Pio XII e l'apertura dell'archivio vaticano
Cresce l'attesa tra gli studiosi
David Kertzer, Premio Pulitzer e tra i massimi esperti delle relazioni fra i vertici della Chiesa e il mondo ebraico, ce l’ha assicurato. “Su una cosa – ha detto in una recente intervista con Pagine Ebraiche – potete star sicuri: il 2 marzo, quando quella porta si aprirà, ci sarò senz’altro”.
Cresce l’attesa tra gli studiosi per l’ormai imminente apertura dell’archivio della Santa Sede dedicato al pontificato di Eugenio Pacelli. Dal 1939 al 1958, i documenti racconteranno quasi 20 anni di leadership vaticana. Ma l’attenzione di molti sarà inevitabilmente dedicata al periodo bellico e in particolare all’approccio che fu tenuto nei confronti delle persecuzioni antiebraiche del nazifascismo. Diverse, come noto, le questioni aperte.
“Conosciamo già molto dell’atteggiamento della Santa Sede e del papa durante il secondo conflitto mondiale. Qualcosa di nuovo emergerà sicuramente, ma in linea di massima i contorni di questa vicenda sono noti. Quello che è stato fatto e quello che non è stato fatto. Ma ciò non toglie interesse a questa storica apertura. Più che altro – rifletteva Kertzer con il giornale dell’ebraismo italiano – a preoccuparmi non saranno tanto i contenuti, quanto le modalità di accesso alla documentazione conservata”.
Un tema di grande attualità, tenendo conto del tanto materiale che si andrà ad esaminare. I vertici vaticani proveranno a dare qualche risposta venerdì prossimo, nel corso di un convegno organizzato presso l’Istituto Patristico Augustinianum cui interverranno tra gli altri il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, l’archivista e bibliotecario, il cardinale José Tolentino Calaça de Mendonça, e il prefetto dell’archivio apostolico, monsignor Sergio Pagano. Un’occasione, viene spiegato nel programma, per “presentare agli studiosi il lavoro di preparazione archivistica dei documenti, le risorse documentarie messe a disposizione, i possibili percorsi di ricerca che si aprono ai diversi interessi”. I fondi che diventeranno consultabili a partire dal 2 marzo, si annuncia al riguardo, “proiettano l’immagine di un pontificato che dalla tragicità dell’esperienza bellica si allarga sempre più, nel dopoguerra, a uno scenario internazionale, nella vastità di una prospettiva che può essere definita davvero globale”. Alberto Melloni è tra quanti attende con interesse. “Spunterà qualcosa di importante, ne sono sicuro. Solo che ci vorrà un bel po’ di tempo. Parliamo infatti – ricorda – di alcune decine di chilometri di carte”. Uno sforzo di lungo periodo per affrontare il quale auspica “una qualche forma di collegamento”. La speranza, guardando al lavoro dei prossimi mesi e anni, è che “emergano molto di più complessità e pieghe, per correggere due narrazioni sbagliate: quella del salvatore di ebrei e quella all’opposto del papa di Hitler”. Oltre al periodo bellico, Melloni è interessato agli anni in cui nasce e si consolida lo Stato di Israele. “Sarà importante capire come il papa si relazionò con questa nuova realtà. Cosa pensò, come affrontò determinati passaggi. È – sottolinea – uno snodo di un certo peso”.
Poche invece le aspettative per Marcello Pezzetti. “Ritengo improbabile che emerga qualcosa di significativo. Nel caso, sarebbe già stato reso pubblico. Ciò detto, l’apertura degli archivio è comunque un fatto rilevante, che permetterà di avere uno sguardo più articolato e approfondito su questa figura”. Una figura che, per Pezzetti, resta avvolta dall’ambiguità. “Non si può parlare di Pacelli in modo né assolutamente positivo, né assolutamente negativo. Per sciogliere alcuni nodi, conoscere meglio il contesto sarà senz’altro utile”. Il tema rilevante, per lo studioso, non sarebbero tanto i mesi delle deportazioni a Roma e in Italia. Quanto i primi anni di pontificato, quando a Pacelli “iniziarono ad arrivare notizie sui primi stermini di massa”. Dall’autunno del ’41 in poi: è lì, sostiene, “che bisogna concentrare l’attenzione”. Anche perché, aggiunge, “Pio XII non intervenne mai”.
Su posizioni simili Amedeo Osti Guerrazzi. “Non penso – afferma – che uscirà niente di eclatante. E ho la sensazione che certe cose più sensibili non saranno messe a disposizione. Varrà comunque la pena fare qualche ricerca”. Su Pio XII il suo giudizio è piuttosto critico: “Pacelli è spesso celebrato come Defensor Civitatis. Ma forse, mi viene da dire, solo di quella cattolica. Non fu, diciamo così, una figura di straordinario coraggio”. A pesare, per Osti Guerrazzi, i ben noti silenzi: “Non c’è, prima del 16 ottobre, un ordine esplicito di aiutare gli ebrei. Non c’è durante il rastrellamento. Ognuno può trarre le sue conclusioni. C’è chi ha duramente criticato tali silenzi. C’è chi invece ritiene siano stati parte di una precisa scelta strategica. Al riguardo è in effetti vero che quando in Olanda il clero cattolico si oppose, il regime scelse di deportare anche chi si era battezzato”.
Si apre con un servizio sul grande artista Amedeo Modigliani la puntata di Sorgente di Vita in onda su Rai Due domenica 16 febbraio.
L’occasione è una mostra a lui dedicata a Livorno, “Modigliani e l’avventura di Montparnasse”, che propone dipinti e disegni di Modì insieme a opere di pittori che lo hanno frequentato nella sua vita parigina.
Lui era nato a Jezierna, che oggi è Ucraina, alla fine dell’800. Faceva il commerciante ed era cittadino austriaco, ebreo. Parlava almeno tedesco, yiddish, ungherese e italiano probabilmente anche rumeno. Lei era nata pochi anni dopo a Braila, in Romania, in anni in cui gli ebrei erano il 25 % della popolazione. Era nipote del cantore della sinagoga sefardita di Timisoara e parlava spagnolo, ladino, rumeno e tedesco. Poi ha imparato anche l’italiano. A Timisoara a metà degli anni ’20 si viveva bene; una città crocevia di culture, di lingue e di religioni. Si commerciava, ma si andava anche a teatro e ai concerti.
La parashà che leggeremo questo Shabbat è considerata forse la parashà più importante della Torà, poiché in essa sono contenuti gli “Aseret ha dibberot – I Dieci Comandamenti” che sono il cardine su cui poggiano tutte le altre mizvot. Per questo motivo i nostri Maestri si chiedono perché è chiamata con il nome di un uomo che, non solo non era ebreo, ma era anche sacerdote di una popolazione pagana.
L’onore è un concetto difficilissimo da definire, talmente mutevole attraverso i luoghi, le epoche e le culture da assumere significati del tutto opposti tra loro. L’onore dell’Italia, poi, è stato invocato da fascisti e antifascisti, da chi dava la caccia ai nostri genitori e nonni e chi combatteva per difenderli. Dunque nulla più ci dovrebbe sorprendere. E tuttavia confesso che faccio un po’ fatica a capire attraverso quali passaggi logici si possa giungere ad affermare che impedire a una nave carica di profughi di sbarcarli significa difendere l’onore dell’Italia.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, oltre dodici milioni di tedeschi fuggirono o furono espulsi dall’Europa Orientale, da quelle regioni precedentemente occupate dai nazisti che divennero poi parte del blocco socialista, per riparare in Germania o in Austria – altre stime parlano di sedici milioni di persone. Non esiste una stima esatta per accertare quanti tedeschi morirono di fame, di stenti o per ritorsioni ed eccidi durante i trasferimenti e le evacuazioni del Dopoguerra, tanto meno per determinare quanti di essi avevano effettivamente collaborato o preso parte agli stermini nazisti, si tratta comunque nel primo caso di milioni di individui.