su
quelle del penultimo re d’Italia, al banco degli imputati.
Un lungo applauso decreta il successo de “Il processo”, la
rappresentazione teatrale voluta dall’Unione delle Comunità Ebraiche e
dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nell’ottantesimo
anniversario delle Leggi del ’38. Qualificata la platea che si è
raccolta all’Auditorium Parco della Musica di Roma: in sala tra gli
altri la presidente della Camera Laura Boldrini, la ministra
dell’Istruzione Valeria Fedeli e il vicepresidente del Csm Giovanni
Legnini. E qualificato il parterre degli attori-giuristi. Paola
Severino, Giuseppe Ayala e Rosario Spina compongono la corte,
presieduta dalla prima, che è rettore e professore di Diritto Penale
alla Luiss oltre che ex ministro della Giustizia, mentre Ayala è
magistrato ed è stato pubblico ministero del maxiprocesso di Palermo
contro la mafia e Spina, anche lui magistrato, è presidente della
sezione presso la Corte d’Appello di Milano. Marco De Paolis, che in
carriera ha istruito oltre 450 procedimenti per crimini di guerra
durante il secondo conflitto mondiale, è il pubblico ministero; mentre
Giorgio Sacerdoti, avvocato cassazionista, professore emerito di
diritto internazionale alla Bocconi e presidente della Fondazione Cdec
di Milano, rappresenta la parte civile e nei panni del re troviamo
Umberto Ambrosoli, avvocato penalista, editorialista e saggista e già
Consigliere regionale della Lombardia. Leggi
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il cordoglio del mondo ebraico
Sion Burbea (1922-2018)
Nel
giugno scorso, quando il premier Paolo Gentiloni aveva visitato la
sinagoga di Roma nel cinquantenario dell’arrivo degli ebrei libici
nella Capitale, un particolare omaggio era stato rivolto proprio a lui.
Uno dei leader storici e incontestabili di questa comunità. Una figura
che, nel corso della sua lunga e intensa esistenza, ha tracciato un
sentiero profondo di impegno, partecipazione, consapevolezza. Una vita
consacrata anche alla Memoria, con la sua testimonianza di
sopravvissuto al lager di Bergen Belsen che con lucidità rievocava
quella storia e tutto quello che ne stava a monte: l’internamento a
Civitella del Tronto, la detenzione a Fossoli, la deportazione nel
campo di sterminio. Finalmente, il 12 settembre del 1945, il ritorno a
Tripoli. Ancora una volta il pericolo, che prende la forma dei tumulti
antiebraici che più volte metteranno a rischio la vita degli ebrei
libici fino al giorno improcrastinabile della fuga nel 1967. Prima
destinazione Londra, dove risiede il fratello. E poi Roma, dove la
famiglia mette radici e dove Sion è protagonista della nascita del
Tempio tripolino di via Veronese. Leggi
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la mostra a palazzo ducale a lucca
Alle origini dell’odio
Inaugurata
a Lucca, nella sala del Trono di Palazzo Ducale, la mostra itinerante
“La razza nemica, la propaganda antisemita nazista e fascista”
realizzata dalla Fondazione Museo della Shoah di Roma.
L’esposizione, a cura di Marcello Pezzetti e Sara Berger, è promossa
dall’Istituto Storico della Resistenza dell’Età Contemporanea in
provincia di Lucca (Isrec), dalla Provincia e dal Comune di Lucca e
dalla Scuola per la Pace. E si avvale inoltre del patrocinio della
Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Regione Lazio, di Roma
Capitale, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, del CDEC, della
Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano e
della Comunità ebraica di Roma.
“Con questa mostra la Fondazione rinnova il suo costante impegno nella
divulgazione della conoscenza della Storia dell’antiebraismo e del
razzismo europeo” ha affermato il Vicepresidente della Fondazione Museo
della Shoah Paolo Masini ribadendo inoltre che “in questi tempi
difficili si tratta di un impegno di fondamentale importanza e che deve
vedere coinvolte tutte le istituzioni”. Leggi
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La moda del lapsus
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Si
può dire qualunque cosa purché poi si dichiari che si è trattato di un
lapsus? Gli allievi interrogati lo fanno in continuazione: danno una
risposta, guardano la faccia dell’insegnante e poi eventualmente si
correggono affermando che è stato un lapsus. E naturalmente protestano
se viene contato come errore. Fanno così, s’intende, anche quando le
possibili risposte sono solo due, e quindi il sistema garantisce il
100% di probabilità di dare una risposta corretta. Niente male, vero?
Nell’Italia di oggi le persone non sono affatto tenute ad assumersi la
responsabilità per quello che dicono. Basta che dichiarino che è stato
un lapsus o che non si riconoscono nelle parole che hanno pronunciato
(altra moda singolare molto diffusa, anche se non si capisce bene cosa
voglia dire) e il gioco è fatto: chi si permette di ricordare le parole
pronunciate e poi smentite è accusato di fare polemiche
strumentali.
Anna Segre, insegnante
Leggi
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Religione e cultura |
Può
esistere religione senza cultura? Si può discernere per esempio la
religione ebraica dalla cultura correlata o da quelle con le quali essa
è venuta in contatto? Suona quasi come qualcosa di illogico, e forse in
parte lo è.
Nei giorni scorsi mi sono dedicato alla lettura di “La Santa
Ignoranza”, pubblicato nel 2008 e scritto dal sociologo francese
Olivier Roy. Roy è un profondo conoscitore dell’Islam e negli ultimi
anni è stato più volte ospite su varie testate per analizzare
l’integralismo islamico. Ha sempre confutato la tesi dello “scontro di
civiltà” insistendo invece sullo scisma contemporaneo tra religione e
cultura, visibile soprattutto nella tendenza universalizzante dei nuovi
movimenti religiosi, del salafismo e di varie branche del
protestantesimo cristiano.
Francesco Moises Bassano
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Cittadinanza da conquistare
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Raccolgo
volentieri l’invito dell’Assessore alla Cultura dell’UCEI David
Meghnagi, a parlare e discutere sul tema del riconoscimento della
cittadinanza italiana ai tanti amici che sono fuggiti dalla Libia nel
48/51 e, dopo essere passati velocemente per Roma, si sono trasferiti
in Israele ricevendo la cittadinanza israeliana in virtù della legge
sulla nazionalità n. 5712/1952 promulgata il 14 luglio 1952 conseguente
alla “Legge del Ritorno” n. 5710/1950, che riconosce a tutti gli ebrei
residenti in Israele al momento della proclamazione dello Stato, il
diritto alla cittadinanza in via automatica.
Detti ebrei hanno diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana
non solo e non tanto perché tale riconoscimento rappresenterebbe un
atto dovuto di riparazione giusto e sacrosanto, seppure simbolico e
tardivo, per la persecuzione che ricevettero a causa delle Leggi
razziste dell’Italia fascista ma soprattutto perché esso costituisce un
loro diritto.
Infatti, come è noto, il Regno di Libia è stato costituito il 7/10/1951
e per la legge sulla cittadinanza libica del 25 aprile 1954 era
considerato cittadino libico chiunque fosse nato in Libia ed ivi
risiedesse al 7/10/1951, purché in possesso di alcuni requisiti; gli
ebrei non sono mai stati considerati dalle autorità libiche cittadini
di tale paese, per essere italo-libici e di religione ebraica,
circostanze che ostavano al riconoscimento della cittadinanza libica;
in assenza di uno specifico accordo tra lo Stato italiano e quello
libico, i cittadini italo-libici non hanno, quindi, perduto il loro
status civitatis, in base al Trattato di pace che ha sancito la
rinunzia dell’Italia ad ogni titolo e diritto sulle colonie in Africa,
ed hanno conservato lo stato di cittadini italiani.
Numerose sono le sentenze che stabiliscono tali principi ma altrettante
sono quelle che con variegate e fantasiose motivazioni che denotano
poca conoscenza della materia, respingono le domande di cittadinanza.
Credo che sia giunto il momento di chiedere al Ministero una nuova
circolare che ribadisca la posizione già espressa ed un intervento sul
Consiglio Superiore della magistratura per sensibilizzare i Giudici sul
tema.
Roberto Coen
Consigliere dell’Associazione italiana avvocati e giuristi ebrei
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