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 4 settembre 2018 -  24 elul 5778
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ETICA

Il 'Sentiero dei Giusti' e la voce di Hadar   

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img headerMoshe Haim Luzzatto e Hadar Goldin / EICH LIVNOT HAIM / Koren

Una delle opere fondanti del musar, il pensiero etico ebraico, firmata da uno dei più grandi rabbini e pensatori italiani di tutti i tempi, rav Moshe Haim Luzzatto (1707-1746), e la voce, le riflessioni personali di un giovane la cui vita sarà spezzata troppo presto. La casa editrice israeliana Koren, che tra i suoi prodotti include l’importante edizione del Talmud curata da rav Adin Steinsaltz e i siddurim e mahzorim (libri di preghiere) tradotti e commentati da rav Jonathan Sacks, pubblica ora “Eich livnot haim” (Come costruire una vita), volume che presenta il Messilat Yesharim (Il Sentiero dei Giusti) del Ramhal – come Luzzatto è noto – con i commenti a margine di Hadar Goldin, ventitreenne sottotenente delle Forze di Difesa israeliane che durante l’operazione Margine Protettivo del 2014 fu ucciso a Gaza da uomini di Hamas, che ne prese in ostaggio il corpo, di cui è ancora in possesso. “Il fratello Tzur ci portò a casa la copia di Mesillat Yesharim di Hadar – ricorda il padre Simha nella prefazione  - Quando lo aprii rimasi senza fiato. Il libro conteneva il confronto di un giovane uomo con i suoi valori e la vita interiore, pagine riempite di idee e pensieri nella sua calligrafia fitta. Sul margine destro di ogni pagina Hadar riassumeva l’essenza di ciascun paragrafo e punto del Mesillat Yesharim, secondo quando capiva e assorbiva. Sul lato opposto scriveva a se stesso cosa avrebbe dovuto fare per migliorare il suo carattere, comprendere le sfide descritte dal Ramchal, ed essere un giusto”..

Rossella Tercatin
 

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storiA

Carlo Levi insegna: la paura ci ruba la libertà  

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img headerCarlo Levi / PAURA DELLA LIBERTÀ / Neri Pozza

Nell’inverno 1939-40, sulle rive dell’Atlantico con alle spalle un continente sempre più nazificato, Carlo Levi si confronta con la Storia. Ne nasce Paura della libertà, un testo che poi pubblica nel 1946 e che in queste settimane l’editore Neri Pozza ha ripubblicato con una introduzione sapida di Giorgio Agamben. Quando a guerra finita e a liberazione avvenuta si tratta di fare i conti con ciò che è stato, ma anche con ciò che resta, perché la condizione di liberazione non significa libertà quel rovello ritorna. L’imperativo è la necessità di un percorso che metta al centro quella voglia di schiavitù che aveva connotato l’Europa di ieri. Nel settembre 1944, in La Nazione del Popolo, un periodico che dirige nella Firenze appena liberata, quel rovello sulla paura della libertà ritorna. In un testo dal titolo significativo Razzismo e idolatria statale, che credo sarebbe un ottimo esercizio per riflettere non in maniera celebrativa ma inquieta sull’anniversario della legislazione razziale in Italia, scrive: “Il nazismo (e il fascismo, suo corrotto e compromesso equivalente nostrano) fu uno scoppio di forze irrazionali, in un mondo troppo meccanizzato.

David Bidussa, storico sociale delle idee
Pagine Ebraiche, agosto 2018
 

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narrativa

Cinque generazioni
di donne  

narrativA

Nelle lettere di Ester
c’è la sete di conoscenza    

Shifra Horn (traduzione di Sarah Kaminski) / QUATTRO MADRI / Fazi

Shifra Horn è un'autrice israeliana dal curriculum lungo e vario. Nata nel 1951 a Tel Aviv, si è laureata in studi biblici e archeologia e più tardi in comunicazione di massa, ha pubblicato numerosi romanzi racconti e saggi ma ha anche fatto parte di organizzazioni e istituzioni israeliane, si è battuta pubblicamente per la pace ed è stata corrispondente dal Giappone del quotidiano Maariv per alcuni anni. Per qualche implicita ragione una formazione così densa e ricca mi sembra affiori nel romanzo del 1996 che ora il suo editore italiano, Fazi, propone nella buona traduzione di Sarah Kaminski, Quattro madri. È un romanzo che apparentemente non ha nulla a che vedere con la politica e la situazione di Israele, ma esprime un attaccamento alla storia di quel travagliato piccolo lembo di terra e alla vita dei suoi abitanti che sembra nascere non solo dall'immaginazione romanzesca ma da indagini e riflessioni molto appassionate.

Elisabetta Rasy,
Il Sole 24 Ore Domenica, 19 agosto 2018


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Rachel Kadish / IL PESO DELL'INCHIOSTRO / Neri Pozza

Una vertigine lunga cinque secoli. Un salto nel tempo che porta nel giro di poche pagine dall'inizio del XXI secolo agli anni della peste, tra Londra, Amsterdam e il deserto del Sinai. Difficile immaginarlo dal titolo o dalla copertina blu incorniciata da un delicato motivo floreale dorato, ma Il peso dell'inchiostro, l'ultima opera di Rachel Kadish, pubblicata in Italia da Neri Pozza, è qualcosa di indefinibile, all'incrocio tra giallo, saggio storico e romanzo di iniziazione.
Difficile anche dire se protagonista è Helen Watt, studiosa di storia ebraica vicina alla pensione, in lotta con l'accademia e con le sue dinamiche politiche e di potere, oppure "aleph", il misterioso scrivano che assiste il rabbino HaCoen Mendes, privato della vista dall'Inquisizione e si firma solo con la prima lettera dell'alfabeto ebraico. Ebraico, portoghese, carte vecchie di secoli pronte a disfarsi nelle mani degli studiosi, e rivalità accademiche si mescolano ai ricordi di un grande amore del passato da parte della professoressa.

Ada Treves,
La Stampa ttL,
14 agosto 2018


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