LA SESTA RICERCA SWG E PAGINE EBRAICHE SUL 27 GENNAIO
2020, la Memoria torna valore del presente
e antidoto contro l'antisemitismo
Da alcuni anni si percepiva una certa stanchezza attorno al Giorno della Memoria. Si era arrivati a porre in forse il suo stesso ruolo, a chiedersi se le ritualità non avessero svuotato il 27 Gennaio dei suoi significati. Su queste pagine la storica Anna Foa già nel 2009 avvertiva dei rischi di una proliferazione incontrollata del ricordo perché può “generare una grande stanchezza nell’opinione pubblica” e quindi ottenere l’effetto contrario, ovvero il rigetto dei valori legati alla Memoria. L’indagine dell’istituto di ricerca triestino Swg sul Giorno della Memoria, condotto in collaborazione con la redazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e avviato nel 2014, aveva confermato più di una di queste inquietudini: tra il 2014 e il 2017 i dati raccolti da Swg registravano un preoccupante aumento di italiani che consideravano inutile il 27 gennaio. Dal 11 per cento si era passati al 23 per cento. “Un’espressione che va ben al di là dello scetticismo generico, ma che rappresenta una forma di ostilità alla cultura e alla coscienza della Storia e della Giustizia capace di coinvolgere quasi un quarto della pubblica opinione”, sottolineava il direttore della redazione UCEI Guido Vitale analizzando i dati nel 2017.
A questa ostilità si contrappone oggi – ed è l’elemento di grande novità dell’indagine Swgdel 2020 che sarà presentata in anteprima giovedì 30 gennaio alle 21.00 al Centro Pitigliani di Roma (a intervenire oltre a Riccardo Grassi, direttore di ricerca di Swg, la giornalista Lucia Annunziata, il direttore di L’Espresso Marco Damilano, il direttore di Rainews Antonio Di Bella. la presidente UCEI Noemi Di Segni; il giornalista David Parenzo; la Coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo Milena Santerini, il direttore di Pagine Ebraiche Guido Vitale) – un nucleo sempre maggiore di italiani che considerano il Giorno della Memoria come una ricorrenza necessaria e, soprattutto, giusta: nel 2019 era il 25 per cento degli intervistati a considerare “giusto” il fatto di ricordare, il 27 gennaio, la Shoah e le altre vittime del nazifascismo. Nel 2020 siamo passati al 39 per cento. È uno spostamento di significato che, spiega il direttore di Ricerca di Swg Riccardo Grassi, va messo in relazione all’aumento degli italiani che percepiscono che vi sia una minaccia antisemita nel paese. “Tra il 2016 e il 2017 abbiamo avuto il picco di disinteresse, disaffezione, minimizzazione del tema della Memoria, dal 2018 al 2020 c’è invece un trend oggettivo di crescita d’attenzione, parallelo alla crescita della percezione che il pericolo dell’antisemitismo stia aumentando. È come se ci fosse stata una risposta di fronte all’aumento di fenomeni di antisemitismo. Come se si fossero riattivati i valori della Memoria una volta cresciuto il pericolo”. “Negli anni scorsi – prosegue Grassi – ci eravamo chiesti se il Giorno della Memoria non venisse oramai considerato dai più come un evento del passato. E quindi come tale un po’ privo di valore. Non è un caso che tra le risposte dominanti prima ci fosse l’idea che ‘il 27 gennaio è una ricorrenza formativa. Un dovere’. Sono tutte attribuzioni di significato poste nel passato”. Nel 2014, ad esempio, il 5 per cento riteneva il Giorno della Memoria “inutile”, l’8 “retorico”, il 25 “giusto”, il 32 “necessario”, il 39 “formativo”, il 45 “dovuto”.
“In pratica l’atteggiamento degli italiani ci diceva che non era più un tema attuale quello della Memoria. Dobbiamo ricordare le nefandezze del passato ma sono confinate appunto al passato”. Poi però arriva l’inversione di rotta. “Il tema del 'dovuto' – sottolinea Grassi – cala a ogni rilevazione. E la nostra valutazione è che derivi da una progressiva ricollocazione della ricorrenza del 27 gennaio e del suo significato nel presente. E infatti abbiamo il grande balzo di quest’anno con il 39 per cento degli intervistati che definisce il Giorno della Memoria come 'giusto', che diventa prima attribuzione di significato”. Come italiani, in sintesi, nel 2020 siamo più preoccupati per l’antisemitismo e allo stesso tempo siamo sempre più portati a considerare, spiegano da Swg, “la Memoria come un simbolo vivo, utile non solo per non dimenticare, ma ancor più per agire nel presente, contrastando nel qui ed ora un ritorno di atteggiamenti antisemiti e più in generale di chiusura ed esclusione che preoccupano una quota rilevante del campione intervistato”.
L’indagine fa riferimento ai dati raccolti da Swg – dal 2014-2020 – su campioni rappresentativi attraverso rilevazioni realizzate mediante collegamento telematico (metodologia Cawi) effettuate fra il 12 e il 22 gennaio di ogni anno. I campioni sono stati composti di anno in anno da un numero variabile dagli 800 ai 1200 soggetti rappresentativi della popolazione italiana. Le domande sono state inserite all’interno di indagini più ampie che comprendevano anche altre tematiche di tipo sociale, politico e di costume.
Da sottolineare come il tema della minaccia antisemita sia tornato fortemente attuale nell’ultimo periodo con gli attacchi alla senatrice Liliana Segre e fino alla decisione del governo di istituire un Coordinatore dedicato al contrasto dell’antisemitismo e di adottare la definizione dell’IHRA in merito. “La vicenda Segre è stata la più evidente ma non è l’unica. – afferma Grassi – Nel 2019 c’è stata una deriva di attacchi contro gli ebrei e contro la Shoah e questo sembra abbia risvegliato gli antidoti della Memoria”. Come se si fosse superato un confine invalicabile. “Nel 2014-2015 gli attacchi della politica erano concentrati sulle banche. Nel 2016 e fino al 2018 l’aggressività si è spostata verso lo straniero, l’immigrato. Nel 2019 c’è stata un’ulteriore evoluzione con il mondo ebraico nuovamente preso di mira e qui qualcosa, ci dice la nostra indagine, si è risvegliato. La sensibilità collettiva si è riattivata. Del resto i valori vengono fuori con forza quando se ne sente la mancanza”. La Memoria riconquista dunque il suo significato ma lo fa di fronte a una minaccia percepita come tangibile, a una situazione – estremizzando – di emergenza. Il che non può rassicurare chi da sempre lavora per una Memoria che si dica effettivamente viva, che sia modello per una società improntata al rispetto e alla convivenza. Serve trovare delle strade perché l’antidoto sia sempre attivo e non solo quando il veleno si è diffuso.
IL CONCERTO PROMOSSO DA UCEI E PRESIDENZA DEL CONSIGLIO
Dal Nabucco a Gerusalemme d’oro,
note d’esilio e di speranza
Da Va’ pensiero a Yerushalayim shel zahav: è un itinerario carico di emozioni quello che guida il pubblico dell’Auditorium Parco della Musica di Roma sulle vibrazioni di “Là dove giace il cuore”, il settimo concerto della Memoria promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sotto il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Sul palco grandi artisti e interpreti, chiamati a dare voce al tema dell’esilio nelle sue diverse declinazioni. L’esilio del popolo ebraico ma anche di tutti coloro che, nel corso dei secoli, sono stati costretti a lasciare i Paesi d’origine in cerca di scampo e asilo.
Un concerto che, come ha sottolineato in apertura di serata Viviana Kasam, che ha ideato e prodotto l’evento assieme a Marilena Citelli Francese, “si apre a tutti gli esuli, di ieri e di oggi, ricordando che per molti l’esilio fu morte spirituale ma paradossalmente anche occasione di rinascita e creatività, come per i protagonisti di questo concerto”.
“Ripercorrendo le vicissitudini storiche del popolo di Israel, desideriamo stimolare la riflessione su uno dei temi più attuali e drammatici del mondo contemporaneo” ha sottolineato in un suo testo la Presidente UCEI Noemi Di Segni, impegnata a Gerusalemme nel grande evento di Memoria svoltosi allo Yad Vashem (a rappresentarla in sala il vicepresidente Giulio Disegni).
Per la quarta volta l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, attraverso la Run for Mem, propone un momento attraverso il quale tener viva la Memoria della Shoah partecipando ad una corsa sportiva non competitiva. L’appuntamento è per il 26 gennaio, a Livorno, per una iniziativa che si basa sull’idea che lo sport, linguaggio universale per eccellenza, abbia “la capacità di evidenziare la nostra umanità superando le distinzioni di religione, credo, cultura e di genere e favorire l’incontro con l’altro; un momento importante per oltrepassare confini e barriere”.
“In un momento in cui lo spettro dell’antisemitismo e più in generale del razzismo sembra nuovamente aggirarsi per l’Europa è quanto mai opportuna l’iniziativa della Presidenza della Camera dei Deputati di ricordare la luminosa figura di un italiano, Gino Bartali”.
L’ha sottolineato Giulio Disegni, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, intervenendo quest’oggi all’evento “Bartali campione Giusto” che si è svolto a Palazzo Montecitorio. Una nuova occasione per ricordare in sede istituzionale il grande ciclista fiorentino proclamato “Giusto tra le Nazioni” nel 2013, fortemente voluta dal presidente Roberto Fico.
“Celebrare il Giorno della Memoria – ha spiegato – significa rendere anche omaggio a chi trovò il coraggio e la determinazione di non voltarsi dall’altra parte. E si adoperò attivamente, spesso a rischio della propria vita, per salvare gli ebrei dallo sterminio. Per questa ragione, abbiamo voluto dedicare l’iniziativa odierna a Gino Bartali”. Uno straordinario e intramontabile campione di ciclismo ma, ha aggiunto Fico, “anche e soprattutto un uomo buono, coerente con la sua profonda fede e con i suoi ideali”.
Trieste applaude Andra e Tatiana Bucci
L'omaggio dell'Università al loro impegno
Le sorelle Tatiana e Andra Bucci, tra le ultime Testimoni italiane della Shoah ancora in vita, hanno ricevuto quest’oggi la laurea honoris causa in Diplomazia e Cooperazione Internazionale dell’Università di Trieste.
Un nuovo riconoscimento dell’intensità e dell’efficacia dell’azione di Memoria svolta in ogni sede, in particolare a favore di una crescita di consapevolezza nelle nuove generazioni. È stata Tatiana a ritirare il riconoscimento a nome di entrambe, nel corso della cerimonia di inaugurazione del 96esimo anno accademico che si è svolta alla presenza delle massime autorità cittadine e regionali e di molti giovani.
“Dalle persone alle cose: le collezioni ebraiche deportate e il ruolo dello Stato”. È il tema della riflessione organizzata oggi agli Uffizi, negli spazi dell’auditorium Vasari. Un tema caro alla direzione del prestigioso museo fiorentino, che in questi anni ha promosso istanze di giustizia e Memoria che hanno lasciato il segno. Centinaia di migliaia, è stato oggi ricordato nel corso dell’incontro, le opere d’arte trafugate dai nazisti durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale: è questo il triste bilancio di intere collezioni ebraiche, letteralmente deportate, strappate a famiglie e sinagoghe mentre si destinavano i legittimi proprietari a morire nei campi di sterminio. Significativo lo scorso anno l’appello del direttore Eike Schmidt affinché nel mondo i governi facciano di più, istituendo “commissioni che si impegnino attivamente” nel recupero dei beni sottratti, seguendo l’esempio virtuoso dell’Italia con il Nucleo di Tutela dei Carabinieri. Ad aprire l’incontro, che ha visto gli interventi di vari addetti ai lavori, un saluto anche del presidente della Comunità ebraica fiorentina David Liscia. Hanno poi preso la parola, moderati da Alessia Cecconi, Daria Brasca, Marta Baiardi, Silvio Balloni e Tiziano Lanzini.
Ancora pietre d’inciampo nelle strade italiane. Oggi, alla presenza degli studenti di numerosi istituti e delle massime autorità pubbliche, con un intervento tra gli altri della presidente della Comunità ebraica Manuela Russi, la posa delle stolpersteine ha caratterizzato un itinerario di Memoria nella città di Ancona.
Sette sono state oggi collocate nel capoluogo marchigiano (via della Loggia, Corso Garibaldi, via Goito, via Fornaci e via Beccheria), due saranno prossimamente poste ad Osimo e Jesi. Ad essere commemorate le figure di Franco, Lucio e Renzo Coen Beninafante, Piero Sonnino, Nella Montefiori, Vittoria Nenni e Dante Sturbini (Ancona), Annita Bolaffi (Osimo) e Giulio Ottolenghi (Jesi).
In occasione del Giorno della Memoria, La Nazione porta in edicola il libro di Alfredo De Girolamo Da Mogador a Firenze: i Caffaz, viaggio di una famiglia ebrea, presentato nelle scorse ore nella sede del quotidiano fiorentino dalla direttrice Agnese Pini in presenza del presidente della Comunità ebraica David Liscia, del presidente della Banca di Credito Cooperativo di Cambiano Paolo Regini, di Ugo Caffaz, ideatore dei Treni della Memoria che da 20 anni sono un vanto della Regione Toscana, e dell’autore dell’opera.
Arriva a Soncino, presso la Sala Mostre dell’Ex Filanda Meroni, la mostra “La scelta. Carabinieri contro la Shoah” dedicata alle vicende dei quattro membri dell’Arma riconosciuti come “Giusti” dallo Yad Vashem – Giacomo Avenia, Osman Carugno, Carlo Ravera e Enrico Sibona – e di tutti coloro che, in divisa, fecero una scelta di campo opposta al nazifascismo. Organizzata la prima volta nel gennaio del 2019 a Padova, la mostra – promossa dalla locale associazione Pro Loco – si compone di una trentina di pannelli con foto e documenti, provenienti dall’archivio del Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.
Quale è il futuro della Memoria? Prova a dare una risposta il dossier curato dal giornalista del Tg2 Giovan Battista Brunori, in onda domani sera alle 23.30.
Molte le interviste effettuate. A parlare sono tra gli altri Dror Eydar, ambasciatore israeliano in Italia, la scrittrice e Testimone della Shoah Edith Bruck, alcuni esponenti della Comunità ebraica di Tolosa.
Una delle strategie più efficaci della propaganda antisemita mira a dividere gli ebrei fra loro, a creare conflitti all’interno della compagine ebraica. Il borgomastro di Vienna Karl Lueger all’inizio del ’900 fu eletto con i voti di un partito dichiaratamente antisemita, ma per suo comodo usava dire: “Chi è ebreo lo decido io”. Con l’avvio della propaganda antiebraica in Italia negli anni ’30 il regime riuscì ad innescare contrasti particolarmente accesi nella comunità ebraica che con ogni evidenza erano parte di una strategia complessiva che mirava alla sua definitiva disgregazione. Si agevolò la spaccatura all’interno dell’Unione delle comunità israelitiche e si registrarono atti di violenza.
Gadi Luzzatto Voghera, direttore Fondazione CDEC Leggi
Ipocriti antisemiti
Nel parashà di vajerà che leggeremo questo Shabbat, notiamo che il faraone più volte promette a Moshè, di liberare il popolo dalla schiavitù, ma altrettante volte non mantiene la promessa.
Egli è forse il primo antisemita della nostra storia che toglie agli ebrei il diritto di praticare le proprie tradizioni e i propri usi.
Ho trovato estremamente interessante la lezione di Andrea Minuz, docente di Storia del cinema presso l’Università di Roma La Sapienza, tenuta il 20 gennaio a Torino dal titolo “Holocaust 40 anni dopo: la ricezione internazionale dello sceneggiato.” La miniserie televisiva, che l’anno precedente aveva ottenuto un clamoroso successo di pubblico negli Stati Uniti e in Germania, fu trasmessa dalla televisione italiana nel maggio-giugno del 1979. Da dodicenne ricordo che allora l’avevo guardata con grande diffidenza e storcendo il naso per le imprecisioni storiche (che in effetti non mancavano: mi avevano colpito in particolare i letti delle baracche del lager con il comodino o qualcosa del genere). Devo dire, però, che la conferenza ha in parte ribaltato il mio punto di vista di allora.
Se il Faraone avesse ascoltato Moshe lasciando partire il popolo ebraico avrebbe sicuramente salvato sé stesso e il popolo egiziano dalla catastrofe. Forse anche Moshe era considerato dal faraone una sorta di “profeta di sventure”. Proprio come sono stati definiti a Davos da Donald Trump i numerosi scienziati che ci avvertono da anni a proposito dei rischi a cui andremo incontro se non adottiamo delle serie misure per contrastare i cambiamenti climatici. Il Faraone probabilmente era in parte consapevole del pericolo che incombeva sull’Egitto, ma la sua ostinatezza – il suo “indurimento di cuore” – lo portava a negare quei segni così evidenti che aveva di fronte agli occhi, fingendo che tutto andasse per il meglio.