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23 marzo 2018 - 7 Nissan 5778
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Eccolo qua il fuoco della parasha Tzav, quello sull’altare che non diceva mai di spegnersi, quello che consumava i sacrifici ma non bruciava il legno dell’altare, quello che illuminava e dava senso e luce al rito nel Tempio di Gerusalemme. Eccolo qua il fuoco di un altare al quale dovremmo ispirarci quando bruciamo di passioni personali, ambizioni egoistiche, visioni private di ciò che dovrebbe essere interesse e missione pubblica: l’altare o qualunque altro luogo di santificazione collettiva della presenza di Dio.
 
Gadi
Luzzatto
Voghera,
direttore
Fondazione CDEC
Non ho mai avuto simpatia per le celebrazioni dei decennali del 1968. La mia generazione ha vissuto all’ombra di questo mito, restando vittima dell’autocelebrazione imperante degli allora giovani leader della rivolta che hanno vissuto rapidamente un’involuzione autocompiacente, che ha pesato molto sulla cultura e la politica italiana. Loro ci avevano visto lungo, loro rappresentavano la vera novità, loro meritavano di occupare le posizioni di leadership (redazioni di giornali, cattedre universitarie, segreterie di partito) che spettavano di diritto a chi aveva dimostrato nei fatti di aver saputo interpretare il cambiamento. Un cambiamento interpretato come perenne, che non ha permesso alle nuove generazioni di alzare la testa: i giovani erano loro, e basta. L’intervista a Guido Viale sulla Stampa di ieri rappresenta in questo contesto una assoluta novità. Sincera nelle considerazioni impietose sugli errori compiuti nel turbinio sessantottino, lucida nell’analisi delle dinamiche sociali e politiche che vennero allora travolte. Ma soprattutto intelligente nel descrivere l’emergenza di oggi. Che non è – come giustamente dice Viale – il rialzare la testa del fascismo (che è una presenza immanente nel panorama politico italiano), ma è l’emergere del razzismo e dell’odio contro l’immigrato.
 
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Adesivi antisemiti in curva Confermata la sentenza
Si chiude la vicenda giudiziaria (almeno su un piano sportivo) relativa agli adesivi antisemiti con Anna Frank apparsi nella curva dei tifosi della Lazio in ottobre. È stato infatti respinto dai giudici della Corte federale d’appello il ricorso del procuratore Giuseppe Pecoraro contro la sentenza del Tribunale federale che in primo grado si era limitato a infliggere una sanzione di 50mila euro (la richiesta di Pecoraro era di due turni a porte chiuse per lo stadio Olimpico). “Il caso Anna Frank vale 50 mila euro” titola la Gazzetta dello Sport. Che poi scrive: “La storia di Anna Frank in curva Sud finisce qui. Poiché una sanzione è stata comunque comminata, il procuratore non può ricorrere al Collegio di garanzia del Coni. L’amarezza di Pecoraro, dicono, è ormai sopra il livello di guardia”.

Nel giorno dell’anniversario dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, celebrato ieri in forma solenne alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella, Corrado Augias su Repubblica ricorda come si tratti di “uno pochi episodi della guerra e della Resistenza dove la vulgata neofascista è riuscita ad avere una certa circolazione e conseguente credibilità”. Sostanzialmente, viene spiegato, si riduce alla considerazione che se gli esecutori materiali dell’attentato si fossero consegnati agli occupanti nazisti, il massacro si sarebbe evitato. Una versione di comodo, sottolinea Augias, “che ignora circostanze e tempi in cui i fatti si svolsero”.
 
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  davar
il primo giorno in aula della senatrice a vita
Senato, tutti in piedi per Liliana
Il primo giorno nell’aula di Palazzo Madama per Liliana Segre, la Testimone della Shoah nominata senatrice a vita in gennaio dal capo dello Stato Sergio Mattarella, inizia con un lungo applauso.
Tutta l’aula in piedi (con l’eccezione, segnalata da alcuni organi di stampa, del leghista Roberto Calderoli) in questa giornata speciale, che si apre con il riconoscimento ufficiale della nomina da parte del presidente provvisorio Giorgio Napolitano. In mezzo a ore di tensione e trattative serrate per l’elezione dei due presidenti delle Camere un momento che unisce tutte le forze politiche presenti nel segno della Memoria, del coraggio e dell’impegno civile.
Poche ore prima di far ingresso al Senato Liliana ci aveva rivelato di essere emozionata e curiosa per questo nuovo capitolo della sua vita che si apprestava ad affrontare.
Miglior inizio non poteva esserci.

qui roma - la cerimonia 
Fosse Ardeatine, l'anniversario

con volti e storie delle vittime
Sullo schermo, novità di quest’anno, scorrono i volti di tutte le vittime (tranne le poche di cui non è stato possibile trovare un’immagine). Sguardi e smorfie, molto spesso sorrisi, frammenti di un’esistenza destinata a infrangersi contro la barbarie, che toccano il cuore. Come quando si dà lettura di alcuni stralci dei loro diari. Vite spezzate dal mostro nazifascista, ma per fortuna non dimenticate.
Emozioni intense alla solenne cerimonia in ricordo delle vittime dell’eccidio delle Fosse Ardeatine svoltasi ieri sera alla presenza del capo dello Stato Sergio Mattarella. “Abbiamo voluto ricordare l’eccidio proprio nell’ora della macabra mattanza” dice Rosina Stame, presidente dell’Anfim, prima che Aladino Lombardi proceda alla lettura dei nomi di chi in quei luoghi fu strappato alla vita. È poi rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, a concludere la cerimonia con la preghiera secondo il rito ebraico.
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qui torino - la serata con gli studenti
"Israele, l'innovazione è qui"
Sei giovani israeliani, che da anni vivono in città, perché qui studiano in diverse facoltà universitarie, sono stati invitati dall’Associazione ex allievi della Scuola Ebraica di Torino (Asset) a raccontarsi e a comunicare perché su Israele soffia il vento del futuro.
La tecnologia e le start up, ma anche la cucine e la cosmesi, il design e le nuove scoperte in medicina e veterinaria sono state al centro degli interventi di Shmuel, Ruth, Heidi, Shachaf, Paz e Yankie, per fornire un quadro di alcune tra le innovazioni più interessanti in atto in Israele, in vari campi e discipline.


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qui roma - concluso il ciclo di incontri
"Israele tutela le minoranze"
Raccontare Israele, dal punto di vista di una minoranza. Si è concluso a Roma, al Centro Studi Americani, il ciclo di testimonianze dei giovani Jonathan Nizar Elkhoury, Muhammad Ka’biya, Lorene Khateeb. Cristiano libanese il primo, beduino il secondo, drusa la terza – tutti e tre ospiti dell’ambasciata israeliana, che per loro (in collaborazione con diversi enti) ha organizzato alcuni incontri pubblici a Torino, Milano e Bologna fino all’epilogo nella Capitale.
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qui roma - la serata
"Technion, un ponte con l'Italia"
Una serata per discutere di intelligenza artificiale e prospettive di collaborazione tra Italia e Israele sul fertile terreno delle Start Up.
L’Italian Technion Society conferma la sua vocazione alla costruzione di ponti tra realtà (accademiche e non solo) dei due paesi, con un nuovo partecipato incontro che si è svolto al Centro Pitigliani di Roma. Ospiti Shahar Kvatinsky, che al Technion svolge l’incarico di assistente di ingegneria elettronica e che nelle scorse ore ha tenuto alcuni interventi nelle università romane, e Luca Seletto, responsabile delle External Startup Initiatives di Enel.


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pilpul
Israele e gli ebrei americani
Sono sempre stata una convinta sostenitrice del modello italiano unitario – in cui diversi modi di vivere l’ebraismo e diversi livelli di osservanza coesistono all’interno di comunità territoriali ufficialmente ortodosse – e l’ho difeso in decine di scritti e centinaia di discussioni. Tuttavia non credo che ci possiamo permettere di ignorare che il nostro non è affatto il modello prevalente nell’ebraismo diasporico, e in particolare negli Stati Uniti. Molti personaggi (artisti, scienziati, politici, ecc.) che agli occhi del mondo sono ebrei appartengono a comunità non ortodosse, così come appartengono a comunità non ortodosse molti esponenti di organizzazioni ebraiche internazionali, che – ci piaccia o meno – sono viste da tutti come la voce degli ebrei di fronte al mondo.
Sono dunque rimasta un po’ sorpresa dalle parole sbrigative con cui Rav Momigliano nel suo intervento di due giorni fa ha liquidato il Presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder come un “sapientone” che predica sul New York Times. Davvero noi ebrei italiani possiamo credere che il World Jewish Congress sia del tutto irrilevante e che il suo presidente sia una voce isolata da trattare con sufficienza? Rav Momigliano parla del pericolo di “accrescere incomprensioni e spaccature nel mondo ebraico” ma le spaccature esistono già da uno o due secoli indipendentemente da quello che possa pensare Lauder o che possiamo pensare noi.
Peraltro l’articolo di Lauder non intendeva sollecitare divisioni ulteriori, ma, anzi, metteva in guardia contro il pericolo di una frattura tra Israele e gli ebrei americani. Secondo la sua opinione Israele, pur avendo un modello di ebraismo prevalentemente ortodosso al di là del livello di osservanza dei singoli (un modello simile a quello italiano, dunque non siamo poi così isolati e anomali come sostengono alcuni), era riuscito nei suoi primi settant’anni di vita a creare un legame forte con l’ebraismo americano, prevalentemente non ortodosso. Ora, a detta di Lauder, questo legame sta venendo meno a causa di una serie di scelte politiche israeliane che hanno portato molti ebrei americani a non sentirsi più benvenuti nello stato ebraico a differenza di quanto era accaduto finora. Non sta certo a me dire se abbia ragione o no, ma indubbiamente una presa di posizione così dura da parte del presidente del Congresso Mondiale Ebraico non può non preoccupare chiunque abbia a cuore il futuro di Israele. 


Anna Segre, insegnante

Tecniche di sopravvivenza
“Zweig sedeva nel vano della finestra e guardava fuori ma non vedeva Haifa. Vedeva più lontano. La lingua tedesca sua e di Moshé era evidentemente qualcosa di molto speciale. Nell’isolamento della Terra d’Israele avevano vagliato bene quella lingua, ne avevano eliminato ogni inciampo. Zweig ascoltava, sulle onde corte della radio, le trasmissioni dalla Germania, si annotava le espressioni sconce, la cosa che lo irritava più di ogni altra era il vedere ciò che quei mascalzoni avevano fatto contro la lingua. […] Nella città di Haifa degli anni Quaranta, sul Monte Carmelo, sedevano l’uno accanto all’altro il direttore di un museo ebraico oriundo della Galizia e uno scrittore ebreo-tedesco perseguitato, e tenevano in vita la lingua tedesca, la salvaguardavano, la corteggiavano, la salvavano da se stessa, si gingillavano con i suoi tesori nascosti, ne piangevano le deviazioni, tentavano di capire la grammatica interiore della lingua hitleriana per sradicarla e restituirla poi, a suo tempo, al legittimo proprietario. Stavano, là, abbracciando una lingua che li aveva traditi, che aveva buttato fuori Zweig, che lo voleva morto.”
Questa scena è tratta da un bel libro autobiografico di Yoram Kaniuk del 1982, “Post Mortem” – purtroppo fuori edizione – che racconta la Tel Aviv degli anni venti e quaranta, quella dei primi immigrati, in gran parte provenienti dalla Germania nazista. Il Moshé che compare accanto ad Arnold Zweig, il quale al tempo si rifugiò provvisoriamente in Palestina per sfuggire alle persecuzioni, è il padre dell’autore. Il passo citato racconta quello che per Zweig fu paradossalmente un doloroso “esilio” in una terra “straniera”, e quindi il rapporto di odi et amo tra gli ‘olim e la diaspora, sul quale s’incentra gran parte del romanzo. Ma come si può continuare ad amare una cultura che in qualche modo si è rivelata traditrice?


Francesco Moises Bassano
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