Jonathan Sacks, rabbino
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tempi complessi, lo sappiamo. Basta aprire un giornale o guardare un
telegiornale. Eppure, mai nella storia, gli ebrei hanno goduto delle
opportunità di cui gode questa generazione. Uno Stato ebraico sovrano,
e in Diaspora la possibilità di essere protagonisti con pari diritti
rispetto al resto della cittadinanza. È quindi un tempo fecondo per
svolgere la nostra missione e dare un contributo alla società.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | Non riesco molto a capire che cosa celebreremo il prossimo 25 aprile. Probabilmente nulla.
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Ungheria al voto, la Heller
"Mio paese una tirannia"
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Ottime
possibilità di terzo mandato per il premier ungherese Viktor Orban.
Riflette l’intellettuale Agnes Heller, che in gioventù scampò alla
Shoah e che del premier magiaro è una ferma oppositrice, in una
intervista con il Corriere: “L’Ungheria non è un paese totalitario, ma
è sicuramente una tirannia”. Secondo Heller, Orban non sarebbe
antisemita. Ma userebbe tutto ciò che gli serve per rafforzare il
potere, avvelenando l’anima del popolo. Come nel caso delle note
campagne contro George Soros. Nel suo caso, afferma, userebbe il
sistema di Erdogan con Gulen. “Soros è americano, ebreo, ha origini
ungheresi. Il nemico perfetto per Orban”.
Diversi quotidiani dedicano spazio alla morte di Yaser Murtaja, il
fotoreporter palestinese rimasto ucciso al confine tra Striscia di Gaza
e Israele. Secondo Hamas, il gruppo terroristico che controlla la
Striscia, da un cecchino israeliano. Scrive Repubblica: “Ieri ci sono
stati i suoi funerali, c’era il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh.
Sulla bara ricoperta dalla bandiera palestinese c’era anche un
giubbotto antiproiettile con la scritta ‘Press’, uno di quelli che
indossano i giornalisti in zone di guerra”. Il Corriere segnala “la
protesta a Ramallah in contemporanea con i funerali” del sindacato dei
giornalisti palestinesi.
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pagine ebraiche, lo speciale dossier su israele 70 anni, la Storia diventa poesia ILa
prima trasmissione di “Kol Israel” (La voce di Israele – la radio
nazionale) iniziò un minuto prima delle 4 di pomeriggio del 14 maggio
1948. Solo un minuto prima che David Ben Gurion iniziasse a dichiarare
ufficialmente la nascita dello Stato di Israele. “In Eretz Israel è
nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale,
religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha
creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al
mondo l’eterno Libro dei Libri”, la lettura solenne di Ben Gurion,
primo Premier d’Israele. “Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che esigeva la
fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel. L’Assemblea Generale
chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i
passi necessari alla messa in atto della risoluzione. Questo
riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a
fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto riafferma il
diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri
popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano. Quindi noi, membri del
Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità ebraica in Eretz
Israel e del Movimento Sionista , siamo qui riuniti nel giorno della
fine del Mandato Britannico su Eretz Israel e, in virtù del nostro
diritto naturale e storico e della risoluzione dell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in
Eretz Israel, che avrà il nome di Stato d’Israele”. Alla vigilia del
sabato, 5 Iyar 5708, 14 maggio 1948, nel Museo di Tel Aviv i padri
dello Stato firmarono la dichiarazione d’Indipendenza d’Israele,
proclamandone ufficialmente la nascita. Un evento storico, organizzato
con relativa segretezza per paura che gli egiziani potessero bombardare
il luogo: Ben Gurion e i sui ministri scelsero infatti di non
diffondere la notizia del luogo prescelto per la dichiarazione.
Nonostante questo attorno al museo di Tel Aviv si raccolse una folla
enorme. La voce si era diffusa e gli ebrei di tutto il mondo
attendevano con ansia le parole di Ben Gurion: “Anu Machrizim Ba’Zot Al
Hakamat Medina Yehudit Be’Eretz Yisrael, Hi Medinat Yisrael”. Lo Stato
d’Israele era nato. Per le strade si cominciò a cantare l’HaTikvah (la
speranza), la poesia sionista di Naftali Hertz Imber (scritta 1878) il
cui riadattamento diventò inno dello Stato. “La speranza due volte
millenaria, di essere un popolo libero nella nostra terra” scrisse
Imber, quella speranza il 14 maggio 1948 diventò realtà. Quest’anno
cade il settantesimo anniversario da quello storico giorno e nelle
pagine del dossier Israele 70 sul numero di Pagine Ebraiche di aprile
in distribuzione ne celebriamo il ricordo attraverso le parole di
alcuni dei cantori della storia moderna d’Israele: poeti e scrittori
che come Imber hanno costruito con le parole la coscienza di una
nazione ebraica libera, ne hanno raccontato le aspirazioni, le
sofferenze, gli amori, le speranze.
Daniel Reichel, Pagine Ebraiche aprile 2018
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qui roma - la nomina Maccabi, Tesciuba presidente Un
nuovo presidente per la sezione romana del Maccabi. Alla guida
dell’organizzazione sportiva per il prossimo quadriennio è stato
infatti chiamato Amos Tesciuba, 32 anni, attuale assessore allo Sport
della Comunità ebraica cittadina. Nel nuovo Consiglio, nel segno di un
ricambio generazionale, anche Ruben Benigno (30 anni), Roberto Calò
(32) e Federico Ascoli (30).
Ha dichiarato Tesciuba, anima in questi anni di molte iniziative
sportive e aggregative rivolte al mondo ebraico e non solo, subito dopo
la nomina: “Ci siamo posti più obiettivi, fin dal momento in cui
abbiamo deciso di candidarci. Su tutti, quello di coinvolgere e
valorizzare i nostri ragazzi più piccoli, ripartendo da tutto ciò che
di buono è stato fatto e portato avanti, dalla precedente gestione, in
questi anni". Leggi
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Una vecchia pellicola
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Obiettivo:
esercizio di sceneggiatura usando un copione già ingiallito. Premessa:
facciamo di Gaza una sorta di territorio integrato e prospero (lo
pensava, tra gli altri, il “buonista” Shimon Peres, con la sua visione
di Mizrah haThikon haHadasha, un «nuovo Medio Oriente»). Non capita
nulla di tutto ciò, “ovviamente”. Ma questo è già un altro discorso.
Come lo è anche il ritiro unilaterale del 2005, quello voluto da Ariel
Sharon (evidentemente “buonista” anche lui). Sequenza uno: dopo dodici
anni dalla vittoria alle legislative (25 gennaio 2006) e dalla brutale
cacciata dei “fratelli antagonisti” dell’Olp di Fatah (qualcuno se la
ricorda?), il “movimento” è un po’ anchilosato, necessitando di oliare
gli ingranaggi del consenso. In Medio Oriente non si può mai stare
fermi: per mantenere le egemonie politiche in via di ossificazione
bisogna sempre fare girare vorticosamente le pale della società civile,
eventualmente gettandola nel carnaio. Chi non lo fa, come Israele (che
le leadership le elegge attraverso le maggioranze parlamentari), è
infatti una “entità” illegittima. Sequenza due: una precondizione per
riprendere i «negoziati di pace» è legata alla ricomposizione dei
rapporti tra Hamas e Olp-Autorità nazionale palestinese. Quale sarebbe,
altrimenti, il vero interlocutore? La «comunità internazionale»
sollecita la riconciliazione.
Claudio Vercelli
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