Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   24 Gennaio 2021 - 11 Shevat 5781
LA FESTA PER I 100 ANNI  

Dagli espropri del '38 al riscatto nel dopoguerra,
il secolo di Aldo Liscia

“Ho avuto una vita talmente intensa che neanche mi sono reso conto di essere arrivato a cent’anni”. Aldo Liscia ci risponde così, con schiettezza e simpatia. Livornese d’origine, trapiantato ormai da molti anni a Torino, nacque nel 1921 nella villa di famiglia. Un bel palazzo, nel quartiere di Antignano, che fece gola alle persone sbagliate: i potenti Ciano. Prima Costanzo. E poi il figlio Galeazzo. Entrambi avevano come obiettivo quello di accaparrarsi Villa Giulia (il nome della nonna di Aldo, cui era dedicata). Tutto divenne più facile con le leggi razziste, promulgate dal fascismo nel 1938. Galeazzo se ne servì per minacciare con parole inequivocabili il padre Adolfo, convocato a Lucca: “Sappiamo dove sta tuo figlio, potrebbe succedergli qualcosa”. Adolfo fu così costretto a cedere la villa a un prezzo ridicolo. Aldo nel frattempo era riparato nel sud della Francia, da dove sarebbe poi emigrato in Svizzera. Un’oasi di salvezza, ma nessuno attorno. Nel nuovo Paese, senza un soldo, riuscì comunque ad ottenere una borsa di studio che gli consentì di laurearsi in ingegneria chimica e ottenere un lavoro. Al ritorno in Italia, riabbracciati i suoi cari, la missione è soprattutto una: recuperare l’antica proprietà, espropriata dal regime con i metodi loschi che abbiamo visto. La vertenza giudiziaria va avanti per anni, ma in conclusione giustizia è fatta. Villa Giulia torna ai Liscia. “Abbiamo vinto noi”, esulta il neo centenario ricordando con commozione quel giorno.

Nel frattempo Aldo era andato avanti negli studi ed era entrato a far parte del progetto di ricerca nucleare italiano. I meriti in questo campo gli varranno in seguito la prestigiosa onorificenza di Cavaliere della Repubblica, di cui è ancora oggi giustamente fiero. Ci racconta Aldo, festeggiato nelle scorse ore da molti amici da tutto il mondo che hanno preso parte a un evento online organizzato dalle Comunità ebraiche di Torino e Livorno: “Sono soddisfatto, nonostante i tanti inciampi e le sfide che l’hanno caratterizzata, il bilancio della mia vita è positivo. Una moglie, Marisa, che ho amato molto. E la gioia di figli, nipoti e pronipoti”. Senza Covid in questi giorni sarebbe nelle scuole a testimoniare. A ricordare ai ragazzi “che la democrazia sarà certo imperfetta, ma è sempre la strada maestra”.

(Nell’immagine in alto Aldo Liscia, in basso Villa Giulia in una foto d’epoca)

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L'EVENTO DELLA CAMERA DEI DEPUTATI

“Musica, strumento di Memoria”

Con “Note di Memoria”, l’iniziativa trasmessa stamane sulla webtv della Camera dei deputati (una replica è prevista per le 18), la musica torna sinonimo di ricordo, impegno, valori. Al centro l’attività svolta in questo ambito dal Maestro Francesco Lotoro, da oltre trent’anni impegnato nella raccolta e valorizzazione della cosiddetta musica concentrazionaria.
Una musica, ha detto il presidente della Camera Roberto Fico, “capace di parlare a tutti, di trasmettere emozioni, di raccontare storie”. Attraverso la musica, ha infatti aggiunto, è possibile “costruire memoria, un dovere che ricade su tutti noi, istituzioni e cittadini, per non dimenticare pagine drammatiche della nostra storia e rendere più solidi i principi fondamentali su cui si basa la nostra comunità”. Secondo Fico “tenere viva la Memoria è tanto più importante in una fase storica in cui atti terroristici e manifestazioni crescenti di antisemitismo determinano, anche in un continente come l’Europa, rischi per la sicurezza dei nostri concittadini ebrei, al punto da indurli in alcuni casi ad abbandonarlo”.

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A 83 ANNI DALLE LEGGI RAZZISTE, LE RESPONSABILITÀ STORICHE DEI SAVOIA

“Scelte di Vittorio Emanuele III
monito per le generazioni”

L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ha diffuso la seguente nota:

“I crimini del fascismo e le firme di Vittorio Emanuele III hanno rappresentato un abominio, un tragico vulnus nella storia d’Italia e resteranno un monito per le generazioni. La Costituzione repubblicana ce lo ricorda chiaramente: la sua stessa esistenza è la più eloquente sentenza cassatrice di quel periodo, del regime e dei suoi protagonisti.
Oggi, dopo 82 anni il discendente, il bisnipote Emanuele Filiberto, afferma un sentimento di ripudio e condanna rispetto a quanto avvenuto. Un lasso di tempo molto lungo. Perché ora?
Si tratta in ogni caso di un’iniziativa che è da ritenersi ad esclusivo titolo personale, rispondendo ciascuno per i propri atti e con la propria coscienza.
Né l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane né qualsiasi Comunità ebraica possono in ogni caso concedere il perdono in nome e per conto di tutti gli ebrei che furono discriminati, denunciati, deportati e sterminati. Nell’ebraismo perfino a Dio non si può rivolgere una richiesta di perdono se chi percepisce l’onta e la colpa non si è prima scusato dinanzi alla persona offesa.
La condanna morale del regime e dei suoi atti – che Emanuele Filiberto esprime oggi verbalmente per la prima volta – è stata per migliaia di ebrei, partigiani combattenti e convinti antifascisti, una bandiera e una guida per la lotta alla sopravvivenza, per la quale molti di loro hanno sacrificato la vita per la Patria.
È in ricordo di tutti loro, dei sei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento, degli internati militari italiani, dei perseguitati politici, rom e sinti, disabili e omosessuali che ogni forma di nostalgia di quel regime deve essere severamente affrontata ed arginata. È verso i giovani del nostro Paese, dell’Europa che ci riunisce intorno ai valori fondamentali dell’uomo, che la condanna – non la richiesta di perdono per riabilitare il casato – va rivolta, affinché dicano il più convinto ‘mai più’.
Prendiamo atto delle parole di costernazione e ravvedimento espresse mediaticamente nelle scorse ore, in vista del 27 gennaio e vedremo, nei prossimi mesi, anni, quali azioni concrete, quotidiane possano a queste seguire con coerenza ed essere di esempio ad altri”.

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A 83 ANNI DALLE LEGGI RAZZISTE - L'INTERVISTA ALLA PRESIDENTE UCEI

"Savoia, perdono impossibile"

È da poco terminato lo shabbat che Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane risponde al telefono: «Ci siamo confrontati all’interno dell’UCEI, prendiamo atto dell’iniziativa di Emanuele Filiberto, ma non vogliamo spettacolarizzarla alla vigilia del Giorno della Memoria, ci sono altre persone che devono essere ascoltate. Gli suggerisco di seguire il convegno online organizzato dalla presidenza del Consiglio per il Giorno della memoria, martedì prossimo», dice in una intervista di Luca Monticelli, pubblicata oggi dal quotidiano La Stampa. L’erede dei Savoia, famoso al grande pubblico per le performance a Ballando con le stelle più che per la complicità della sua famiglia con il fascismo, venerdì sera ha chiesto perdono all’ebraismo italiano per la firma di Vittorio Emanuele III, il bisnonno, alle leggi razziali del 5 settembre 1938. Ed è stato così maldestro da far uscire la notizia di questa presa di coscienza rispetto a quanto successo 83 anni fa direttamente ai giornalisti venerdì sera, quando al tramonto comincia la giornata di riposo per gli ebrei.

Presidente lei era stata avvisata prima?
«Ho letto la lettera ieri per la prima volta, sapevo che voleva entrare in contatto con le comunità ebraiche ma non in termini precisi».

Chiede perdono, che ne pensa?
«Né l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane né qualsiasi comunità ebraica possono in ogni caso concedere il perdono in nome e per conto di tutti gli ebrei che furono discriminati, denunciati, deportati e sterminati. Nell’ebraismo perfino a Dio non si può rivolgere una richiesta di perdono se chi percepisce l’onta e la colpa non si è prima scusato dinanzi alla persona offesa».
 

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LO SPECIALE DEL TG2 

“Odio, virus da combattere”

Quello dell’odio è un virus per il quale non è stato trovato ancora un vaccino efficace. A ricordarlo è il Tg2 Dossier andato in onda nelle scorse ore.
Dagli Stati Uniti all’Europa: numerose le testimonianze raccolte in questo approfondimento, che ha messo in luce le molteplici sfaccettature della minaccia antisemita. Dalle forme storicamente radicate ai nuovi fermenti generati dalle teorie del complotto legate all’emergenza sanitaria. Grande attenzione anche alla sfida educativa e valoriale. Il perno, si ricorda, di un’azione efficace a contrasto.
Tra le molte voci ascoltate quella dell’ambasciatore israeliano Dror Eydar e della presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni.

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IN LIBRERIA LA RACCOLTA DI SAGGI L'EBREO INVENTATO 

Un metodo contro i pregiudizi

Un metodo per contrastare in modo intelligente pregiudizi e stereotipi. A proporlo è la raccolta di saggi L’ebreo inventato (ed. Giuntina), curata da Saul Meghnagi e Raffaella Di Castro.
All’interno del volume, realizzato con il contributo di Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e Unione Giovani Ebrei d’Italia, gli interventi dei due curatori e di David Bidussa, rav Roberto Della Rocca, rav Riccardo Di Segni, Fiona Diwan, Daniele Garrone, Davide Jona Falco, Gadi Luzzato Voghera, Livia Ottolenghi e Claudio Vercelli.
Ve ne proponiamo un brano.

Una delle cose sconvolgenti è che l’idea delle discriminazioni e dell’annientamento del popolo ebraico, nel XX secolo, si sviluppa in Europa, nel continente dell’Illuminismo, dei valori di «libertà, uguaglianza, fratellanza», dell’autodeterminazione dei popoli, dello Stato di diritto, cioè nel continente che ascrive a sé i valori fondamentali della democrazia. La Shoah trova la sua realizzazione concreta in Germania, un paese che ha contribuito in modo decisivo alla filosofia, alla letteratura, alla musica, all’arte. Lo sterminio è l’applicazione programmata della scienza, dalla quale si attendeva piuttosto un decisivo sviluppo delle condizioni di vita e di lavoro di molte popolazioni. Ad esso hanno collaborato, non solo gli ideatori del crimine, coloro che ne avevano posto le basi ideologiche, ma vari «autori», tedeschi e di altri paesi occupati, con una moderna e terribile divisione del lavoro tra «specialisti» diversi: ingegneri, medici, biologi, tecnici, progettisti, impegnati nel fornire ai carnefici i mezzi più raffinati per lo svolgimento del loro compito.

Saul Meghnagi, Consigliere UCEI

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QUI MILANO 

Il Memoriale e la lotta contro l'indifferenza,
l'impegno è anche online

“Sono ormai diversi mesi che all’interno del Memoriale risuona un silenzio assordante e sarà difficile e straniante non vedere all’ingresso quelle migliaia di cittadini che ogni anno, in questi giorni, onorano il significato della Memoria”, confessa il presidente del Memoriale della Shoah di Milano, Roberto Jarach. Ma nonostante questo vuoto, dovuto all'emergenza sanitaria, il Memoriale ha comunque costruito un programma per aprire almeno virtualmente le sue porte alla cittadinanza. “In quest’anno così complesso ci viene data la grande opportunità di far entrare, seppur virtualmente, ancora più persone in questo luogo unico al mondo: milanesi, certo, ma anche studenti e persone di altre città, o addirittura di altri Paesi”, sottolinea Jarach. E così proprio in queste ore ha preso il via il primo appuntamento online del programma 2021, con la presentazione del libro dell'ex magistrato Gherardo Colombo e della senatrice a vita e Testimone Liliana Segre, La sola colpa di essere nati (Garzanti Edizioni).

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QUI ROMA - L'INIZIATIVA DEL PITIGLIANI

Memorie di famiglia, i giovani raccontano

Giunto alla decima edizione, “Memorie di famiglia” vede da molti anni i giovani protagonisti del ricordo. A loro il compito di tramandare le storie dei nonni attraverso la lettura di testimonianze scritte da parte di chi ha vissuto gli anni delle persecuzioni razziali e della guerra.
Organizzata dal Centro Ebraico Il Pitigliani, l’edizione 2021 si è svolta in una forma esclusivamente online, a distanza, con la voce di 23 lettori.
A spiccare un’interpretazione speciale, quella dell’attore Pierfrancesco Favino, che ha ricordato l’ex Presidente UCEI Renzo Gattegna da poco scomparso leggendo un brano tratto dalla raccolta “Luce” (ed. Studium) curata da Francesca Romana De’ Angelis. La commovente testimonianza nel ricordo di quando, bambino ebreo, vide sfilare le forze alleate nella Roma appena liberata dal nazifascismo.

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QUI MILANO - DOPO LE PAROLE DEL SINDACO SALA

Anne e le banalizzazioni da evitare

“Abbiamo già assistito alla banalizzazione e allo spregio di Anne Frank e di ciò che rappresenta, assistiamo tutti i giorni all’inaccettabile e reiterata violenza che popola il web nei confronti della Senatrice a vita Liliana Segre, alla quale va tutto il sostegno della nostra Comunità. Proprio a lei, vita parallela a quella di Anne, italiana, deportata a Auschwitz- Birkenau a 13 anni, dalla Stazione Centrale di Milano… Come può essere sfuggito al nostro Sindaco che nulla di tutto questo è paragonabile al coraggio di una ragazzina amata, libera e idealista come Greta Thunberg che si è messa con il suo cartello all’angolo di una strada della sua città sperando di scuotere le coscienze?”. È l'interrogativo posto al sindaco di Milano Giuseppe Sala dal Consiglio della Comunità ebraica di Milano, dopo un'uscita improvvida del primo cittadino. 

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QUI BOLOGNA 

Sopravvivere grazie all'arte

Un uomo resiste alla brutalità di un campo di concentramento nazista raccontando scene, dettagli e colori di opere d’arte ai compagni di prigionia. Facendo ricorso solo alla memoria e alla voce fa rivivere, nel luogo più improbabile, i capolavori della pittura che si sono depositati nella sua memoria come in un prezioso archivio. Di questo parla il libro Dipinti a voce. Sopravvivere con l’arte in un lager nazista (Marietti 1820) di François Le Lionnais.
Una videolettura del testo, realizzata senza pubblico nella Sala del Memoriale del Museo Ebraico di Bologna, sarà proposta sui siti del Museo e della casa editrice a partire dalle ore 10 di domani lunedì 25 gennaio.
Ingegnere chimico, matematico e letterato, appassionato di scacchi, uomo enciclopedico dai mille interessi e, dopo la guerra, fondatore dell’Oulipo con Raymond Queneau, Le Lionnais entra nella Resistenza nel 1942, animato da ideali comunisti. Arrestato nell’aprile 1944, interrogato e torturato dalla Gestapo, viene rinchiuso nel carcere di Fresnes, nella Valle della Marna, utilizzato durante l’occupazione nazista della Francia per imprigionare i partigiani.

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Scuse e riflessioni
I confini italiani, a sud e a Est, sono segnati da morti. Oggi, non ieri.
Abbiamo anche due giorni della memoria: per farsi chiedere scusa, non per riflettere. Bizzarro, no?
                                                                          David Bidussa
Diciannovismo
Esiste una parola, nel vocabolario politico, oggi forse un po’ desueta ma un tempo frequentemente utilizzata. Si tratta del termine «diciannovismo», che dava il titolo ad un saggio di Pietro Nenni, uscito in Italia molti anni dopo i fenomeni che intendeva definire con un unico, inedito termine. Per l’appunto, il riferimento è al 1919, l’anno successivo alla fine della Grande guerra, quando iniziarono a manifestarsi appieno, in un clima di generale i irrequietudine, al limite del torbido, istinti violenti, eversivi, anti-istituzionali che trovavano proprio nell’esperienza bellica, e nelle tante insoddisfazione che ne erano derivate nell’immediato dopoguerra, il loro fondamento.
Claudio Vercelli
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