“La casa di Eitan è in Italia” “No è in Israele”
Toni preoccupati sui media israeliani per l’evoluzione della vicenda legata al Eitan Biran, unico sopravvissuto alla strage del Mottarone. Il bambino di sei anni è da mesi al centro di una contesa tra la famiglia materna, che vive in Israele, e la zia paterna, che vive a Pavia. Una contesa che ha avuto un’evoluzione drammatica nelle ultime 24 ore, con la decisione del nonno materno, Shmuel Peleg, di sottrarlo alla custodia della zia Aya Biran, nominata sua tutrice legale, e portarlo in Israele. Tanti gli aspetti da chiarire in questa vicenda molto delicata e dolorosa, il cui ultimo capitolo è l’apertura di un’indagine per sequestro di persona da parte della procura di Pavia dopo la mossa della famiglia materna di trasferire il bambino in Israele. Qui loro vorrebbero vederlo crescere e vivere. La zia paterna, a cui è stata data la tutela legale dal Tribunale di Torino, ha invece iscritto il bambino nella stessa scuola delle sue figlie nel pavese, l’istituto delle Canossiane. La sua casa, ha dichiarato in queste ore Biran, è l’Italia. Eitan è “cittadino italiano, Pavia è la sua casa dove è cresciuto, noi lo aspettiamo a casa, siamo molto preoccupati per la sua salute”, le sue dichiarazioni. Il fatto che sia stato portato via, prosegue la zia paterna, è una “mossa unilaterale e gravissima della famiglia Peleg” perché “il nonno materno Shmuel Peleg è stato condannato per maltrattamenti nei confronti della sua ex moglie, la nonna materna e tutti i suoi appelli sono stati respinti in tre gradi di giudizio”.
In mattinata a parlare era stata invece Gali Peleg, intervistata dalla radio israeliana 103 Fm. “Non lo abbiamo rapito e non useremo quella parola, l’abbiamo portato a casa e abbiamo dovuto farlo perché non avevamo notizie sulla sua salute e la sua condizione mentale”. I due conduttori, Ynon Magal e Ben Caspit, le hanno chiesto con un certo allarme come sia stato portato in Israele il bambino, da chi e dove si trovi ora. Domande a cui Peleg non ha risposto. Secondo fonti dell’agenzia Agi, il trasferimento dall’Italia a Israele sarebbe avvenuto con un volo privato. Un passaggio da chiarire, sottolineano i media di entrambi i paesi, che spiegano come la famiglia materna avesse in custodia il passaporto del bambino, ma che il tribunale italiano ne aveva chiesto la restituzione. “Abbiamo portato a casa Eitan seguendo ciò che i suoi genitori volevano e speravano. – ha sostenuto Peleg alla radio, dichiarando che tra la sorella e Aya non ci fossero molti rapporti nonostante vivessero nella stessa città – Mia sorella e suo marito avevano programmato di tornare quest’anno in Israele, ma a causa della pandemia hanno posticipato un po’. Sei mesi fa abbiamo parlato del loro ritorno. Amit – la sua ricostruzione – si era anche iscritto qui per studiare all’Università di Ariel”. Alla domanda di Caspit – che non ha nascosto una certa perplessità pur evitando di puntare il dito contro nessuno – se non fosse preoccupata per eventuali violazioni della legge e delle stringenti regole della Convenzione de L’Aja (relativa alla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale), la zia materna ha risposto “a noi non interessa la Convenzione, non interessano i tribunali, ma il bene del bambino”. Tema prioritario per tutti, ma con diverse prospettive, come dimostrano le parole sul versante opposto della zia paterna. Quest’ultima ha spiegato che il bambino era stato iscritto alla scuola dove vanno le sue figlie “dai suoi genitori, a gennaio 2020, nello stesso istituto in cui ha frequentato l’ultimo anno della scuola materna” e domani avrebbe dovuto “iniziare” le elementari, dopo aver già trascorso “una settimana di inserimento”. “Le sue cugine – ha continuato Aya Biran – che lo aspettavano ieri per cena sono preoccupate, il suo letto è vuoto, i suoi giochi e vestiti lasciati indietro, la sua nuova scrivania, il suo nuovo zaino, quaderno, astuccio, libri pronti per iniziare l’anno scolastico domani”.
“Non è chiaro a me come Eitan è entrato in Israele, dopo che ho segnalato più volte alle autorità israeliana il problema relato al passaporto e il mio timore di quello che poi è successo. – ha dichiarato Biran in un comunicato alla stampa – Non è chiaro a me come pensano di distaccare Eitan dalle sue figure di riferimento, con cui ha coltivato forti rapporti emotivi durante i mesi di terapie domiciliari. Dalla sua psicoterapeuta con cui ha un rapporto speciale e con cui sta seguendo un percorso delicatissimo e doloroso”. La zia paterna ha poi chiesto alle autorità israeliane di controllare a fondo la situazione della famiglia materna – sia dello stato psicofisico sia del casellario giudiziale -, da cui risulterebbe “impossibile” “prendere in considerazione le loro richieste di adozione o affidamento”. In un post in ebraico dai toni molto duri sul suo sito – in cui abitualmente parla della sua esperienza di medico nelle carceri – ha raccontato come in questi mesi la sua famiglia si sia presa cura di Eitan e come ci siano state molte incomprensioni con la parte materna. Incomprensioni che, sostiene nel post la zia medico, lei ha cercato di non far emergere per il bene del bambino.
In merito alla vicenda, la Comunità ebraica di Milano, legata alla famiglia Biran, ha emesso un comunicato in cui dichiara di aver appreso “con sgomento la notizia del sequestro del piccolo Eitan Biran ed esprime una decisa condanna nei confronti di questo gravissimo atto che viola le leggi italiane ed internazionali. L’augurio – la posizione della Comunità – è che la vicenda si risolva nel più breve tempo possibile nella direzione dell’ottemperanza della decisione del Tribunale dei minori”.