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7 febbraio 2018 - 2 adar I 5779
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Società

Le morti “invisibili” con cui non ci si confronta

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La forma più estrema di povertà è quella di coloro che, non senza venature di romanticismo un po’ logoro, vengono pudicamente definiti clochard. Il 15 gennaio scorso il corpo di una persona senza dimora (PSD), morta per freddo, è stato rinvenuto a Roma nel Parco della Resistenza. Sempre nella capitale il 4 gennaio la stessa scoperta era stata registrata sulle sponde del Tevere e il giorno 8 a Ponte Sublicio. Ma il 13 gennaio il medesimo destino si è compiuto ad Ascoli Piceno, il 2 gennaio a Milano in via Castelfidardo e a Roma in Piazza Lorenzo Lotto; il fatto si ripetuto ancora a Roma il 29 novembre, mentre il 22 novembre sono morte a Milano, per freddo, altre due persone che vivevano in strada. Il giorno 11 gennaio, invece, il vicesindaco leghista di Trieste, nel corso di una sua personale performance mediatica, aveva sprezzantemente gettato in un cassonetto le coperte di una persona senza dimora (per una volta suscitando una ondata di sdegno in città), il 12 gennaio a Roma un vero blitz era stato organizzato fra la stazione Tiburtina e Porta San Lorenzo, per eliminare coperte e giacigli occasionali (senza provvedere ad alcuna misura di genere più costruttivo), mentre qualche tempo prima “dissuasori” metallici erano stati applicati alle panchine pubbliche della stessa zona della città per scoraggiare pernottamenti indesiderati.

Enzo Campelli, sociologo
Pagine Ebraiche, febbraio 2019 

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MACHSHEVET ISRAEL

Perché studiare il Talmud 

img headerCosa ne sappiamo davvero dei grandi dibattiti (milkhemot Torah) che attraversano il mondo ebraico che, per convenzione moderna, chiamiamo ortodosso, soprattutto in Israele e negli Stati Uniti? Spesso quel che arriva a noi sono questioni minori, come la kashrut del carciofo fritto, mentre ignoriamo le machloqot sulle metodologie di studio del Talmud o sui curricula pedagogicamente più efficaci nel trasmettere l’amore alla stessa Torà. Non si tratta solo di sapere cosa distingue l’approccio allo studio del Brisker Rebbe da altri approcci o di scoprire che anche tra i mitnaghdim di origine lituana c’è una destra e una sinistra, ossia chi è più aperto al metodo filologico-comparativo e chi ancora lo sospetta di eresia. Per entrare nella ricchezza e nella bellezza del pensiero ebraico occorre saper apprezzare il mondo dell’halakhà, capire quanto vivaci e profonde siano le discussioni che animano coloro che al Talmud, al grande codice della cultura ebraica tradizionale, dedicano l’intera vita. È raro infatti che uno studioso del Talmud non gli dedichi tutte le proprie energie. Conferma la regola il grande talmudista, scomparso pochi mesi fa, Yaakov Elman (1943-2018): discepolo di Rav Jitzchaq Hutner, con un master in assirologia (Columbia) e un dottorato in studi talmudici (NYU), fu docente alla Yeshiva University di New York e un’autorità indiscussa sulla società persiana nella quale nacque e si forgiò il Bavli. La sua specializzazione lo rese voce ascoltata tra i maggiori studiosi e roshè yeshivot del nostro tempo come Shaul Lieberman, Aharon Lichtenstein, Yehuda Brandes, Eliezer Berkovits, Daniel Sperber.

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI 

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società        

Un manifesto per l'Europa  

Sabato scorso, su «Libération», e poi su tutti i grandi quotidiani di riferimento del mondo, trenta scrittori hanno firmato il manifesto dei patrioti europei. Un'Accademia dei sogni, un Concilio di Trento improvvisato si è riunito per chiamare a raccolta, esortare a essere vigili, mandare un SoS. Ed erano, questi Trenta, come sentinelle che intonavano un'elegia per questa principessa Europa che, da Varsavia a Roma, dalle strade di Dresda dove ritornano i teppisti pubblici di Nietzsche a quelle di Danzica macchiate dal sangue del suo sindaco, è a cinque minuti dalla mezzanotte di un nuovo disastro. Questi Trenta sono e restano degli scrittori, naturalmente. E nessun manifesto impedirà mai a un Orban, o a un Salvini, di vivere altri giorni di trionfo. Ma allo stesso tempo... L'Europa, questa chimera senza sostanza, questo animale-macchina privo del cuore e dell'anima come quelli descritti da Cartesio, questa favola senza futuro derisa dai populisti, ecco ora ha trenta volti che testimoniano la loro fratellanza. L'Europa che nessun autore di trattati ha osato dotare di un'identità e di cui gli storici non sanno ben dire fino a che punto sia cristiana o ebraica, greca o romana, fondata sul diritto o sull'economia sociale o di mercato, nata dalla pace o votata alla giustizia, ecco qui trenta donne e uomini che la definiscono in modo allo stesso tempo molto semplice e vertiginoso.

Bernard-Henri Levy, La Stampa,
4 febbraio 2019  


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orizzonti 

Praga, ricordando Palach 

“Perché l'estrema destra italiana ha organizzato a Verona un evento per Jan Palach? Ce lo chiediamo tutti qui a Praga. Lui si rivolterà nella tomba, non era affatto di destra, era anti-sovietico". Roman siede con gli amici del movimento “Pulse of Europe" a un tavolino del caffè Kavarna Mlynska, birre ceche, luci color miele, "il covo dell'opposizione'; come lo chiamano i giovani avventori: un fermo immagine che trasuda Novecento affacciato sull'irruento fiume Vltava. Il momento, per chi, come questi quarantenni, ci crede profondamente, è solenne: tra poche ore porteranno nell'immensa piazza San Venceslao candele e vessilli europei per commemorare il 50° anniversario del sacrificio del più iconico dei loro connazionali, la torcia umana sulla cui inequivocabile eredità si accapigliano oggi libertari, anti-comunisti, globalisti e neo-nazionalisti. Il fotogramma successivo segna la data di mercoledì 19 gennaio 2019, freddo glaciale, cielo plumbeo, la piazza su cui si moltiplicano le insegne dei brand internazionali sconosciuti mezzo secolo fa che, elastica, assorbe tensioni, nostalgie, le lacrime stanche della vecchia guardia coetanea di Vaclav Havel e quelle delle nuove generazioni distanti tanto dai padri cimentatisi con troppe incertezze nella transizione democratica quanto dal presente di un Paese schierato con il sovranismo di Visegrad.

Francesca Paci, Stampa Origami,
7 febbraio 2019 


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