IL RABBINO CAPO D'UCRAINA RAV YAAKOV BLEICH A PAGINE EBRAICHE
“Siamo preparati al peggio
Nessuno si fidi della Russia”

“Ci stiamo tutti preparando al peggio. Nessuno si fida della Russia”. A dirlo a Pagine Ebraiche è il rabbino capo di Ucraina rav Yaakov Bleich. Da settimane Mosca ha ammassato lungo il confine ucraino decine di migliaia di soldati e ora l’invasione sembra più vicina. Anche se, a detta del rav, non appare ancora imminente. “L’Ucraina deve prendere in considerazione ogni eventualità, non ci sono elementi al momento per pensare che la guerra scoppi adesso. Ma noi tutti dobbiamo essere pronti”, sottolinea da Kiev il rav.
L’atmosfera in città è cambiata gradualmente. “Fino a giovedì e venerdì c’era una certa calma. Poi progressivamente l’aria si è fatta più pesante. Anche in sinagoga le persone di Shabbat hanno iniziato a chiedere rassicurazioni”. Nel mentre i diversi Paesi hanno invitato i propri corpi diplomatici e i propri connazionali a lasciare l’Ucraina. “Lo hanno fatto gli americani, gli israeliani e così molti altri Stati”. Secondo i dati forniti alla stampa dal ministero degli Esteri israeliano ci sono circa 4.500 israeliani registrati presso l’ambasciata israeliana a Kiev e la stima complessiva è di 10.000-15.000 israeliani a cui è stato chiesto di rientrare.
“Noi ci troviamo sempre più soli con di fronte la minaccia russa. – afferma rav Bleich – È un momento molto difficile perché davanti a noi c’è l’ignoto”. Le rassicurazioni che arrivano dal fronte russo non sono prese in considerazione. “Oggi il ministro della Difesa ucraino ha parlato con il ministro della Difesa bielorusso. – racconta il rabbino capo d’Ucraina – Quest’ultimo ha detto che da parte loro non arriverà un attacco, ma potrebbe essere solo una strategia”. In particolare del Cremlino, che anche sul versante bielorusso ha schierato i soldati, con le esercitazioni militari tra i due paesi che dovrebbero terminare domani. “Sappiamo che Putin è un bugiardo e spesso non dice la verità. – la valutazione senza appello del rav – Quindi tutto questo dire ‘no, non attaccheremo’ potrebbe essere una strategia. Ti dicono ‘no, no, no’, ma poi sul terreno è ‘sì,sì,sì”.
Con pragmatismo la società ucraina e la sua Comunità ebraica – che conta circa 75mila membri – si sta preparando al conflitto. “Noi siamo in contatto costante con le autorità per garantire la sicurezza delle nostre sinagoghe. Abbiamo avviato anche una raccolta di beni di prima necessità e una campagna di raccolta fondi che sarà online dalle prossime ore. Se la situazione prenderà una brutta piega, servirà tutto l’aiuto necessario e noi faremo in modo di garantirlo”.
Dal punto di vista ebraico, sostegno è stato chiesto sia a Israele che all’ebraismo europeo. “Al Parlamento israeliano, nella Commissione che si dedica alla Diaspora, oggi si è discusso di come fornire un aiuto agli ebrei ucraini, sono state avanziate diverse proposte e speriamo che si concretizzino”. I temi sono sia dare protezione alle persone sia distribuire loro beni di prima necessità. “Siamo in contatto con il Congresso ebraico europeo e abbiamo discusso di forniture di aiuti alimentari”. Con gli americani non ci sono invece molte comunicazioni. “Non abbiamo parlato molto con loro. Washington ha una sua narrativa, parla continuamente di guerra, guerra e guerra. E noi non sappiamo se sono parole basate su elementi di intelligence o su strategie politiche”. Con la Russia i contatti invece non esistono proprio. “No. Nessuno. Da loro arrivano solo fake news. Tutta la Russia di Putin è una grande fake news”.
In questi giorni decisivi per l’Ucraina, con il vento della guerra sempre più forte, il rav non si lascia andare al pessimismo. “Io per natura sono ottimista. Per dirla con una famosa battuta: alla fine andrà tutto bene. E se non va bene, non è la fine. Ma la nostra priorità è che le persone non soffrano e su questo chiediamo aiuto”.
“Ci stiamo tutti preparando al peggio. Nessuno si fida della Russia”. A dirlo a Pagine Ebraiche è il rabbino capo di Ucraina rav Yaakov Bleich. Da settimane Mosca ha ammassato lungo il confine ucraino decine di migliaia di soldati e ora l’invasione sembra più vicina. Anche se, a detta del rav, non appare ancora imminente. “L’Ucraina deve prendere in considerazione ogni eventualità, non ci sono elementi al momento per pensare che la guerra scoppi adesso. Ma noi tutti dobbiamo essere pronti”, sottolinea da Kiev il rav.
L’atmosfera in città è cambiata gradualmente. “Fino a giovedì e venerdì c’era una certa calma. Poi progressivamente l’aria si è fatta più pesante. Anche in sinagoga le persone di Shabbat hanno iniziato a chiedere rassicurazioni”. Nel mentre i diversi Paesi hanno invitato i propri corpi diplomatici e i propri connazionali a lasciare l’Ucraina. “Lo hanno fatto gli americani, gli israeliani e così molti altri Stati”. Secondo i dati forniti alla stampa dal ministero degli Esteri israeliano ci sono circa 4.500 israeliani registrati presso l’ambasciata israeliana a Kiev e la stima complessiva è di 10.000-15.000 israeliani a cui è stato chiesto di rientrare.
“Noi ci troviamo sempre più soli con di fronte la minaccia russa. – afferma rav Bleich – È un momento molto difficile perché davanti a noi c’è l’ignoto”. Le rassicurazioni che arrivano dal fronte russo non sono prese in considerazione. “Oggi il ministro della Difesa ucraino ha parlato con il ministro della Difesa bielorusso. – racconta il rabbino capo d’Ucraina – Quest’ultimo ha detto che da parte loro non arriverà un attacco, ma potrebbe essere solo una strategia”. In particolare del Cremlino, che anche sul versante bielorusso ha schierato i soldati, con le esercitazioni militari tra i due paesi che dovrebbero terminare domani. “Sappiamo che Putin è un bugiardo e spesso non dice la verità. – la valutazione senza appello del rav – Quindi tutto questo dire ‘no, non attaccheremo’ potrebbe essere una strategia. Ti dicono ‘no, no, no’, ma poi sul terreno è ‘sì,sì,sì”.
Con pragmatismo la società ucraina e la sua Comunità ebraica – che conta circa 75mila membri – si sta preparando al conflitto. “Noi siamo in contatto costante con le autorità per garantire la sicurezza delle nostre sinagoghe. Abbiamo avviato anche una raccolta di beni di prima necessità e una campagna di raccolta fondi che sarà online dalle prossime ore. Se la situazione prenderà una brutta piega, servirà tutto l’aiuto necessario e noi faremo in modo di garantirlo”.
Dal punto di vista ebraico, sostegno è stato chiesto sia a Israele che all’ebraismo europeo. “Al Parlamento israeliano, nella Commissione che si dedica alla Diaspora, oggi si è discusso di come fornire un aiuto agli ebrei ucraini, sono state avanziate diverse proposte e speriamo che si concretizzino”. I temi sono sia dare protezione alle persone sia distribuire loro beni di prima necessità. “Siamo in contatto con il Congresso ebraico europeo e abbiamo discusso di forniture di aiuti alimentari”. Con gli americani non ci sono invece molte comunicazioni. “Non abbiamo parlato molto con loro. Washington ha una sua narrativa, parla continuamente di guerra, guerra e guerra. E noi non sappiamo se sono parole basate su elementi di intelligence o su strategie politiche”. Con la Russia i contatti invece non esistono proprio. “No. Nessuno. Da loro arrivano solo fake news. Tutta la Russia di Putin è una grande fake news”.
In questi giorni decisivi per l’Ucraina, con il vento della guerra sempre più forte, il rav non si lascia andare al pessimismo. “Io per natura sono ottimista. Per dirla con una famosa battuta: alla fine andrà tutto bene. E se non va bene, non è la fine. Ma la nostra priorità è che le persone non soffrano e su questo chiediamo aiuto”.
Daniel Reichel
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PAGINE EBRAICHE FEBBRAIO 2022
Levi e Ragghianti, storia di due amici

Il rapporto fra Carlo Levi e lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti è un capitolo finora poco esplorato dalla storiografia e dagli studi accademici. A raccontarlo è ora la grande mostra “Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura”. Realizzata dalla Fondazione Ragghianti a Lucca in collaborazione con la Fondazione Carlo Levi di Roma, l’esposizione ripercorre il percorso culturale e artistico dei due personaggi in una biografia a specchio straordinaria e ricca di sorprese. Un omaggio che cade nel centoventesimo anniversario dalla nascita di Levi e a cui Pagine Ebraiche di Febbraio dedica un ampio approfondimento firmato da Daniela Gross.
Questa è la storia di un’amicizia e di un sodalizio intellettuale che per quarant’anni attraversano la cultura del Novecento rivelandone i nodi e le svolte più complesse. Protagonisti, due personaggi indimenticabili – il pittore, scrittore e uomo politico Carlo Levi e lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti. Due intellettuali destinati a scrivere una pagina fondamentale nella storia d’Italia. Due uomini accomunati dalla passione politica, dal confronto sulle questioni dell’arte contemporanea e da una condivisa sensibilità per il patrimonio artistico del Paese. Quando si incontrino per la prima volta è un mistero. Si sa però che l’interesse di Ragghianti nei riguardi di Levi pittore data al 1936, quando lo inserisce nel suo articolo dedicato alla pittura italiana contemporanea; tre anni più tardi recensisce sulla rivista La Critica d’Arte la sua mostra a New York.

Il rapporto fra i due, che per entrambi si rivelerà fondamentale, si intensifica attraverso la comune militanza politica nella Resistenza a Firenze durante l’occupazione nazista. Qui si rifugia nel 1941 Carlo Levi, dopo la fuga in Francia a seguito delle leggi razziste. Lo accolgono le abitazioni di amici, fra cui quella di Eugenio Montale che è amico anche di Ragghianti (da lui Levi conoscerà il futuro suocero Umberto Saba) e la casa di Anna Maria Ichino in piazza Pitti. È il periodo in cui Levi scrive Cristo si è fermato a Eboli, il suo romanzo più noto. Scaturito dalla drammatica esperienza del confino che già ha trovato espressione in dipinti di grande potenza, è un’accorata denuncia delle disumane condizioni di vita della popolazione di quelle terre dove “neppure la parola di Cristo sembra essere mai giunta”. Il libro, a cui la mostra dedica una toccante sezione, sarà pubblicato da Einaudi nel 1945 e farà di Levi un portavoce di spicco della questione meridionale. Fra le numerose traduzioni in esposizione, quella in ebraico datata 1961.
Daniela Gross, Pagine Ebraiche Febbraio 2022
(Nelle immagini: a sinistra Autoritratto di Carlo Levi - 1930; a destra, Carlo Ludovico Ragghianti ritratto da Levi - 1944)
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PAGINE EBRAICHE FEBBRAIO 2022
Il senso di Carlo Levi per il cinema

La passione per il cinema è uno degli aspetti più nuovi e interessanti del lavoro di Carlo Levi messi in luce dalla mostra. Intellettuale multiforme, legato da amicizia a molti personaggi dello spettacolo, Levi, come del resto lo stesso Carlo Ludovico Ragghianti, intuisce con largo anticipo le immense potenzialità del linguaggio cinematografico. È l’incontro con Mario Soldati a procurargli, ventinovenne, un primo contatto con la Cines e poi con la Lux Film. Il presidente della società, Guido Pedrazzoni, gli offre un contratto come scenografo per Patatrac, una commedia brillante con regìa di Gennaro Righetti, uscita nel 1931, mentre di Ricordo d’infanzia, non andato in porto, resta soltanto la sceneggiatura.
Nell’estate del 1937 partecipa al Pietro Micca, diretto da Aldo Vergano, collaborando ai costumi. Il film è da considerarsi perduto, salvo un rullo di meno di cinque minuti conservato al Museo Nazionale del Cinema di Torino e una serie di bozzetti al Museo MAGI ’900 di Pieve di Cento.

Sarà con il film Il grido della terra (1949), sull’esodo dei profughi ebrei verso Israele, che si definirà meglio il suo contributo al cinema a soggetto. Diretto da Duilio Colletti, su sceneggiatura di Lewis Gittler, Carlo Levi e Alessandro Fersen, il film illumina la difficile transizione dei campi di concentramento fascisti a campi di raccolta e le operazioni dell’Aliyah Bet che dalle coste della Puglia traghetta i profughi ebrei, fra cui tanti sopravvissuti alla Shoah, nella Palestina mandataria. Realizzato dieci anni prima del più celebre Exodus, il lavoro affronta per la prima volta uno dei nodi più delicati del dopoguerra e lo racconta con un taglio neorealista attraverso il fil- tro di una storia d’amore. I tre autori conoscono di prima mano la realtà della persecuzione nazifascista e riversano quest’esperienza nel film. Come Carlo Levi, anche Alessandro Fersen, drammaturgo e uomo di teatro, è costretto alla fuga dalle leggi razziste e parteciperà alla Resistenza. Lewis Gittler, americano, discendente da una famiglia di rabbini e impresari della Slesia, è stato invece corrispondente di guerra per la rivista Life e nell’immediato dopoguerra ha raccolto numerose testimonianze di pro- fughi ebrei. Il film, interpretato da Marina Berti e Andrea Checchi, con costumi di Emanuele Luzzati, è prodotto dalla Lux film. Gli esterni ambientati in un centro abitato dell’allora Palestina sono girati nella città vecchia di Bari e a Mola di Bari dove nei mesi successivi alla fine della guerra si erano radunati molti profughi in attesa di partire per Eretz Israel. Una versione restaurata del film curata dalla Cineteca nazionale è stata presentata nel 2008 alla Mostra internazionale d’ar- te cinematografica di Venezia. Levi resta a lungo legato al mondo del cinema e la sua attività come documentarista è testimoniata soprattutto dai lavori che realizza a partire dagli anni Sessanta e hanno come tema la gente e la terra di Lucania, dove ha trascorso il confino.
dg, Pagine Ebraiche Febbraio 2022
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SPORT E IDENTITÀ
Tottenham, i tifosi non ci stanno:
“Siamo e restiamo la Yid Army”

Yid Army, un’espressione che non s’ha più da usare. Era la richiesta, inedita e in parte spiazzante, che i tifosi del Tottenham si son visti rivolgere negli scorsi giorni dalla dirigenza del club. Niente più Yid Army nei cori, negli striscioni, in ogni altra sfumatura della propria passione. E questo, si sosteneva in una nota ufficiale che ha dato di che discutere, perché tale associazione con il mondo ebraico, ormai pluridecennale e nata con un’accezione solo positiva, avrebbe finito per alimentare il veleno dell’antisemitismo dentro e fuori gli stadi e pregiudicato la possibilità di “creare un ambiente accogliente che abbracci tutti i nostri fan”. La risposta dei sostenitori degli Spurs, uno dei più gloriosi club inglesi, è stata tranchant: durante il match casalingo con il Wolverhampton i primi cori in cui è risuonata la parola Yid non sono tardati ad arrivare. Appena tre minuti, secondo alcuni addirittura meno, dopo il fischio d’inizio.
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LO SPECIALE DEL TG2
Babyn Yar, l’abisso del Male
Ucraina è anche Babyn Yar, la fosse comune più grande d’Europa. La cosiddetta “Shoah delle pallottole”, la Shoah per fucilazione, che fece all’incirca un milione e mezzo di vittime in tutto il Paese. Al fianco degli occupanti nazisti gruppi di collaborazionisti locali che, anche a Babyn Yar, si distinsero per ferocia e crudeltà. Decine di migliaia le vite spezzate in poche ore. “Nessun nome, nessun ricordo. È tempo di ricordare, ed è per questo che siamo tutti qui oggi”, il monito del Presidente d’Israele Yizhak Herzog nel corso della cerimonia organizzata per l’ottantesimo anniversario dell’eccidio lo scorso autunno.
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Strumenti di vita

Francamente trovo bellissima l’idea che con il legno dei barconi dei migranti si costruiscano violini. Che da quel legno, che ha contribuito a riempire di morti il Mediterraneo, si traggano strumenti di vita, note di pura felicità. E ricordo gli ebrei con il violino di Chagall, e la storiella sul perchè l’ebreo che fugge dai pogrom si porti con sé il suo violino: e come potrebbe portarsi il pianoforte?
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Oltremare - Puntini

Sono settimane ormai, se non mesi, che vedo comparire articoli e interventi, post più o meno arrabbiati o cinici, sulla questione del segno schwa a fine parola. E mi accorgo solo oggi – ma in tempi Covid ogni ritardo è concesso e compreso, spero – che trattasi di un segno che ha avuto origine nella lingua che parlo ogni giorno, vivendo in Israele. Chi legge qualche volta i miei Oltremare sa che l’ebraico è uno dei miei temi, perché è qualcosa che è allo stesso tempo incredibilmente difficile, sorprendentemente logico, e comunque necessariamente quotidiano.
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