La fine dell’anno straniero
Ci sono vari modi per chiamare in ivrit l’anno non ebraico, che si accinge ora a finire. Conoscevo shanà misharit, anno commerciale e shanà ezrahit, anno civile, ma proprio oggi mi sono imbattuta in shanà lo’azit, che si potrebbe tradurre con “anno straniero”, non ebraico. Il termine però è più ricco di quanto non sembri e ha una lunga storia. Si parte con una radice che compare una sola volta nella Bibbia (Salmi 114, 1) e che significa «parlare in modo incomprensibile», cioè parlare una lingua straniera, nello specifico quella degli antichi egizi. Nell’ebraico rabbinico troviamo anche il sostantivo la’az, “lingua straniera”, per indicare soprattutto il greco. Nella fase storica successiva, dominata dalla lingua di Roma, lo stesso termine indica le varianti di latino parlato, progenitrici delle lingue romanze, che venivano usate in Italia e Francia. Anche gli ebrei che da queste zone si trasferirono in Germania prima del Mille parlavano il la’az, ci informano le fonti. Insomma, il la’az è la lingua dominante del momento, e nella lunga storia ebraica ha cambiato pelle più di una volta. Non solo, l’eclettico la’az significa anche “maldicenza”. Forse a causa della diffusa pratica di insultare gli altri in una lingua che non comprendono, per poter sfogare il proprio disappunto senza subire spiacevoli conseguenze? In ogni modo, shanà lo’azit tovà!
Anna Linda Callow, Università di Milano