Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   12 Settembre 2021 - 6 Tishri 5782
ISRAELE - LA CATTURA DI QUATTRO DEI SEI EVASI DAL CARCERE DI GILBOA

"Fuga dei terroristi, campanello d'allarme.
Servono riforme sul fronte della sicurezza"

Continua la caccia all'uomo in Israele per assicurare alla giustizia gli ultimi due terroristi evasi (su sei totali) dal carcere di Gilboa. Gli altri quattro sono stati catturati nel nord del paese. In particolare quello considerato il più pericoloso: Zakaria Zubeidi, ex comandante delle Brigate dei Martiri di Al Aqsa, trovato assieme a un altro degli evasi in un villaggio arabo israeliano ai piedi del monte Tabor. “Siamo schierati su tutti i fronti” e “useremo ogni mezzo possibile per catturare gli ultimi due terroristi”, ha dichiarato il ministro della Difesa Benny Gantz. I funzionari della difesa ritengono che uno abbia attraversato la Cisgiordania, mentre l'altro sia ancora in territorio israeliano. Parlando all'inizio della riunione settimanale di gabinetto, il Premier Naftali Bennett ha ringraziato i cittadini che hanno allertato le forze di sicurezza, permettendo alla cattura di quattro degli evasi. “Voglio elogiare tutti coloro che hanno lavorato per ottenere questo risultato. La polizia, lo Shin Bet, l'esercito: hanno lavorato giorno e notte per assicurare che i detenuti tornassero in prigione”, le parole del Premier, che ha definito la fuga dal carcere di Gilboa “una successione di fallimenti ed errori”. “Abbiamo deciso di istituire una commissione d'inchiesta sull'evasione per condurre un'indagine ampia e seria”, ha annunciato. “In una prospettiva più ampia, consideriamo l'evento un campanello d'allarme. Alcuni dei nostri sistemi nazionali hanno sofferto di atrofia negli ultimi anni e devono subire un processo di riparazione per diventare più efficienti e tendere all'eccellenza”.

MEDIA ISRAELIANI PREOCCUPATI PER L'EVOLUZIONE DELLA VICENDA

"La casa di Eitan è in Italia". "No è in Israele"

Toni preoccupati sui media israeliani per l'evoluzione della vicenda legata a Eitan Biran, il piccolo unico sopravvissuto alla strage del Mottarone. Il bambino di sei anni è da mesi al centro di una contesa tra la famiglia materna, che vive in Israele, e la zia paterna, che vive a Pavia. Una contesa che ha avuto un'evoluzione drammatica nelle ultime 24 ore, con la decisione del nonno materno, Shmuel Peleg, di sottrarlo alla custodia della zia Aya Biran, nominata sua tutrice legale, e portarlo in Israele. Qui la notizia è stata accolta con stupore e con molta preoccupazione per il benessere del piccolo. Tanti gli aspetti da chiarire in questa vicenda molto delicata e dolorosa, il cui ultimo capitolo è l'apertura di un'indagine per sequestro di persona da parte della procura di Pavia dopo la mossa della famiglia materna. Parte della famiglia che vorrebbe veder crescere e vivere Eitan in Israele. La zia paterna, a cui è stata data la tutela legale dal Tribunale di Torino, ha invece iscritto il bambino nella stessa scuola delle sue figlie nel pavese. La sua casa, ha dichiarato in queste ore Biran, è l'Italia. Eitan è “cittadino italiano, non solo israeliano. Pavia è la casa dove è cresciuto, noi lo aspettiamo qui, siamo molto preoccupati per la sua salute”, le sue dichiarazioni. Il fatto che sia stato portato via, prosegue la zia paterna, è una “mossa unilaterale e gravissima della famiglia Peleg” perché “il nonno materno Shmuel Peleg è stato condannato per maltrattamenti nei confronti della sua ex moglie, la nonna materna e tutti i suoi appelli sono stati respinti in tre gradi di giudizio”.
In mattinata a parlare era stata invece Gali Peleg, intervistata dalla radio israeliana 103 Fm. “Non lo abbiamo rapito e non useremo quella parola, l'abbiamo portato a casa e abbiamo dovuto farlo perché non avevamo notizie sulla sua salute e la sua condizione mentale”. I due conduttori, Ynon Magal e Ben Caspit, le hanno chiesto con un certo allarme come sia stato portato in Israele il bambino, da chi e dove si trovi ora. Domande a cui Peleg non ha risposto. Secondo fonti dell'agenzia Agi, il trasferimento dall'Italia a Israele sarebbe avvenuto con un volo privato. Un passaggio da chiarire, sottolineano i media di entrambi i paesi, che spiegano come la famiglia materna avesse in custodia il passaporto del bambino, ma che il tribunale italiano ne aveva chiesto la restituzione. “Abbiamo portato a casa Eitan seguendo ciò che i suoi genitori volevano e speravano. - ha sostenuto Peleg alla radio, dichiarando che tra la sorella e Aya non ci fossero molti rapporti nonostante vivessero nella stessa città - Mia sorella e suo marito avevano programmato di tornare quest'anno in Israele, ma a causa della pandemia hanno posticipato un po'. Sei mesi fa abbiamo parlato del loro ritorno. Amit - la sua ricostruzione - si era anche iscritto qui per studiare all'Università di Ariel”. Alla domanda di Caspit - che non ha nascosto una certa perplessità pur evitando di puntare il dito contro nessuno - se non fosse preoccupata per eventuali violazioni della legge e delle stringenti regole della Convenzione de L'Aja (relativa alla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale), la zia materna ha risposto “a noi non interessa la Convenzione, non interessano i tribunali, ma il bene del bambino”.

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IL PRESINDENTE DELL'EUROPARLAMENTO APRE IL G20 DELLE RELIGIONI

"Confessioni religiose, strumento di unità"

Si è aperto a Bologna il G20 delle religioni, l'Interfaith forum che s'inserisce nell'ambito della presidenza italiana del G20 e che raccoglie molti di leader di varie confessioni religiose per tre giorni di incontri e workshop che vedranno anche una nutrita presenza di esponenti del governo italiano, con la presenza, martedì, del presidente del consiglio Mario Draghi. Il tema dell'incontro è 'A Time to Heal', ovvero il tempo della guarigione, un invito alla riflessione sull'uscita dalla pandemia. Il forum delle religioni si concluderà con un documento indirizzato al G20 contenente una brevissima dichiarazione di impegni comuni, fatta di sole tre frasi: “Noi non ci uccideremo. Noi ci salveremo. Noi ci perdoneremo”.
Il forum ha aperto nell’area del chiostro della basilica di Santo Stefano dove il rabbino capo di Bologna rav Alberto Sermoneta ha recitato prima l’havdalah, la preghiera che si pronuncia al termine dello Shabbat, e poi un izkhor in memoria del piccolo Stefano Gaj Taché. Diversi gli ospiti di grande rilievo che prendono parte all'iniziativa, tra cui, per l'apertura, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. “L'obiettivo di questo forum è non solo contribuire al dialogo, ma condividere idee speranze, ribadire che incontro e comprensione reciproca sono elementi essenziali che contribuiscono a migliorare la vita delle persone. L'Europa può aiutare il mondo intero ad avere una convivenza pacifica”, il messaggio di Sassoli. "In questi mesi difficili - ha proseguito il presidente dell'Europarlamento - abbiamo imparato che nessuno può bastare a se stesso, che nessuno è autosufficiente. Anche i valori e il sentimento religioso possono costituire la base di un'unità di cui abbiamo bisogno, devono essere canali di fratellanza, anziché barriere di separazione. Ad unirsi non possono essere solo gli stati, ma anche le comunità, le persone, la famiglia umana. Lo spirito religioso può consentirci di lavorare per l'unità. E anche la pandemia non può essere considerata una parentesi, ma un modo per proiettarsi nel futuro, per lavorare perché conflitti e diseguaglianze vengano appianati".
Forte la partecipazione del mondo ebraico: tra i protagonisti della sessione inaugurale il presidente del World Jewish Congress Ronald Lauder, mentre quella di chiusura vedrà un intervento del rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni. Tra i relatori dell’Interfaith Forum anche la presidente UCEI Noemi Di Segni, l’ambasciatore d’Israele in Italia Dror Eydar, la ministra israeliana dell’Istruzione Yifat Shasha-Biton, il rabbino capo di Russia Berel Lazar, il rabbino David Rosen dell’American Jewish Committeee, Barbara Pontecorvo presidente dell’Osservatorio Solomon.

Congedarsi dal passato
"Io sono quello che faccio", più che "io sono ciò che penso". Nel periodo intermedio dei bilanci la possibilità di una rinascita è legata più alla prima espressione che non alla seconda. Non perché ci sia una certezza di "domani". Semplicemente per prendere laicamente congedo da "ieri".
                                                                          David Bidussa
Il diavolo e i coperchi
Dopo il talebani, assisteremo anche al ritorno dell’ISIS? Daesh, o Islamic State (al-Dawla al-Islāmiyya fī l-ʿIrāq wa l-Shām, ossia Dāʿish o Daesh), tradotto in italiano come Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (Islamic State of Iraq and Syria, ISIS) o Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (Islamic State of Iraq and the Levant, ISIL), in quanto organizzazione militare jihadista di osservanza salafita e movimento terroristico, è il prodotto della confluenza di molteplici elementi. Dopo essere entrato in apnea con il 2017, a seguito dei rovesci subiti sui campi di battaglia siro-iracheni, e quindi incapace di garantire continuità al  suo progetto di «califfato», tuttavia non è per nulla scomparso dal proscenio pubblico.
                                                                          Claudio Vercelli
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