 Alberto Sermoneta, rabbino capo
di Bologna
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Due
sono gli episodi simbolo della parashà di Chayè Sarà. Abramo, tornando
dal Sacrificio – non sacrificio – di suo figlio Isacco, trova Sara
morta. Si adopera nel miglior modo possibile per darle una sepoltura,
degna della tradizione abramitica, in un campo dove non ci siano salme
appartenenti ad altre tradizioni religiose. Egli è disposto a pagare
una somma di denaro elevatissima per ottenere tutto ciò, creando la
prima istituzione di un cimitero ebraico.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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A
cent’anni dalla fine della Grande Guerra il tema dei profughi resta
prioritario nelle grandi devastazioni provocate dai conflitti. Fu
quella la guerra che per prima fece strage fra i civili e spinse
milioni di persone ad abbandonare case e terre, spinte da improvvisi
rivolgimenti di fronte o da insopportabili condizioni di inedia e di
malattia. Da allora sono state le popolazioni civili le vere
protagoniste dei conflitti. Ieri, cent’anni orsono, erano gli italiani
del Friuli in fuga dopo Caporetto o gli ebrei che scappavano da Lvov
(naturalmente dopo essere stati massacrati, che non sia mai che si
perda l’abitudine). Oggi sono i siriani o i congolesi o gli hondureñi,
che fuggono – quando possono – e divengono spesso prede di mafie della
migrazione e di strumentalizzazione politica. Perché dei civili in fuga
si può dire e fare quel che si vuole. Sono senza nulla, sanno quel che
lasciano e non sanno quel che trovano né dove. Sono ricattabili, specie
se si tratta di famiglie o peggio di donne. Gli si può fare violenza e
non c’è chi li protegga, mentre si trova sempre chi li usa.
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 |
L'annuncio di Bolsonaro
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Il
neo presidente del Brasile Jair Bolsonaro ha annunciato che trasferirà
l’ambasciata del suo Paese in Israele a Gerusalemme. In un’intervista –
citata oggi dal Corriere – a Boaz Bismuth, direttore del quotidiano
gratuito Israel HaYom, Bolsonaro ha ribadito la sua intenzione:
“Israele è un Paese sovrano. Se decide quale è la sua capitale, noi
concordiamo. Voi siete gli unici a stabilire quale debba essere la
vostra capitale, non altri Paesi”. Nella stessa intervista, riporta La
Stampa, Bolsonaro ha dichiarato che non riconoscerà la Palestina come
Stato indipendente, nonostante il Brasile lo faccia ufficialmente dal
2010. Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto di aver
apprezzato il discorso di Bolsonaro e aveva già confermato di voler
presenziare alla cerimonia d’insediamento in Brasile. “L’ambasciatore
israeliano in Brasile – le dichiarazioni di Bolsonaro a Bismuth riprese
anche dalla Gazzetta del Mezzogiorno – mi ha fatto visita due volte
questa settimana e abbiamo da sempre una eccellente relazione. Sono
molto contento di essere stato trattato in modo così caloroso e che un
rappresentante ufficiale dello Stato di Israele mi tratti in questo
modo, il sentimento è reciproco. Amo il popolo e lo stato di Israele.
Potete essere certi che promuoverò strette relazioni e una cooperazione
produttiva per entrambe le parti a partire dal 2019”. Bolsonaro è
considerato un personaggio molto controverso, che più volte – da ex
militare – ha detto di rimpiangere i tempi della dittatura e ha
promesso che darà grandi poteri alla polizia pur di combattere la
corruzione e la criminalità, e ha espresso più volte opinioni
intolleranti e omofobe.
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gli stati generali ucei Cultura, risorse, rabbinato
Un confronto costruttivo
Identità,
partecipazione, futuro. Le relazioni tra piccole e grandi Comunità. Il
confronto aperto tra rabbini, dirigenza comunitaria e iscritti. I nuovi
modelli di aggregazione e inclusione nella società che cambia.
Molte voci e un confronto costruttivo su temi complessi hanno
inaugurato ieri gli Stati Generali dell’Ebraismo Italiano a Roma.
Consiglieri UCEI, Presidenti di Comunità, Consiglieri comunitari,
rabbini, referenti di organizzazioni ed enti ebraici in Italia.
Un’occasione di incontro quadriennale che, come ha sottolineato la
Presidente dell’Unione Noemi Di Segni nel suo intervento di apertura, è
stata pensata per favorire la più ampia partecipazione e il più ampio
dibattito. Un’occasione in cui ciascuno è protagonista ed è invitato a
portare un contributo.
Ad aprire i lavori una relazione di Elio Carmi, Consigliere UCEI di
riferimento per la Comunità di Casale Monferrato, sulle sfide che
investono quotidianamente realtà che sono molto piccole nei numeri ma
che sono chiamate a essere protagoniste delle società di riferimento e
a garantire la continuità di nuclei radicati nel territorio da secoli e
millenni.
“La nostra, la vita di noi ‘piccoli’ – ha spiegato Carmi – è un po’
come un’esperienza a fronte. Essere ebrei nelle piccole Comunità vuol
dire rispondere ogni giorno della tua identità, in un confronto
costante con il mondo esterno che per l’ebraismo italiano ha un ritorno
di valore incommensurabilmente più alto di quello che dicono i soli
numeri. Lo testimonia ad esempio la raccolta dell’Otto per Mille,
garantita in larga parte dalle piccole e medie Comunità”.
Un contributo che, sottolinea Carmi, non è sempre compreso dalla realtà
più grandi. “Le piccole Comunità – le sue parole – sono un patrimonio
di tutti. E come tali devono essere tutelate, con l’erogazione di
servizi e con iniziative che facciano davvero rete”.
Moderata da Dan Segre, la successiva sessione si è aperta con alcune
riflessioni del presidente dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia rav
Alfonso Arbib e dell’anglista Dario Calimani. Un confronto, dedicato al
rapporto tra rabbini e Comunità, e in particolare agli aspetti critici
di questa relazione, che è stato animato da molte decine di interventi
tra il pubblico.
“Fare il rabbino porta inevitabilmente a direi dei no. Un fatto che non
rende sempre simpatici” ha osservato il rav Arbib, in risposta a
Calimani che lamentava l’esistenza di una generale mancanza di empatia.
“Il futuro dell’ebraismo italiano come lo si garantisce?” si è
domandato Calimani. “C’è altro oltre all’inaugurazione di musei, alla
presentazione di libri, alla lotta all’antisemitismo, alla difesa di
Israele? Non mi pare si abbia mai il coraggio di affrontare il problema
di dove stiamo portando le nostre Comunità. La mia critica è ai
rabbini, certo. Ma non solo”.
Per il rav Arbib sarebbe necessario ricalibrare gli sforzi oggi profusi
tra interno ed esterno. “Nessuno può permettersi di non aver rapporti
con l’esterno, ci mancherebbe. Il problema è definire una scala di
priorità. Un ragazzino che studia Torah – ha detto – è più importante”. Leggi
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gli stati generali ucei Israele e un mondo che cambia
In
una realtà internazionale in profondo cambiamento, quale messaggio può
portare il mondo ebraico, quale Israele? E attraverso quali modalità e
strumenti? Sono alcuni degli interrogativi su cui si è riflettuto
stamane nel corso degli Stati Generali. Ospiti della prima sessione dei
lavori, introdotta dalla presidente UCEI Noemi Di Segni, la
viceambasciatrice israeliana in Italia Ofra Farhi, il ministro per gli
affari pubblici dell’ambasciata Ariel Bercovich, lo storico Claudio
Vercelli. Ad essere proiettato anche un intervento video del direttore
de La Stampa Maurizio Molinari. “Oggi è molto importante il confronto
con voi” ha affermato in apertura Farhi. “Noi siamo come degli
avvocati: ci prendiamo la responsabilità di difendere l’esistenza
fondamentale dello Stato d’Israele per tutto il popolo ebraico”.
“Israele è molte cose oltre al conflitto”, ha ricordato Bercovich,
riportando il focus sulla necessità di raccontare le tante
sfaccettature della realtà israeliana. “Siamo ad esempio in questi
giorni paese ospite del Festival della Scienza a Genova: un’opportunità
di raccontare le nostre eccellenze in questo campo”. Un’analisi più
ampia sulla situazione geopolitica è stata fatta invece da Molinari e
Vercelli. “Siamo di fronte a una stagione in cui le democrazie si sono
indebolite dal di dentro a causa della protesta populista”, ha
sottolineato Molinari, concetto ribadito anche da Vercelli che ha
parlato di “Stato nazionale in crisi, per via di processi globali che
hanno trasformato società e culture”. Leggi
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pittsburgh, la commemorazione a roma "Sull'odio niente zone grigie"
Non
sono passati molti mesi da quando in sinagoga leadership comunitaria,
iscritti e istituzioni si ritrovarono in numero significativo per
ricordare Mireille Knoll, l’anziana donna francese uccisa dai suoi
vicini di casa islamici nell’ennesimo episodio di violenza antisemita
in Europa e per ribadire un fermo rifiuto dell’odio strisciante.
Il Tempio Maggiore di Roma, come diverse altre sinagoghe italiane nei
giorni precedenti, ha ospitato ieri un nuovo momento di raccoglimento e
preghiera. L’odio è tornato a colpire, non più in Europa ma negli Stati
Uniti, e questa volta nelle fattezze di un estremista di destra che ha
portato la morte in una sinagoga conservative di Pittsburgh.
“Siamo qui per testimoniare ai nostri fratelli il nostro dolore e la
nostra commozione” ha sottolineato la presidente della Comunità ebraica
romana Ruth Dureghello, rivolgendosi alla platea (in sinagoga, tra gli
altri, il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani). “Su razzismo
e antisemitismo non possono esistere zone grigie” ha poi esortato,
chiamando tutta la società a una presa di posizione forte in ragione di
un odio che cresce e che spesso sfugge al controllo come nel caso di
web e social network.
“Sappiamo bene cosa significa un attentato del genere, che conseguenze
ha nella vita di una comunità” la riflessione del rabbino capo rav
Riccardo Di Segni, che ha ricordato con queste parole l’attentato al
Tempio Maggiore del 1982. “Se gli ebrei non sono tranquilli, vuol dire
che il mondo non può essere tranquillo” ha poi aggiunto il rav. Leggi
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vercelli ricorda castelnuovo-tedesco Un fiorentino a Beverly Hills
Una
conferenza e un concerto per ricordare Mario Castelnuovo-Tedesco, il
grande compositore che fu vittima delle Leggi razziste promulgate dal
fascismo e che lasciò l’Italia per gli Stati Uniti.
L’appuntamento è per domenica alle 16.30, nella Sala Foa della Comunità
ebraica di Vercelli, su iniziativa della Presidente Rossella Bottini
Treves in collaborazione con Simonetta Heger,
La figura di Castelnuovo-Tedesco sarà delineata da Angelo Gilardino,
che proporrà un intervento su “Un fiorentino a Beverly Hills”.
Gilardino, chitarrista, musicologo e compositore italiano, ha insegnato
al Liceo Musicale “G.B. Viotti” di Vercelli, al Conservatorio “Antonio
Vivaldi” di Alessandria e all’Accademia Lorenzo Perosi di Biella.
Pluripremiato in Italia e all’estero, ha ottenuto in ottobre il premio
alla carriera consegnatogli a Firenze presso il Conservatorio “Luigi
Cherubini”. Leggi
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Illusioni
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Dall’Egitto
di 3500 anni fa alla Persia di 2500 anni fa, dall’Italia di 80 anni fa
(e speriamo non di domani) agli Stati Uniti di oggi: l’idea che, una
volta tanto, l’odio sia rivolto verso altri obiettivi, l’illusione di
far parte, una volta tanto, della maggioranza lasciata in pace o,
addirittura, di appartenere a una minoranza privilegiata, che si sa
muovere bene, che ha i contatti giusti, che è in grado di tutelarsi
grazie ai buoni rapporti con il potere che una volta tanto se la prende
con qualcun altro, si rivela sempre effimera.
Quando mai capita che la libertà di odio, insulti e bugie contro
qualcun altro non finisca prima o poi per ricadere addosso agli ebrei?
Eppure da 3500 anni continuiamo ad illuderci.
Sarebbe anche interessante se una volta o l’altra avessimo l’occasione
di metterci alla prova sul serio, se potessimo lottare contro il
razzismo non perché sappiamo che inevitabilmente si accompagna
all’antisemitismo, se potessimo mettere in guardia da chi dice “prima
gli italiani” non perché ricordiamo che 80 anni fa la nostra stessa
italianità era in discussione, se potessimo difendere i diritti delle
minoranze sentendoci in tutto e per tutto parte della maggioranza. Temo
però che anche questa sia un’illusione.
Anna Segre, insegnante
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Il sovranismo e le minoranze
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Un’ideologia
o una mentalità che pone al centro ed elegge un’unica nazionalità “che
dovrebbe venire prima” può convivere con altre nazionalità interne ad
uno Stato o con una minoranza religiosa o culturale? La dialettica
nazionalista/sovranista sostiene sovente che un cittadino straniero o
di altre origini “per bene”, ben integrato e rispettoso, è il benvenuto
e non ha niente da temere. Ma nell’eventualità che lo stesso cittadino
commetta un qualunque reato riceverà, specialmente nell’opinione
pubblica, lo stesso trattamento di un “nativo”? Poniamo poi che quel
cittadino sia perfettamente inserito nella società che lo ospita, abbia
una casa e un lavoro “rispettabile”, ma segua invece un culto
differente da quello maggioritario. Nel momento che reclamerà il
rispetto dei propri costumi alimentari, come un tipo diverso di
macellazione delle carni, o l’assenza dal proprio luogo di lavoro nei
giorni di festa della propria religione, verranno comprese le sue
richieste? Se poi ancora ai mondiali di calcio tiferà per un’altra
squadra, o ha amici e parenti che vivono in un paese considerato
“nemico”, o in famiglia parla un’altra lingua, come verrà percepito
sotto le lenti di quell’ideologia?
Francesco Moises Bassano
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