ETICA
Il
'Sentiero dei Giusti' e la voce di Hadar
Moshe Haim Luzzatto e Hadar Goldin / EICH LIVNOT HAIM / Koren
Una delle opere fondanti del musar, il pensiero etico ebraico, firmata
da uno dei più grandi rabbini e pensatori italiani di tutti i tempi,
rav Moshe Haim Luzzatto (1707-1746), e la voce, le riflessioni
personali di un giovane la cui vita sarà spezzata troppo presto. La
casa editrice israeliana Koren, che tra i suoi prodotti include
l’importante edizione del Talmud curata da rav Adin Steinsaltz e i
siddurim e mahzorim (libri di preghiere) tradotti e commentati da rav
Jonathan Sacks, pubblica ora “Eich livnot haim” (Come costruire una
vita), volume che presenta il Messilat Yesharim (Il Sentiero dei
Giusti) del Ramhal – come Luzzatto è noto – con i commenti a margine di
Hadar Goldin, ventitreenne sottotenente delle Forze di Difesa
israeliane che durante l’operazione Margine Protettivo del 2014 fu
ucciso a Gaza da uomini di Hamas, che ne prese in ostaggio il corpo, di
cui è ancora in possesso. “Il fratello Tzur ci portò a casa la copia di
Mesillat Yesharim di Hadar – ricorda il padre Simha nella
prefazione - Quando lo aprii rimasi senza fiato. Il libro
conteneva il confronto di un giovane uomo con i suoi valori e la vita
interiore, pagine riempite di idee e pensieri nella sua calligrafia
fitta. Sul margine destro di ogni pagina Hadar riassumeva l’essenza di
ciascun paragrafo e punto del Mesillat Yesharim, secondo quando capiva
e assorbiva. Sul lato opposto scriveva a se stesso cosa avrebbe dovuto
fare per migliorare il suo carattere, comprendere le sfide descritte
dal Ramchal, ed essere un giusto”..
Rossella Tercatin
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storiA
Carlo Levi insegna: la paura ci ruba la libertà
Carlo Levi / PAURA DELLA LIBERTÀ / Neri Pozza
Nell’inverno 1939-40, sulle rive dell’Atlantico con alle spalle un
continente sempre più nazificato, Carlo Levi si confronta con la
Storia. Ne nasce Paura della libertà, un testo che poi pubblica nel
1946 e che in queste settimane l’editore Neri Pozza ha ripubblicato con
una introduzione sapida di Giorgio Agamben. Quando a guerra finita e a
liberazione avvenuta si tratta di fare i conti con ciò che è stato, ma
anche con ciò che resta, perché la condizione di liberazione non
significa libertà quel rovello ritorna. L’imperativo è la necessità di
un percorso che metta al centro quella voglia di schiavitù che aveva
connotato l’Europa di ieri. Nel settembre 1944, in La Nazione del
Popolo, un periodico che dirige nella Firenze appena liberata, quel
rovello sulla paura della libertà ritorna. In un testo dal titolo
significativo Razzismo e idolatria statale, che credo sarebbe un ottimo
esercizio per riflettere non in maniera celebrativa ma inquieta
sull’anniversario della legislazione razziale in Italia, scrive: “Il
nazismo (e il fascismo, suo corrotto e compromesso equivalente
nostrano) fu uno scoppio di forze irrazionali, in un mondo troppo
meccanizzato.
David Bidussa, storico sociale delle idee
Pagine Ebraiche, agosto 2018
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narrativa
Cinque generazioni
di donne
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narrativA
Nelle lettere di Ester
c’è la sete di conoscenza
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Shifra Horn (traduzione di Sarah Kaminski) / QUATTRO MADRI / Fazi
Shifra Horn è un'autrice israeliana dal curriculum lungo e vario. Nata
nel 1951 a Tel Aviv, si è laureata in studi biblici e archeologia e più
tardi in comunicazione di massa, ha pubblicato numerosi romanzi
racconti e saggi ma ha anche fatto parte di organizzazioni e
istituzioni israeliane, si è battuta pubblicamente per la pace ed è
stata corrispondente dal Giappone del quotidiano Maariv per alcuni
anni. Per qualche implicita ragione una formazione così densa e ricca
mi sembra affiori nel romanzo del 1996 che ora il suo editore italiano,
Fazi, propone nella buona traduzione di Sarah Kaminski, Quattro madri.
È un romanzo che apparentemente non ha nulla a che vedere con la
politica e la situazione di Israele, ma esprime un attaccamento alla
storia di quel travagliato piccolo lembo di terra e alla vita dei suoi
abitanti che sembra nascere non solo dall'immaginazione romanzesca ma
da indagini e riflessioni molto appassionate.
Elisabetta Rasy,
Il Sole 24 Ore Domenica, 19 agosto 2018
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Rachel Kadish / IL PESO DELL'INCHIOSTRO / Neri Pozza
Una vertigine lunga cinque secoli. Un salto nel tempo che porta nel
giro di poche pagine dall'inizio del XXI secolo agli anni della peste,
tra Londra, Amsterdam e il deserto del Sinai. Difficile immaginarlo dal
titolo o dalla copertina blu incorniciata da un delicato motivo
floreale dorato, ma Il peso dell'inchiostro, l'ultima opera di Rachel
Kadish, pubblicata in Italia da Neri Pozza, è qualcosa di indefinibile,
all'incrocio tra giallo, saggio storico e romanzo di iniziazione.
Difficile anche dire se protagonista è Helen Watt, studiosa di storia
ebraica vicina alla pensione, in lotta con l'accademia e con le sue
dinamiche politiche e di potere, oppure "aleph", il misterioso scrivano
che assiste il rabbino HaCoen Mendes, privato della vista
dall'Inquisizione e si firma solo con la prima lettera dell'alfabeto
ebraico. Ebraico, portoghese, carte vecchie di secoli pronte a disfarsi
nelle mani degli studiosi, e rivalità accademiche si mescolano ai
ricordi di un grande amore del passato da parte della professoressa.
Ada Treves,
La Stampa ttL,
14 agosto 2018
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