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19 luglio 2018 - 8 av 5778
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Società

Normalità adulta

img headerHo recentemente assistito a un Bar Mitzwah a Torino. In una Comunità piccola è ormai una rarità. Ma di questa Comunità in particolare apprezzo grandemente la sobrietà anche negli eventi più lieti: a mio avviso dovrebbe essere presa a esempio dagli altri. A cominciare dagli inviti. La famiglia ha scelto di non stampare cartoncini di partecipazione. In questa occasione si è limitata a diramare un messaggio via e-mail e whatsapp. Il risultato è stato che chi doveva esserci, chi veramente è vicino al festeggiato, c'era. Le Tefillot si sono potute svolgere con grande calore, ma senza la gazzarra di chi interviene senza capire, per puro dovere sociale e finisce presto per annoiarsi. Ma soprattutto senza l'imbarazzo del "vengo anch'io? No, tu no" perché non hai ricevuto l'invito formale. Questo complesso è tanto più sentito quanto più piccola è la Comunità: qui può accadere che frequentatori abituali disertino addirittura la Tefillah se sanno di un invito che non hanno ricevuto. Al Qiddush tutti i presenti erano indistintamente invitati. Ma andiamo con ordine. Per la mattina di Shabbat il Bar Mitzwah ha degnamente preparato due chiamate della Parashah. L'indispensabile per fare una figura più che dignitosa. Spesso il Bar Mitzwah è sentito come una gara di abilità fra chi si limita alla lettura di pochi versetti ("poverino"!) e chi invece è in grado di fare sfoggio dell'intera pericope settimanale.

Rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, luglio 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

Bioetica, il corpo umano tra regole e identità  

img headerIl differente rapporto tra simbolico (o normativo) e concreto (o corporeo) che a mio avviso, come scrivevo, si può riconoscere sotteso al Brith Milà e al Bar Mizvà – dove nel primo caso il simbolico è chiamato a orientare e, letteralmente, incidersi sul corporeo laddove, nel secondo, è una dinamica fisiologica (la crescita) a essere rielaborata simbolicamente – mette sulle tracce di una problematica che esula dall’ebraismo riguardando il modo in cui l’uomo decide di gestire i rapporti tra i propri ideali e valori, da una parte, e le esigenze concrete – che l’uomo ha in quanto animale – dall’altra. Ora a queste esigenze, forse riassumibili sotto il sintagma del conatus essendi, impulso alla vita e al benessere (salute, riproduzione…), la tecnica medica moderna ha fornito sempre più risposte, con una proporzionale crescita delle nostre aspettative – parlando del ‘noi’ occidentale. Il confronto tra le esigenze corporee (vitali e non), e relative tecniche mediche, e i differenti valori che abitano l’Europa costituisce lo sfondo di ogni dibattito bioetico – che acquista poi profondità specifica rispetto ai distinti campi. È indubbio che anche su questi temi si giocherà il futuro dell’Europa, e non solo. Ma, appunto, cos’è l’Europa?

Cosimo Nicolini Coen 

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Società      

La lezione perduta
delle leggi razziste

“A 80 anni di distanza dalla infamia delle leggi razziali, la dignità umana è ancora in pericolo. Si assiste a un crescente manifestarsi di atti di intolleranza razziale, odio e pericolosa radicalizzazione. Non pensavamo di veder nuovamente leggi e decreti democraticamente approvati, ma che violano fondamentali principi. Questi atti di intolleranza sono purtroppo alimentati e legittimati anche da esponenti delle istituzioni". Sono parole di Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche italiane, pubblicate dal giornale Pagine Ebraiche (13 luglio).







Furio Colombo, Il Fatto Quotidiano,
15 luglio 2018


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Società 

L'Europa da raccontare

Dicono che l'Europa sia finita. Ma allora perché, quando ne parlo appassionatamente in pubblico, la gente applaude? Perché quando descrivo le pianure, i fiumi e le montagne di questa terra unica al mondo, gli ascoltatori hanno gli occhi lucidi? Perché si allarmano quando dico loro tutta la follia autolesionista di Brexit e spiego come il nazionalismo ci porterà alla rovina per la terza volta in un secolo? Ho un'unica spiegazione. Esiste uno spaventoso vuoto narrativo intorno all'Europa. Un vuoto che essi denunciano già con lo stupore dello sguardo. Lo sguardo di uno che quelle cose non le ha mai sentite prima. Lavoro da quattro anni come voce narrante in un'orchestra giovanile europea (www.esyo.eu) che assembla ragazze e ragazzi spesso figli dei Paesi più euroscettici del Continente, e ogni anno assisto alla medesima, stupefacente metamorfosi.

Paolo Rumiz, La Repubblica, 17 luglio 2018 


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

Sul monte Gilboa

img headerUna delle tragedie più amare della narrazione biblica si svolge sulla terra arida del Monte Gilboa. Il re Shaul, oramai privo della benedizione di Dio e del suo profeta Shemuel, combatte da solo la sua ultima battaglia. Da giovane pastore ha risposto piuttosto imbarazzato alla chiamata del profeta che lo unge con l'olio reale e lascia le bestie per diventare il primo re di un gruppo di tribù a cui manca la nozione politica di identità unitaria e il senso di responsabilità condivisa. Ma le favole terminano inaspettatamente e ben presto un altro pastore, il bel ragazzo David, dagli occhi belli e dai capelli di fuoco, conquista il cuore di Michal, la figlia di Shaul, e poi di tutto il popolo. Il re perde su tutti i fronti, sia come statista sia come uomo d'onore.                                                           
E ciò nonostante preferisco Shaul a David o a Shlomo, con il suo folto harem in stile assolutamente pagano. Shaul ha perso l'esercito, i suoi comandanti, l'amato figlio e nella solitudine più profonda si toglie la vita da eroe. Solo un ragazzo amalekita, uno straniero maledetto, appartenente alla discendenza della casa di Esav (parte della stirpe che genererà anche il malvagio Haman) gli rimane accanto impaurito e altrettanto solo. La poesia di Lea Naor, musicata da Yossef Hadar rievoca la coreografia del Monte Gilboa e ci consola per la morte di un eroe perdente.

L’arida estate giunse a tempo debito
sul monte Gilboa.
Saul si appoggiò alla lancia
sul monte Gilboa.
Solo un ragazzo straniero era con lui
solo un ragazzo dei figli di Amalek.
Arida e calda, arida e calda
è l’estate nella valle.

La terra è color carbone
in estate nella valle.
Forse fu lo scirocco
forse fu l’ora del crepuscolo
forse un tramonto d’oro
come oggi e alla stessa ora.

La valle si apriva ai suoi piedi
sul monte Gilboa.
L’estate allora era come ora
sul monte Gilboa.
Di fronte il Tabor
e lontano il monte Hermon,
come se il tempo non fosse trascorso
sul monte Gilboa.
Le stesse rocce, rocce riarse
sul monte Gilboa.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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