Giuseppe Momigliano,
rabbino
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Ogni anno, concludendo e ricominciando
dall’inizio la lettura della Torah nella festa di Simchat Torah, siamo
sollecitati a trovare nel testo, immutabile nel tempo, nuove
spiegazioni, nuove risposte, nuove chiavi di interpretazione, a domande
che sono anch’esse nuove e antiche al tempo stesso,perché sono le
domande con le quali cerchiamo di comprendere il senso della nostra
vita. Non c’è bisogno di inoltrarsi tra le righe del testo per trovare
la prima domanda, la Torah si apre con una grande lettera Bet, iniziale
della parola “Bereshit- All’inizio” che pare appositamente collocata
per suscitare la domanda “Perché mai la Torah inizia proprio con questa
lettera?”
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Davide
Assael,
ricercatore
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Le chiacchiere stanno a zero, si dice. Dopo
mesi di propaganda che si sta sempre più rivelando una trappola per se
stessi, alla prima prova dei fatti il nuovo governo italiano sta
mostrando tutte le contraddizioni di un progetto neo-nazionalista in
Europa. L’idea che tutto sia colpa di vecchie élites ormai tramontate,
capitanate dal «barcollante» Juncker è solo l’ultima sciocchezza di una
propaganda davvero sterile. Le dichiarazioni di questi giorni
dimostrano che Il nuovo assetto europeo che si sta profilando
all’orizzonte, con l’avanzare di quelli che dovrebbero essere gli
alleati del governo gialloverde, sarà ancor più punitivo per l’Italia.
Basta vedere le dichiarazioni austriache per rendersi conto che i
partiti populisti sono, in ogni nazione del Nord, rappresentanti di
quell’opinione pubblica nutrita a colpi di slogan contro il Sud
spendaccione.
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'L'Iran pianificò attentato'
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L’Iran dietro un attentato sventato a giugno
alle porte di Parigi, dove si teneva un raduno di oppositori al regime.
È quanto sostengono gli 007 francesi.
L’annuncio delle scorse ore, scrive La Stampa, ha coinciso con altre
iniziative in cui sono stati mostrati i muscoli agli iraniani. “Ieri
mattina, all’alba, oltre 200 poliziotti hanno perquisito im centro
islamico sciita (Zahra France) a Grande-Synthe, cittadina del Nord. Lì
hanno sede varie associazioni, come il Partito antisionista, che
secondo la prefettura locale assicurano un ‘forte sostegno a diverse
organizzazioni terroristiche’. Le forze dell’ordine sono andate anche a
casa dei leader di queste associazioni e tre di loro sono stati fermati
per detenzione illegale di armi da fuoco. Per entrare nel centro Zahra
France – si legge – bisogna pulirsi i piedi su uno zerbino che
riproduce la bandiera israeliana”.
Ha fatto il giro del mondo la notizia dell’arresto di Domenico Lucano,
sindaco di Riace, diventato negli anni un simbolo di integrazione
possibile, con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione
clandestina. Scrive La Stampa: “Per i 430 rifugiati che vivono a Riace,
su una popolazione di 1900 abitanti, non è stato facile capire. Ma
continuavano ad arrivare le televisioni per tutto il giorno. E tutte
parlavano del sindaco”. Afferma il fratello Giuseppe: “Mi sembra che ci
sia stato dell’accanimento nei suoi confronti. Se ha sbagliato, lo ha
fatto in buona fede. Mio fratello ripeteva sempre: ‘Quello che è
giusto, bisogna farlo. La legge non è umana’”.
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la
medaglia al valor militare
"Brigata
Ebraica un esempio
da
seguire nelle generazioni"
Il
fondamentale contributo nella Liberazione del paese dal nazifascismo,
con azioni che lasciarono il segno come lo sfondamento della Linea
Gotica e l’ingresso in diverse città e località di importanza
strategica. Ma anche il determinante aiuto offerto, nell’immediato
dopoguerra, alle Comunità ebraiche italiane devastate da anni di
isolamento e poi dalle persecuzioni e dalla Shoah. Un impegno materiale
e immateriale, nel segno di una speranza che tornava finalmente a
pulsare.
Questa la duplice veste in cui sono stati ricordati gli eroi della
Brigata Ebraica in occasione della solenne cerimonia di consegna della
medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza che, attribuita dal
Parlamento italiano all’unanimità nel 2017, è stata oggi appuntata sul
petto di alcuni reduci (tra cui, unico italiano, il fiorentino
Gualtiero Cividalli).
Una cerimonia intensa e coinvolgente che ha oggi richiamato a Netanya
l’ambasciatore italiano Gianluigi Benedetti, la presidente dell’Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, il capo dell’esercito
Kobi Barak, il viceministro Michael Oren. Il preludio a una nuova
commemorazione che si terrà il 18 ottobre prossimo a Piangipane, nel
cimitero alleato dove riposano i caduti della Brigata. Una consuetudine
che si rinnova ormai da alcuni anni.
“La
cerimonia di oggi rappresenta un’altra pietra miliare in questo 2018.
Un anno che, al di là di ogni dubbio, può essere considerato
eccezionale nei rapporti tra Italia e Israele perché ha segnato i 70
anni dalla Dichiarazione d’indipendenza israeliana e i 70 anni
dall’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica italiana” ha
sottolineato l’ambasciatore Benedetti. Settanta anni di democrazia e
libertà che sono merito anche “dell’impegno di persone come i soldati
che oggi onoriamo, la nostra vita poggia sulle spalle di questi
giganti”. Giganti in molti casi giovanissimi che, lasciando la loro
patria senza esitazione, “sono venuti a combattere nel nostro Paese”.
Ai reduci l’ambasciatore si è rivolto con gratitudine in ebraico,
dicendo loro ‘Toda Raba!’ – Molte grazie!.
Questa
medaglia, ha affermato la presidente Di Segni, ha il merito di rendere
vicende troppo a lungo sconosciute dal grande pubblico una storia
condivisa. Un’iniziativa che mette inoltre al riparo “da strumentalità
e mortificanti distorsioni che ogni 25 Aprile, Festa della Liberazione,
puntualmente si ripropongono per iniziativa di gruppi accecati
dall’odio”. Perché chi nega e disconosce quanto da loro fatto, ha
osservato Di Segni, “si pone inequivocabilmente fuori dalla Storia o ne
racconta una diversa”. Una lezione, quella degli eroi della Brigata e
dei caduti di varie nazionalità e religioni che riposano a Piangipane,
che vale inevitabilmente anche per il presente. “Il loro esempio,
l’esempio di giovani di varie provenienze affratellati da un ideale
comune, ha permesso all’Europa di voltare pagina dopo anni di orrore e
di lanciarsi nella costruzione di una era nuova, nata sotto i migliori
auspici di amicizia e fratellanza”. Valori su cui, ha detto, “siamo
tutti chiamati a vigilare con la massima attenzione in un momento
storico segnato purtroppo dal riemergere di nefasti nazionalismi e
populismi che puntano a disintegrare tutto quel che è stato costruito”.
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la
lotta agli estremisti in curva
Beitar,
un nuovo possibile inizio
Ligat
ha’al, la prima serie del calcio israeliano. Il Beitar di Gerusalemme
che ospita il Bnei Sakhnin, squadra a forte trazione araba, in una
serata di fine settembre. Per una volta solo buone notizie da dove non
era scontato aspettarsele. E questo anche per la fortissima attenzione
che è stata dedicata, su tutti i fronti, a un incontro che definire “a
rischio” sarebbe un eufemismo. “Hope for soccer” titolava il Jerusalem
Post qualche giorno prima, ricordando gli eclatanti episodi di violenza
degli anni precedenti e auspicando un cambio di direzione. La curva del
Beitar che nel 2008 offendeva a gran voce il profeta Maometto, la
stessa che nel 2012 protestata veementemente per l’acquisto di due
giocatori ceceni “colpevoli” di essere musulmani, gli scontri tra
tifoserie sfociati in vera e propria guerriglia urbana, i calciatori
ospiti costretti a lasciare lo stadio sotto la scorta della polizia. E
la necessità di far disputare le successive partite a porte chiuse. Un
clima gravissimo di intimidazione ricostruito nel documentario Forever
Pure dell’israeliana Maya Zinshtein, vincitore nelle scorse ore di un
Emmy Award.
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Ticketless
- Amici veri
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Il
17 ottobre del 1978 moriva a Salisburgo Jean Améry. Mi piacerebbe che
qualcuno lo ricordasse a quarant’anni dalla scomparsa. I suoi libri
sono oggi poco fortunati, non hanno la stessa popolarità di quelli di
Levi. Il 23 ottobre del 2003 moriva l’astrofisico Nicolò Dallaporta: a
quindici anni dalla sua scomparsa vorrei che ci si ricordasse pure di
lui. Nell’imminenza del centenario della nascita di Primo Levi, la cui
celebrazione è alle porte, vorrei che venisse restituita la giusta
parte di gloria anche a chi, come Améry e Dallaporta, contestarono Levi
su punti cruciali. Saranno amici veri come loro ad evitarci di cadere
nel 2019 in una beatificazione, un ipse dixit inglorioso che serpeggia
qua e là nella critica su levi dell’ultima generazione. Il duello a
distanza fra Levi e Améry sul tema delle responsabilità dei tedeschi (e
sul tema del perdono) è uno di quei dialoghi grandiosi del secondo
dopoguerra osservando i quali riesce difficile scegliere da che parte
stare. È un dialogo per intensità secondo solo al dialogo che divise la
Arendt e Scholem. Io, per esempio, ondeggio fra Scholem e Arendt un
mese sì e uno no, ma non me la sentirei di dare tutti i torti a Améry.
Alberto Cavaglion Leggi
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Periscopio
- Fortini identitari
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Pur
avendo letto o consultato, nell’arco della mia vita, per piacere e per
motivi professionali, migliaia di libri e di saggi di storia, posso
dire con sicurezza che raramente mi sono imbattuto in un’opera che
abbia avuto il potere di allargarmi la mente e gli orizzonti
concettuali al pari di Sapiens. Da
animali a dèi. Breve storia dell’umanità, dell’israeliano Yuval
Noah Harari. La dura e multiforme lotta per la sopravvivenza tra i
miliardi di creature viventi, i due milioni e mezzo di presenza
dell’uomo sul nostro pianeta, la nascita del Sapiens e i suoi
controversi e mutevoli rapporti con le altre specie vegetali e animali
(tra cui gli altri tipi di Homo), l’origine e il consolidamento della
sua supremazia nel creato, la nascita del linguaggio, delle culture,
delle civiltà, della scrittura, dei miti, delle religioni vengono
ricostruiti in un affresco affascinante, in cui le nozioni di genetica,
biologia, antropologia, storiografia sono intrecciate in modo
avvincente, dando corpo a una sorta di lungo romanzo, intessuto di
stupore, sorpresa e mistero.
Francesco Lucrezi, storico
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Imparare
degli errori
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Devo
fare autocritica e chiedere scusa ad Alberto Angela. Domenica scorsa ho
criticato la sua spiegazione della lunetta michelangiolesca della
Cappella Sistina (andata in onda su Rai1 sabato in prima serata)
dedicata a Iacob-Ioseph, pensando (e non sono stato il solo) che si
riferisse al patriarca Ja’akov/Giacobbe e a Joseph/Giuseppe di cui
leggiamo la lunga storia nella Torà, nel libro della Genesi (capitoli
dal 37 al 50). Fare di quel Giuseppe il padre di Gesù, e di Giacobbe
suo nonno, è suonato come un grave svarione. Ma il presentatore della
trasmissione ‘Ulisse’ aveva ragione nel senso che quel Giacobbe e suo
figlio Giuseppe non sono quelli della Genesi, ma quelli citati nella
genealogia di Gesù in Matteo 1,16
Massimo Giuliani
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