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PAGINE EBRAICHE - IL DOSSIER "DOCUMENTARE LA MEMORIA"

"Memoriale, segno di una città"

Inaugurato nel 2013, il Memoriale della Shoah di Milano è ormai un punto di riferimento per la città e per il paese. In questo 2022 il progetto arriverà al suo compimento con una importante novità: il trasferimento nei suoi spazi del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea. È il tema del dossier "Documentare la Memoria" su Pagine Ebraiche di febbraio in distribuzione. Di seguito l'intervista alla senatrice a vita Liliana Segre.

“Arrivati alla Stazione Centrale, la fila dei camion infilò i sotterranei enormi passando dal sottopassaggio di via Ferrante Aporti; fummo sbarcati proprio davanti ai binari di manovra che sono ancora oggi nel ventre dell’edificio. Il passaggio fu velocissimo. SS e repubblichini non persero tempo: in fretta, a calci, pugni e bastonate, ci caricarono sui vagoni bestiame. Non appena un vagone era pieno, veniva sprangato e portato con un elevatore alla banchina di partenza. Fino a quando le vetture furono agganciate, nessuno di noi si rese conto della realtà. Tutto si era svolto nel buio del sotterraneo della stazione, illuminato da fari potenti nei punti strategici; fra grida, latrati, fischi e violenze terrorizzanti”.
Liliana Segre ha raccontato molte volte quel tragico 30 gennaio 1944 quando, nell’indifferenza di Milano, lei, il padre e centinaia di altri ebrei furono tradotti dal carcere di San Vittore nei meandri della Stazione centrale per poi essere trascinati ad Auschwitz. Lontano dagli occhi dei regolari viaggiatori, portati nell’area che originariamente era adibita al carico e scarico dei vagoni postali. Dal 1931 quella zona era dotata di un elevatore che consentiva di far salire i vagoni al piano superiore e di collegarli ai treni in partenza da Centrale. Un sistema molto avanzato per l’epoca, tragicamente usato per deportare centinaia di vite.
“Per decenni non sono più tornata – racconta a Pagine Ebraiche la senatrice a vita – La prima volta ricordo che fu con la Comunità di Sant’Egidio negli anni Novanta. Loro portavano di notte alimenti caldi ai senza tetto che avevano trovato rifugio in quei sotterranei. Era un luogo buio, dismesso e abbandonato”. Anni in cui anche il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) riscopriva il significato di quella parte nascosta della stazione, con gli storici Liliana Picciotto e Marcello Pezzetti che approfondivano il percorso della deportazione da Milano. “Ricordo che con Picciotto e Pezzetti facemmo lì un’intervista. Ma soprattutto ricordo le primissime volte che ritornai con rav Giuseppe Laras, con il cardinale Carlo Maria Martini e Sant’Egidio per accendere insieme una candela. Non era un momento religioso, ma umano. Un modo per ricordare le persone che da lì erano partite per non tornare mai più”.
Dal 1997 questa piccola cerimonia è diventata una tradizione che si ripete ogni 30 gennaio. Nel frattempo, il buio antro un po’ dimenticato è diventato un luogo visitato e conosciuto: il Memoriale della Shoah di Milano. “Storicamente parlando è un luogo di importanza enorme. – sottolinea Segre – Le stazioni negli anni sono state rimaneggiate, modificate per esigenze tecniche e molte tracce del passato sono state cancellate. Lì no ed era importantissimo farne un punto di riferimento per la Memoria della città e non solo”.


La senatrice racconta di aver da subito spinto per la nascita di un Memoriale, ricorda le difficoltà iniziali, il grande lavoro fatto per sensibilizzare le istituzioni, la partecipazione dei privati. “Inizialmente le ferrovie dello Stato avevano ben altri programmi. Poi, con l’ad Mauro Moretti, ci fu la svolta. E si iniziò a mettere in piedi il progetto”. A firmarlo, gli architetti Guido Morpurgo e Annalisa de Curtis. “Ci sono molti nomi che potrei fare che hanno contribuito a far nascere il Memoriale, ma vorrei ricordarne uno perché non è mai sotto i riflettori: Marco Szulc. È stato presidente e fondatore dell’Associazione figli della Shoah e ha consacrato anni della sua vita per veder nascere il progetto in stazione”.
Inaugurato nel 2013, il Memoriale ora raggiunge un ulteriore passaggio fondamentale, accogliendo la struttura del Cdec. “Ben venga l’arrivo del Cdec con il suo importante archivio, è stata un’ottima idea. Quello che mi preme però è che il Memoriale sia sempre più conosciuto. Per questo ho accompagnato il Presidente Draghi, la ministra Cartabia e il Presidente Mattarella nelle loro visite: perché ritengo che meriti visibilità. Non ci sono tanti posti carichi di quella storia in Italia. Tutti si devono impegnare per farlo conoscere”. L’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza cittadina, è stato un passaggio importante in tal senso: consegnato lo scorso dicembre al presidente della Fondazione del Memoriale Roberto Jarach, “è stato un segno significativo di attenzione della città”, evidenzia Segre. “Ma non ci si deve fermare”.
Ci si ferma invece davanti alla parola che la sopravvissuta alla Shoah, che ad Auschwitz perse il padre e i nonni, ha voluto capeggiasse a caratteri cubitali nell’atrio del Memoriale: indifferenza. “Quando ho pensato che da ragazza fui messa su quel treno con destinazione Auschwitz, nell’indifferenza generale che fu un silenzio colpevole e indimenticabile, allora mi sono battuta affinché su quel muro venisse scritto proprio ‘Indifferenza’”. Un monito per le future le generazioni. “Se servirà come lezione per gli anni a venire? Guarda io porto il 41, ho un piede grande, ben ancorato al suolo – spiega con un sorriso amaro Segre – E preferisco non commentare cosa penso del futuro”.

(Nell'immagine in alto: Liliana Segre insieme al Presidente Mattarella in visita al Memoriale)

Daniel Reichel – “Documentare la Memoria” – Pagine Ebraiche febbraio 2022

DAFDAF FEBBRAIO 2022

Una casa per la Storia (e la Memoria)

È con “La casa sul lago”, disegnata da Britta Teckentrup, che si apre il numero 130 di DafDaf. Una storia scelta per affrontare concetti cui va messa l’iniziale maiuscola: Storia, Memoria, ma anche Pace, e volontà di capire e di ritrovarsi e di ritrovare l’altro. O, meglio, l’Altro.
Idee difficili per i giovani lettori? Forse, ma rese accessibili grazie al lavoro prezioso di orecchio acerbo, casa editrice che ha pubblicato una versione ridotta ma non banalizzata del libro in cui Thomas Harding ricostruisce le vicende di una costruzione in legno che ora ha un nome, “Alexander Haus”, e una missione.
C’è una casa, accanto a un lago, in Germania, che “nel corso di un secolo ha ospitato una felice famiglia ebrea, un famoso compositore nazista, dei rifugiati, un informatore della Stasi. Ha visto una guerra mondiale arrivare e andarsene, la costruzione del Muro di Berlino a due passi dalla sua porta sul retro. Questa è la storia di come nacque, di come fu trasformata dai suoi abitanti e di come lei, a sua volta, trasformò loro. Questa è la sorprendente storia di una casa capace di resistere alle scosse che agitarono il mondo. Perché quella casa è stata, nel suo silenzio e nel suo oblio, in prima linea sul fronte della Storia”.
Oggi è un centro studi che è anche il tentativo di rielaborare un passato terribile. Un percorso che attraverso la memoria porti al superamento dei conflitti.
Nel numero del giornale ebraico dei bambini attualmente in distribuzione non ci sono solo pagine dedicate ai libri: si impara a cucinare, grazie alla rubrica di Claudia De Benedetti, cui questo mese abbiamo dedicato ampio spazio. Tante pagine perché non si può non essere capaci di fare gli gnocchi, “un cibo antichissimo, preparato secondo le varie tradizioni con farine differenti: di frumento, di riso, di semola, con patate, pane secco, tuberi o verdure di vario genere”. La prima apparizione risale al XVI secolo, periodo in cui ebbe inizio l’importazione delle patate dall’America. Un poco di storia culinaria, diverse ricette – proponiamo anche quella originale di Pellegrino Artusi – , e qualche trucco. Difficile resistere.
E poi cosa c’è di meglio che ritrovarsi in cucina chiacchierando? Un progetto comune, un pasto preparato insieme, una ricetta fatta di gesti semplici. Tutte cose che possono aiutare a parlarsi, a raccontarsi, a ritrovare lo spazio e il tempo da dedicare all’ascolto, che come ci ricorda Aharon Ferrari nella sua rubrica, dedicata alla psicologia, è fondamentale. “Abbiamo già visto che la psicologia si interessa del funzionamento della mente. La medicina, per esempio, studia l’influenza: quando abbiamo il naso chiuso e un po’ di tosse prendiamo una medicina che può aiutarci a guarire. Ma cosa succede quando il problema sono i nostri pensieri?“. Questo mese, grazie a Aharon e ai mostri113, DafDaf ha voluto affrontare un problema sempre più diffuso: “in questo periodo di emergenza sanitaria può capitare di ascoltare molte notizie dai giornali, dai telegiornali oppure da amici e parenti e tutte queste notizie possono creare delle preoccupazioni. Per esempio, ci può passare la voglia di uscire o di incontrare altre persone, e questo è normale perché tutto quello che succede crea delle emozioni che possono essere positive ma anche negative e certe volte possiamo avere paura di fare alcune cose”. La tentazione di rinchiudersi nella propria stanza è sempre più diffusa fra i giovanissimi, e l’invito di DafDaf ai suoi giovani lettori è di non cedere: “Portiamo i nostri pensieri il più vicino possibile alla realtà perché la realtà è spesso meno paurosa di quanto lo siano i nostri pensieri. Parlare con qualche amico, un parente o i nostri genitori ci aiuta a capire la reale portata di queste paure e una volta fatto questo lavoro, sarà molto più facile tornare a giocare”.
E un aiuto in più viene dal personaggio del mese: il Mangiapigrizia, un piccolo personaggio che indossa un pigiama e aiuta a combattere l’inerzia. Abbiamo deciso insieme a Roberta Cibeu di parlare del Mangiapigrizia proprio perché potrebbe essere lui l’alleato giusto per combattere quella sensazione di fatica e di pesantezza che sta avvolgendo un po’ tutto, dopo tanti mesi di pandemia. Roberta ha spiegato che “Quello che non vi aspettate dal Mangiapigrizia è il suo peso. Quando lo si prende in braccio pare proprio vivo. Del resto la pigrizia dà un senso di pesantezza. Il mio intento era quello di dare risalto alla sensazione di fatica che si sperimenta in fase di pigrizia acuta. D’altra parte, però, questo peso gli dà consistenza e mi fa pensare all’azione, o meglio, alle cose realizzate”. L’idea è nata prima della pandemia, ma sembra davvero pensato apposta per aiutarci ora. Allora coraggio, e buona lettura!

Ada Treves social @ada3ves

LA POSIZIONE DI ISRAELE

"Amnesty International, varcata una linea rossa"

È stata varcata una linea rossa con l’ultimo report di Amnesty International e per questo Israele ha scelto di rispondere duramente. A spiegarlo il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Lior Haiat, in un confronto online organizzato dal World Jewish Congress. L’idea iniziale, quando si è saputo dell’imminente pubblicazione del report, era quella di rispondere nel merito e fare attenzione a non condannarlo come antisemitismo. Ma una volta letto, la strategia è cambiata. “Dopo sole venti pagine (su 280 totali) era chiaro che si era superata una linea rossa. Nel report ci sono tutti gli elementi dell’antisemitismo moderno”. Da qui la controffensiva portata avanti dalla diplomazia israeliana con un un comunicato che ha anticipato la pubblicazione dell’indagine della sezione britannica di Amnesty. “Il rapporto - accusa il ministero - nega il diritto dello Stato di Israele ad esistere come stato nazionale del popolo ebraico. Il suo linguaggio estremista e la distorsione del contesto storico sono stati progettati per demonizzare Israele e versare benzina sul fuoco dell’antisemitismo. Pochi giorni dopo la Giornata Internazionale della Memoria, impariamo ancora una volta che l’antisemitismo non è solo una parte della storia, ma purtroppo, è anche parte della realtà di oggi”. Contro questa retorica di delegittimazione, il portavoce del ministero ha ricordato come uno degli strumenti migliori sia presentare la situazione sul terreno: “Il pluralismo che esiste ed è tutelato in Israele come dimostrano i volti del suo stesso governo”. È proprio uno dei membri dell’esecutivo che rappresenta questa diversità a rimandare al mittente l’indagine. Si tratta del parlamentare della sinistra di Meretz, Issawi Frej, arabo e ministro della Cooperazione regionale (nell’immagine con a sinistra il Presidente d’Israele Isaac Herzog). “Israele ha molti problemi che devono essere risolti, all'interno della linea verde e certamente nei territori occupati, ma non è uno stato di apartheid”, le sue parole.

OLIMPIADI INVERNALI AL VIA - L'APPELLO

La mobilitazione nel nome di Elie Wiesel
"Uiguri perseguitati, atleti lascino i Giochi"

"Esortiamo gli atleti e gli sponsor ad abbandonare i Giochi. E invitiamo i cittadini di tutto il mondo ad abbracciare la causa di questa popolazione perseguitata”.
Un chiaro messaggio quello veicolato dalla Elie Wiesel Foundation for Humanity alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Pechino. Una delle edizioni più controverse nella storia di questa manifestazione sportiva proprio per il tema dei diritti umani negati, della spietata repressione esercitata dalle autorità cinesi. Spesso nell’indifferenza generale.
Un tema caro al mondo ebraico che ha aderito a questo appello, veicolato anche con un annuncio a tutta pagina sul New York Times, nelle figure del filosofo Bernard-Henri Levy e dell’ex dissidente e attivista Natan Sharansky. “La Cina, che fa parte del Consiglio per i diritti umani, infligge internamenti, lavoro forzato e sterilizzazione al popolo uiguro. Mentre il mondo chiude un occhio” l’atto di accusa di Elisha Wiesel, figlio del Nobel per la Pace scomparso nel 2016 di cui si richiama, con riferimento anche il suo impegno di Testimone della Shoah, l’azione incrollabile contro ogni forma di odio, pregiudizio, violenza.
Tra le prime voci a levarsi, lo scorso anno, quella del rabbino capo d’Inghilterra Ephraim Mirvis: “Lo sport – le sue parole – è tale se unisce e ispira. Facciamo sì che i Giochi invernali si trasformino in una piattaforma di solidarietà verso la popolazione uigura piuttosto che in uno strumento per distrarre il mondo dalla spaventosa ingiustizia che stanno subendo”.
Ottantasei i Paesi partecipanti. Incluso Israele, che sarà ai Giochi con una mini delegazione composta da sei atleti. Nessuno, verosimilmente, con possibilità di medaglia. 

(Nell'immagine: l'appello della Elie Wiesel Foundation sul New York Times)

Machshevet Israel - La mistica dell'Uno
Alef. Echad, uno. Mi yodea’ – chi sa [cos’è]? – recita la famosa filastrocca mnemo-numerica di Pesach. ‘Uno’ rimanda a unità e unanimità, utopia dello spirito, agognata e quasi mai raggiunta in ambito politico (ma non è illusorio cercarle nella polis, ossia nel molteplice per definizione?); qualunque cosa sia, esso rimanda anche a uniformità e monotonia, che sono la negazione stessa del reale, sempre polifonico, vario e stratificato, multi-verso più che uni-verso. Cos’è l’uno, dunque? Se non ce lo chiediamo, lo sappiamo; se tentiamo di dirlo, lo perdiamo. Così lascia intendere Giulio Busi, ebraista e storico della qabbalà, nel suo ultimo, folgorante, intenso excursus nel numero 1, declinato in tutte le lingue alla base della nostra cultura: l’ebraico in primis, e poi il greco (tò hen) e l’arabo (wahid) e il sanscrito (ekam). 
 
Massimo Giuliani
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