Società
Le morti “invisibili” con cui non ci si confronta

La forma più estrema di povertà è quella di coloro che, non senza
venature di romanticismo un po’ logoro, vengono pudicamente definiti
clochard. Il 15 gennaio scorso il corpo di una persona senza dimora
(PSD), morta per freddo, è stato rinvenuto a Roma nel Parco della
Resistenza. Sempre nella capitale il 4 gennaio la stessa scoperta era
stata registrata sulle sponde del Tevere e il giorno 8 a Ponte
Sublicio. Ma il 13 gennaio il medesimo destino si è compiuto ad Ascoli
Piceno, il 2 gennaio a Milano in via Castelfidardo e a Roma in Piazza
Lorenzo Lotto; il fatto si ripetuto ancora a Roma il 29 novembre,
mentre il 22 novembre sono morte a Milano, per freddo, altre due
persone che vivevano in strada. Il giorno 11 gennaio, invece, il
vicesindaco leghista di Trieste, nel corso di una sua personale
performance mediatica, aveva sprezzantemente gettato in un cassonetto
le coperte di una persona senza dimora (per una volta suscitando una
ondata di sdegno in città), il 12 gennaio a Roma un vero blitz era
stato organizzato fra la stazione Tiburtina e Porta San Lorenzo, per
eliminare coperte e giacigli occasionali (senza provvedere ad alcuna
misura di genere più costruttivo), mentre qualche tempo prima
“dissuasori” metallici erano stati applicati alle panchine pubbliche
della stessa zona della città per scoraggiare pernottamenti
indesiderati.
Enzo Campelli, sociologo
Pagine Ebraiche, febbraio 2019
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MACHSHEVET
ISRAEL
Perché studiare il Talmud
Cosa
ne sappiamo davvero dei grandi dibattiti (milkhemot Torah) che
attraversano il mondo ebraico che, per convenzione moderna, chiamiamo
ortodosso, soprattutto in Israele e negli Stati Uniti? Spesso quel che
arriva a noi sono questioni minori, come la kashrut del carciofo
fritto, mentre ignoriamo le machloqot sulle metodologie di studio del
Talmud o sui curricula pedagogicamente più efficaci nel trasmettere
l’amore alla stessa Torà. Non si tratta solo di sapere cosa distingue
l’approccio allo studio del Brisker Rebbe da altri approcci o di
scoprire che anche tra i mitnaghdim di origine lituana c’è una destra e
una sinistra, ossia chi è più aperto al metodo filologico-comparativo e
chi ancora lo sospetta di eresia. Per entrare nella ricchezza e nella
bellezza del pensiero ebraico occorre saper apprezzare il mondo
dell’halakhà, capire quanto vivaci e profonde siano le discussioni che
animano coloro che al Talmud, al grande codice della cultura ebraica
tradizionale, dedicano l’intera vita. È raro infatti che uno studioso
del Talmud non gli dedichi tutte le proprie energie. Conferma la regola
il grande talmudista, scomparso pochi mesi fa, Yaakov Elman
(1943-2018): discepolo di Rav Jitzchaq Hutner, con un master in
assirologia (Columbia) e un dottorato in studi talmudici (NYU), fu
docente alla Yeshiva University di New York e un’autorità indiscussa
sulla società persiana nella quale nacque e si forgiò il Bavli. La sua
specializzazione lo rese voce ascoltata tra i maggiori studiosi e roshè
yeshivot del nostro tempo come Shaul Lieberman, Aharon Lichtenstein,
Yehuda Brandes, Eliezer Berkovits, Daniel Sperber.
Massimo Giuliani, docente
al Diploma Studi Ebraici, UCEI
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società
Un manifesto per l'Europa
Sabato
scorso, su «Libération», e poi su tutti i grandi quotidiani di
riferimento del mondo, trenta scrittori hanno firmato il manifesto dei
patrioti europei. Un'Accademia dei sogni, un Concilio di Trento
improvvisato si è riunito per chiamare a raccolta, esortare a essere
vigili, mandare un SoS. Ed erano, questi Trenta, come sentinelle che
intonavano un'elegia per questa principessa Europa che, da Varsavia a
Roma, dalle strade di Dresda dove ritornano i teppisti pubblici di
Nietzsche a quelle di Danzica macchiate dal sangue del suo sindaco, è a
cinque minuti dalla mezzanotte di un nuovo disastro. Questi Trenta sono
e restano degli scrittori, naturalmente. E nessun manifesto impedirà
mai a un Orban, o a un Salvini, di vivere altri giorni di trionfo. Ma
allo stesso tempo... L'Europa, questa chimera senza sostanza, questo
animale-macchina privo del cuore e dell'anima come quelli descritti da
Cartesio, questa favola senza futuro derisa dai populisti, ecco ora ha
trenta volti che testimoniano la loro fratellanza. L'Europa che nessun
autore di trattati ha osato dotare di un'identità e di cui gli storici
non sanno ben dire fino a che punto sia cristiana o ebraica, greca o
romana, fondata sul diritto o sull'economia sociale o di mercato, nata
dalla pace o votata alla giustizia, ecco qui trenta donne e uomini che
la definiscono in modo allo stesso tempo molto semplice e vertiginoso.
Bernard-Henri Levy, La Stampa,
4 febbraio 2019
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orizzonti
Praga, ricordando Palach
“Perché
l'estrema destra italiana ha organizzato a Verona un evento per Jan
Palach? Ce lo chiediamo tutti qui a Praga. Lui si rivolterà nella
tomba, non era affatto di destra, era anti-sovietico". Roman siede con
gli amici del movimento “Pulse of Europe" a un tavolino del caffè
Kavarna Mlynska, birre ceche, luci color miele, "il covo
dell'opposizione'; come lo chiamano i giovani avventori: un fermo
immagine che trasuda Novecento affacciato sull'irruento fiume Vltava.
Il momento, per chi, come questi quarantenni, ci crede profondamente, è
solenne: tra poche ore porteranno nell'immensa piazza San Venceslao
candele e vessilli europei per commemorare il 50° anniversario del
sacrificio del più iconico dei loro connazionali, la torcia umana sulla
cui inequivocabile eredità si accapigliano oggi libertari,
anti-comunisti, globalisti e neo-nazionalisti. Il fotogramma successivo
segna la data di mercoledì 19 gennaio 2019, freddo glaciale, cielo
plumbeo, la piazza su cui si moltiplicano le insegne dei brand
internazionali sconosciuti mezzo secolo fa che, elastica, assorbe
tensioni, nostalgie, le lacrime stanche della vecchia guardia coetanea
di Vaclav Havel e quelle delle nuove generazioni distanti tanto dai
padri cimentatisi con troppe incertezze nella transizione democratica
quanto dal presente di un Paese schierato con il sovranismo di Visegrad.
Francesca Paci, Stampa Origami,
7 febbraio 2019
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Pagine
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