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22 gennaio 2019 -  17 shevat 5779
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storia

La lezione di Ernesto Rossi      

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Non ho potuto purtroppo prendere parte, come avrei desiderato, all’importante convegno “L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista. Studenti e studiosi ebrei dell’Università di Firenze in fuga all’estero” che si è svolto a Firenze. Era mia intenzione proporre agli studiosi un’ipotesi di ricerca su un aspetto della storiografia sul 1938 che mi sembra poco esplorato. Provo a spiegarmi qui, ma prima desidero scusarmi con i miei abituali lettori: la tiro in lungo più del solito, il tema è importante e non semplice. Mi ero in passato rivolto a mettere in fila alcune pagine di Franco Venturi, Emilio Lussu, Giuseppe Di Vittorio, Ernestina Bittanti-Battisti, qualche cosa su di loro ho scritto, ma non mi era mai capitato di cercare una spiegazione complessiva, di vedere se esiste un filo che tenga unita la sdegnata reazione di quei pochi (ma poi non così pochi come comunemente si crede) alla campagna razziale. Parto, senza avere una risposta esaustiva, da una constatazione di fatto, ancorché del tutto ovvia, quasi elementare. L’ipotesi che mi piacerebbe verificare è la seguente: mi chiedo e chiedo a chi in questi anni s’è occupato di 1938 che cosa voglia dire, e da dove derivi, il fatto che la reazione al razzismo antiebraico delle «pecore matte» muove sempre da una motivazione economicistico-pratica. Mi chiedo se questo tipo di reazione sia da ricondursi a una specifica formazione economica di alcune delle «pecore matte». Andando più nel profondo immagino – e per questo vi pongo come ipotesi di lavoro - che il denominatore comune in senso lato vada cercato in una matrice empirista, «cattaneano-salveminiana », che accomuna, pur nella disomogeneità delle posizioni, l’antirazzismo di Venturi, Lussu, Di Vittorio, della stessa Ernestina Bittanti Battista e, appunto, la posizione della più matta delle mie adorate pecore, Ernesto Rossi: «Il pensiero di tanti altri che avranno troncata la loro carriera e non sapranno a che santo votarsi mi ha fatto andar via ogni volontà di ridere», scriveva Rossi alla moglie il 9 settembre di ottant’anni fa.

Alberto Cavaglion, scrittore
Pagine Ebraiche, gennaio 2019 

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NARRATIVA

Il vocabolario per conoscere la Shoah

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Tal Bruttmann, Christophe Tarricone / LE 100 PAROLE
DELLA SHOAH
/ Giuntina

La Shoah occupa un posto centrale nella storia del ‘900, e nell’intera storia umana, per la gravità, l’ampiezza, la scientificità dei crimini contro l’umanità commessi.
C’è però grande differenza fra come la studiano gli storici e come ne parla il grande pubblico. Molti termini, quando si parla di Shoah, sono spesso usati a sproposito, in una materia che, per importanza non solo storica ma anche “valoriale”, sarebbe opportuno definire con la maggiore esattezza possibile.
Gli studiosi Tal Bruttmann e Christophe Tarricone si propongono di definire con il più grande rigore scientifico, in questo interessante “glossario” edito da Giuntina, termini e nozioni che, sotto vari aspetti, sono “fuorvianti”.

mdp 

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memoria

Un antidoto alla rimozione: la Shoah in poche righe

memoria

Nessuna tregua
per Anne Frank

Daniel Vogelmann / PICCOLA AUTOBIOGRAFIA / Giuntina

L’esperimento, anche dal punto di vista letterario, è importante e riuscito: Piccola Autobiografia di mio padre, di Daniel Vogelmann (Giuntina editore), è un libro molto piccolo che racconta una tragedia molto grande. Racconta la Shoah in 34 pagine, attraverso un frammento dell'esperienza delle leggi, della fuga, della cattura, della deportazione, della morte di donna e bambina, del ritorno dell'uomo strappato da tutto e restituito per caso alla vita. Il libro è breve perché l'uomo sopravvissuto non racconta e non racconterà nulla. A noi giunge la voce del figlio nato dopo lo strappo. Il padre, vissuto dopo la morte, deciso a non esserne il narratore, non aggiunge quasi nulla, e ci sono poche cose che il figlio riesce a ricomporre come "la vita, prima". In quel poco c'è rivelazione e conoscenza di ciò che è stato: attesa, timore, ansia, sospetto, speranza sbagliata, paura e, all'improvviso, il confronto irreversibile con il volto vicinissimo del carnefice, che non ha nulla da dire e nulla da risparmiare. La Shoah è questo, La morte generata come pensiero religioso e politico che deve realizzarsi comunque senza che neppure l'assassino voglia una ragione per uccidere, a parte l'identificazione dei milioni che devono essere sterminati.

Furio Colombo,
Il Fatto Quotidiano,
21 gennaio 2019


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Cynthia Ozick /
DI CHI È ANNE FRANK? / La nave di Teseo

Cynthia Ozick sostiene che il grande impatto simbolico del Diario di Anne Frank sia da sempre il frutto di una lettura edulcorata, distorta e persino mistificante di quello straordinario testo così sconvolgente, eppure miseramente ridotto a lettura edificante e consolatoria: una tragedia, ha scritto nel suo pamphlet Di chi è Anne Frank? proposto dalla Nave di Teseo per il pubblico italiano a oltre vent'anni dalla sua pubblicazione sul «New Yorker», che è stata declassata a commedia. Una frase, proditoriamente estrapolata dal contesto del diario ritrovato ad Amsterdam nell'estate del 1944 da Miep Gies nel nascondiglio dei Frank braccati dai nazisti, è servita secondo Ozick come chiave della grande mistificazione: «Nonostante tutto, credo tuttavia nell'intima bontà dell'uomo». Una breve frase su cui si sono accumulate nel tempo le letture sdolcinate che si susseguono da decenni sull'«idealismo di Anne», sulla «testimonianza dell'indistruttibile nobiltà dell'animo umano», «eterna fonte di coraggio e ispirazione», «un inno alla vita», «una commovente meraviglia dell'infinito spirito umano».






Pierluigi Battista, Corriere della Sera,
21 gennaio 2019


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