RAV GIANFRANCO DI SEGNI E UNA LEZIONE DAL PASSATO

Le prediche nel Ghetto ai tempi della peste

Calma. Non si tratta delle infauste “prediche coatte” alle quali gli ebrei romani che vivevano nel ghetto erano sottoposti dalla Chiesa. No, si tratta invece delle prediche rabbiniche (derashot) che a causa della peste non si potevano tenere nelle sinagoghe, tutte chiuse. E allora come fare? Come si poteva declamare la derashà settimanale? Ce lo descrive il rabbino e medico di Roma Jacob Zahalon (Roma 1630-Ferrara 1693) nella sua opera medica, scritta in ebraico, Otzar haChayim (Tesoro della vita), pubblicata a Venezia nel 1683. Notevole l’uso di molti termini italiani traslitterati in lettere ebraiche, di natura medica o attinenti alla vita quotidiana, facili da identificare perché scritti in carattere quadrato, grande e in grassetto, che ben risalta sul resto, in piccolo carattere corsivo. Fra i tanti argomenti affrontati in quest’opera, rabbi Zahalon dà una dettagliata descrizione di come si svolgeva la cura dei malati nel ghetto di Roma durante la peste del 1656, che si portò via 800 ebrei su circa 4000. Egli stesso era in prima linea, in doppia veste di medico e di rabbino, e quando arriva a descrivere la vita religiosa in quei giorni così racconta:
“E poiché la gente non poteva andare nelle Sinagoghe, pertanto nel sabato parashà Toledot, 2 di kislev 5417 dalla creazione, io Yaaqov Zahalon feci una derashà nella via dei Catalani in un angolo della strada nella casa di David Gattegni, che il Signore lo protegga, dalla finestra di casa sua e la comunità stava in piedi nella strada per sentire la derashà. Un’altra volta feci la derashà nella via Toscani e mi fermai a predicare dalla finestra della casa di Yehudà Gattegni e la gente stava sotto per strada ad ascoltare la predica, e così in altre strade i rabbini predicavano parole di Torà dalla finestra di casa loro perché non era permesso andare tutto il giorno per strada tranne che ai medici, ma in un’ora stabilita tutti avevano il permesso di fare le loro necessità per il loro cibo. Tuttavia di notte nessuno usciva di casa; e c’era chi girava per la città e se trovavano qualcuno lo mettevano in reclusione fissa dentro al ghetto” (traduzione di rav Riccardo Di Segni: nel suo intervento è riportata la traduzione integrale delle diverse pagine dedicate all’epidemia della peste da cui questo frammento è tratto).
Anche in queste settimane le sinagoghe sono chiuse a causa della pandemia del coronavirus. Per le lezioni e le derashot i rabbini di oggi, come quelli d’allora, possono parlare dalle “finestre” virtuali e digitali di un computer, e raggiungere decine e centinaia di persone.

Rav Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano

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PAGINE EBRAICHE - MARZO 2020 

“Spiritualità e pratica sportiva,
mondi che devono dialogare”

Spiritualità ebraica e pratica sportiva: due mondi visti talvolta in contrasto ma che in realtà possono incontrarsi e crescere insieme (per il momento, in queste settimane di emergenza sanitaria, almeno nella teoria). È quanto sostiene la Yeshiva University, punto di riferimento dell’ebraismo statunitense che ha realizzato, con il contributo di alcuni esperti, un breve approfondimento denominato “Jews, Sports and Society”. L’introduzione è esplicita: “Dedizione. Innumerevoli ore di impegno. Sacrificio. Veder sorgere delle avversità. Massimizzare i propri talenti naturali. Una vita religiosamente declinata e lo sforzo proprio dello sport hanno molto in comune, anche se spesso entrano in conflitto”. 
Joe Bednarsh, direttore del comparto sportivo dell’Università, ricorda che dal punto di vista storico lo sport è sempre stato veicolo di integrazione nelle diverse società in cui gli ebrei si sono trovati a vivere. Anche un modo, quindi, “per prevenire l’antisemitismo”. Oggi però i vantaggi vanno ben oltre questo specifico aspetto. “Abbiamo prove empiriche – scrive Bednarsh – che gli studenti atleti hanno rendimenti più elevati rispetto a chi non fa sport. I numeri della Yeshiva University riflettono questo trend”. E questo perché, si legge, “lo sport insegna lezioni che non possono essere apprese in classe, come ad esempio la sfida di essere un leader, gestire il tempo, definire le priorità”. Benefici evidenti anche nella pratica agonistica, con la squadra di pallacanestro che in particolare si è distinta nei tornei nazionali. “E questo – riflette Bednarsh – nonostante i limiti imposti dalla religione, il nostro calendario scolastico particolare e la tante altre sfide che ci troviamo ad affrontare. Siamo legati in modo indissolubile all’ebraismo e abbracciamo la dicotomia sia di essere ‘simili’ che ‘diversi’ rispetto a chi ebreo non è”.  

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L'INDICAZIONE DELLA CORTE SUPREMA ISRAELIANA AL PARLAMENTO 

"La Knesset scelga il suo nuovo presidente"

Entro domani la Knesset deve riunirsi e nominare il suo nuovo presidente. È quanto ha sancito la Corte Suprema israeliana in queste ore, pronunciandosi in modo chiaro su quale iter debba seguire la democrazia israeliana. L'attuale presidente, Yuli Edelstein del Likud - il partito del Premier ad interim Benjamin Netanyahu - aveva sospeso le attività del parlamento la scorsa settimana, impedendo di fatto il voto su un suo possibile sostituto e venendo criticato dal presidente Reuven Rivlin. Edelstein in un primo momento aveva sostenuto che il congelamento fosse legato alle precauzioni di sicurezza dovute all'epidemia di coronavirus, ma in seguito ha spiegato la sua decisione come una mossa volta a costringere il Likud e l'avversario Kachol Lavan a scendere a compromessi nei colloqui per la formazione di un governo di unità nazionale.

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PILPUL - L'APPROFONDIMENTO CON IL MEDICO DI TORINO ARIEL DISEGNI 

"Medici di base, in prima linea senza gli strumenti"

In questa emergenza sanitaria c'è una categoria poco raccontata, ma che sta lavorando in condizioni difficilissime: i medici di famiglia. Cosa devono affrontare, con carenza di strumenti necessari aper proteggere se stessi e il personale che lavora con loro, lo racconta alla redazione di Pagine Ebraiche il medico di Torino Ariel Disegni. “Non ci sono sufficienti mascherine per me e nemmeno per le segretarie. Anche loro sono in prima fila in questa emergenza”, racconta Disegni.
A lui e a tutta la categoria va la nostra solidarietà e l'invito ad ascoltare la sua testimonianza questa sera alle 22.30 sui canali Facebook di Pagine Ebraiche e UCEI

PILPUL - IL RICORDO DEL GRANDE GIORNALISTA 

Gianni Mura, giornalismo e passione civile

Una firma storica del giornalismo sportivo, il più grande della sua generazione. E un amico prezioso di questa redazione, con cui si è più volte confrontato anche sull’orrenda piaga del razzismo e dell’antisemitismo negli stadi. Uno dei primi, tra tanti silenzi, a denunciare con forza una deriva troppo spesso sottaciuta. E anche uno dei primi a ricordare, nell’ottantesimo anniversario delle Leggi razziste, il contributo che gli ebrei italiani diedero all’affermazione del calcio professionistico. Nomi illustri, fatti precipitare per decenni nell’oblio.
Anche la redazione di Pagine Ebraiche ha ricordato Gianni Mura, scomparso domenica all’età di 74 anni, dedicandogli ieri sera il suo notiziario quotidiano pilpul sui canali Facebook UCEI e Pagine Ebraiche.

QUI ROMA - L'INIZIATIVA DEI GIOVANI DELLA COMUNITÀ

Crisi sanitaria, la raccolta fondi per lo Spallanzani

“Messi a dura prova dal COVID-19, noi di Jewlead abbiamo deciso di combatterlo con una campagna…virale: GOAL-19! Come primo obiettivo vorremmo raggiungere una somma di 19mila euro da donare all’Ospedale Spallanzani di Roma per sostenere l’acquisto di apparecchiature cliniche e strumentazioni per gli operatori sanitari”. È la sfida di Jewlead, gruppo nato dalla Commissione Giovani della Comunità ebraica di Roma, che ha lanciato una raccolta fondi sulla piattaforma di crowdfunding GoFundMe. L’invito a donare è rivolto a tutti: “Ogni donazione, anche la più piccola, sarà fondamentale per dare un supporto e un segnale di positività in questo momento difficile”.

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Rassegna stampa

La richiesta del Colle
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Contro il virus, l'Unione europea
Dall’intervista del 17 marzo, pubblicata sul sito di Gariwo, dello storico israeliano Yuval Harari a Christiane Amanpour, della CNN:
"Gli umani sono particolarmente vulnerabili alle epidemie, perché siamo un animale sociale. Ed è così che si diffondono le epidemie. La forza dei virus è che spesso sfruttano il nostro meglio, le caratteristiche migliori della natura umana contro di noi. Sfruttano il fatto non solo che ci piace socializzare, ma anche che ci aiutiamo a vicenda. Quando qualcuno è malato, la cosa naturale da fare, specialmente se questo è un amico o un membro della famiglia, è andare da lui, per dargli sostegno, prendersene cura, dargli supporto emotivo. Toccarlo, abbracciarlo. Ed è esattamente così che si diffonde il virus".
Anna Foa
Oltremare - Se fosse una guerra
Se questa fosse una guerra, qualcuno, almeno nel centro di comando o nelle prime linee, vedrebbe il nemico. Riporterebbe al suo comandante il numero dei mezzi, perfino il numero esatto dei soldati schierati. La linea di comando si attiverebbe, e nel giro di poco tempo i gradi alti prenderebbero una decisione: attaccare, aspettare, chiedere rinforzi. Invece davanti a un nemico invisibile, perfino qui l'unica via è la ritirata in blocco, tutti in casa barricati. 
Daniela Fubini
Controvento - L’amore ai tempi del corona 
Un amico mi ha inviato una fotografia che lo ritrae con la sua compagna, vestiti da sera, il tavolo imbandito per una cena elegante.
Un altro, le immagini della sua casa piena di fiori freschi (si è messo d’accordo con un fiorista che glieli recapita ogni giorno fuori dalla porta). Mi hanno fatto riflettere sull’importanza di voler bene. Agli altri, ma soprattutto a se stessi. Chiusi in casa, ansiosi, sopraffatti dalle cattive notizie, con la sensazione che il cerchio si stringa intorno a noi (chi non ha un amico, un conoscente, un familiare positivo?), tendiamo a lasciarci andare, a trascurarci. Perché farsi belli, se tanto non si può uscire? Perché agghindare la casa, che è diventata la nostra prigione? E invece, quei gesti di cura fanno bene allo spirito.
Viviana Kasam
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