Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui              23 Dicembre 2021 - 19 Tevet 5782
IL CORTOMETRAGGIO ISRAELIANO NELLA ROSA DEI MIGLIORI DOCUMENTARI

Gli Usa e quel campo segreto per nazisti,
la pellicola che punta agli Oscar

“All'inizio la storia sembrava così bizzarra e irreale che riuscivamo a malapena a crederci: un campo segreto per nazisti vicino a Washington DC, gestito da rifugiati ebrei. Ci è voluto un po' di tempo per capire che non era una storia immaginaria, ma realmente accaduta”. È la vicenda che i registi israeliani Daniel Sivan e Mor Loushy raccontano nel loro cortometraggio “Camp Confidential: America's Secret Nazis”. La pellicola, disponibile su Netflix, è entrata in queste ore nella shortlist (assieme ad altri quattordici film) dei cortometraggi candidati all'Oscar nella categoria documentari brevi. Mischiando animazione, materiale d'archivio e interviste, Sivan e Loushy ripercorrono la storia di Arno Mayer e Peter Weiss, rifugiati ebrei dall'Europa negli Usa a cui l'esercito americano affidò di controllare decine di scienziati nazisti catturati dagli Alleati. I due, loro malgrado, fecero parte di Paperclip, l'operazione segreta con cui gli Usa reclutarono migliaia di scienziati di Hitler. “Quasi tutti eravamo rifugiati dai nazisti”, racconta Weiss nel film, parlando del gruppo di ebrei a cui era stata affidata la gestione del campo. “Avremmo preferito trattarli come i criminali di guerra che erano. Nell'esercito, però, puoi solo seguire gli ordini. Ho cercato di sopprimere la mia rabbia”. Dolorosamente Weiss, unico superstite assieme a Mayer di quella strana missione avviata nel corso della guerra, spiega che non era “pienamente consapevole dell'enormità di ciò che era accaduto sotto il regime nazista”. Per poi aggiungere: “Mio nonno, zio, zia, cugino, altri parenti sono tutti morti nella Shoah, come tanti altri”.

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LA GIORNATA DELLA LINGUA EBRAICA - VOCI A CONFRONTO

Ebraico, imparare cantando

Ci sono tanti modi per imparare le lingue e uno dei metodi migliori è leggere, recitare e, soprattutto, cantare le canzoni. Se le canzoni sono dotate di qualità liriche, orecchiabili e originali l’esercizio linguistico è facilitato. Oggi come ai tempi del linguista e innovatore dell’ebraico, Eliezer Ben Yehuda, l’insegnamento dell’ebraico è affidato anche agli scrittori e ai poeti. Numerose donne pioniere scrivevano per descrivere la terra di Israele e per arricchire il vocabolario dei lettori ebrei nella Palestina mandataria e nella diaspora.
Per fare degli esempi: Nehama Pochachevski Feinstein, (Brest 1869 – Rishon Letzion 1934), Jessie Ethel Sampter (New York 1882 – Rehovot 1938) e la moglie di Ben Yehuda, Hemda, la prima scrittrice per bambini in ebraico. Le canzonette allegre e frivole del poeta nazionale Haim Nachman Bialik vengono cantate ancora oggi negli asili e nelle feste di compleanno e non c’è un genitore in Israele che non abbia cantato la famosa canzone “Gira, gira, gira…Giriamo in tondo, tutto il giorno…” scritta nel 1920 da Aharon Hashman. Un modo originale per insegnare ai figli i verbi alzarsi, sedersi, portare, pescare e tanti altri ancora. Tutto al ritmo della danza in cerchio.
Le canzoni per i più giovani sono dei piccoli racconti, rispondono alle domande esistenziali che pongono i bambini, fanno sorridere nonni e nipoti e svolgono una funzione didattica estremamente nobile. Sono il miglior modo per imparare l’ebraico, memorizzando verbi, aggettivi e numeri, come fa il canto cumulativo della Haggadah di Pesach, Ehad mi yode’a? Sh’nayim mi yode’a, Uno chi lo sa? Uno io lo so… Due chi lo sa? Ecc.
Probabilmente quando il famoso cantautore Yehonatan Geffen ha scritto la canzone Io amo, ripetendo più volte il verbo amare in un modo ironico, non ha pensato a un stratagemma per l’insegnamento della “nota accusativi” in ebraico o alle regole dell’articolo determinativo. Tuttavia dopo aver cantato Io amo la mamma e anche il papà\ Amo la maestra Shula e la zia Miriama\Amo il nonno, la nonna e pure la sorellina\ Ma più di tutto amo me stesso! è molto più facile ricordare il verbo irregolare, le’EHOV, amare.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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LA GIORNATA DELLA LINGUA EBRAICA - VOCI A CONFRONTO

La fine dell’anno "straniero"

Ci sono vari modi per chiamare in ivrit l’anno non ebraico, che si accinge ora a finire. Conoscevo shanà misharit, anno commerciale e shanà ezrahit, anno civile, ma proprio oggi mi sono imbattuta in shanà lo’azit, che si potrebbe tradurre con “anno straniero”, non ebraico. Il termine però è più ricco di quanto non sembri e ha una lunga storia. Si parte con una radice che compare una sola volta nella Bibbia (Salmi 114, 1) e che significa «parlare in modo incomprensibile», cioè parlare una lingua straniera, nello specifico quella degli antichi egizi. Nell’ebraico rabbinico troviamo anche il sostantivo la’az, “lingua straniera”, per indicare soprattutto il greco. Nella fase storica successiva, dominata dalla lingua di Roma, lo stesso termine indica le varianti di latino parlato, progenitrici delle lingue romanze, che venivano usate in Italia e Francia. Anche gli ebrei che da queste zone si trasferirono in Germania prima del Mille parlavano il la’az, ci informano le fonti. Insomma, il la’az è la lingua dominante del momento, e nella lunga storia ebraica ha cambiato pelle più di una volta. Non solo, l’eclettico la’az significa anche “maldicenza”. Forse a causa della diffusa pratica di insultare gli altri in una lingua che non comprendono, per poter sfogare il proprio disappunto senza subire spiacevoli conseguenze? In ogni modo, shanà lo’azit tovà!

Anna Linda Callow, Università di Milano

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SEGNALIBRO - LA PRESENTAZIONE AL MUSEO DELLA PADOVA EBRAICA

Un mondo senza più barriere,
la lezione di Ludwig Guttmann

L’importanza di impegnarsi per abbattere le barriere ideologiche e fisiche. Questo il messaggio che ha fatto da filo conduttore della presentazione al Museo della Padova Ebraica dell’ultimo libro del generale dei carabinieri Roberto Riccardi, Un cuore da Campione (Giuntina), dedicato alla straordinaria storia di Ludwig Guttmann: il padre, poco conosciuto, di una delle più importanti manifestazioni sportive al mondo, le Paralimpiadi. Al fianco di Riccardi, a raccontare la propria esperienza personale sono stati il consigliere comunale Paolo Sacerdoti, campione italiano di rugby in carrozzina, e Ruggero Vilnai, presidente del Comitato Paralimpico del Veneto. “Nonostante il periodo difficile, abbiamo avuto una risposta eccezionale da parte del pubblico, con la sala piena. Sia l’aspetto dello sport paralimpico e del suo ruolo sia la storia poco conosciuta di Guttmann hanno suscitato grande interesse”, spiega Gina Cavalieri, Presidente della Fondazione per il Museo della Padova ebraica. “La Fondazione si è costituita in estate, proprio quando è uscito il libro di Riccardi su Guttmann. E trovo ci sia un collegamento ideale con la nostra missione statutaria: l’impegno comune per l’abbattimento di tutte le barriere che escludono chi viene percepito come diverso”.
Ma anche il riscatto di chi riesce a superare queste barriere, anche nei tempi più bui, senza farsi indebolire dall’odio. Come è accaduto per Guttmann. Questi, racconta Riccardi, “voleva essere un neurologo, curare le lesioni spinali, aiutare gli altri. Ma nel 1938, dopo la ‘Notte dei Cristalli’, capì che la situazione degli ebrei in Germania stava rapidamente precipitando: essere uno dei medici più stimati del paese non avrebbe salvato lui e la sua famiglia dalla deportazione, raggiunse così l’Inghilterra e qui avviò una rivoluzione che avrebbe cambiato per sempre l’approccio alla paraplegia”

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Il campo di battaglia  tra democrazie e autocrazie
Come avviene da molto tempo, anche quest’anno Maurizio Molinari ha pubblicato un volume di riflessione sul periodo appena trascorso. Ma quest’anno il volume (Il campo di battaglia. Perché il Grande Gioco passa per l’Italia, La nave di Teseo, Milano 2021) ha un carattere particolare perché costituisce una vera e propria summa del pensiero democratico – nel senso più ampio della parola – in relazione ai principali problemi del nostro tempo. Si capisce perciò che un lavoro del genere non sia riassumibile; se ne può solo raccomandare una lettura attenta e cercare di evidenziare quali sono i temi che maggiormente sollecitano nel lettore un’ulteriore riflessione.
Valentino Baldacci
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Machshevet Israel - ‘Al derekh ha-emet
L’espressione ebraica ‘al derekh ha-emet, che potremmo tradurre “secondo verità” (alla lettera “sulla via della verità”), compare nel titolo di due testi qabbalistici, ovviamente scritti in ebraico, forse i più significativi di Menachem Finzi da Recanati, un rabbino marchigiano attivo nella seconda metà del XIII secolo che da tempo attrae studiosi e divulgatori della mistica ebraica. L’espressione si trova a qualificare anzitutto il suo voluminoso Perush ‘al Torà, la cui prima parte è stata recentemente tradotta con il titolo Commento alla Genesi (a cura di Tiziana Mayer, ed. La vita felice 2021); mentre tre anni fa era apparsa, in Ancona, la versione italiana del Perush ‘al ta’amè ha-mitzwot, intitolata Il senso dei precetti (a cura di Giovanni Carlo Sonnino e Nehmiel Menachem Ahronee, ed. affinità elettive 2018). 
Massimo Giuliani
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I Rothschild e il sionismo
Rothschild. Il nome evoca grandi ricchezze collegate alla famiglia. La storia è nota e non vale la pena di ripeterla qui. Ciò che invece è meno noto è che nel quadro di una diversificazione o forse per un autentico e specifico interesse, la famiglia sviluppò anche un’importante attività fondiaria
nel sud ovest della Francia. L’area di Bordeaux e di Tolosa, ai piedi della catena pirenaica è una zona di eccellenza nella produzione vitivinicola. I famosi distillati di vino “Cognac” e “Armagnac” sono originari di quest’area che gode di un clima temperato dalla presenza di due mari (Oceano Atlantico e Mediterraneo), ma anche dallo stimolante contrasto con l’aria proveniente dai Pirenei. 
Roberto Jona
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