Levi e Ragghianti, storia di due amici

Il rapporto fra Carlo Levi e lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti è un capitolo finora poco esplorato dalla storiografia e dagli studi accademici. A raccontarlo è ora la grande mostra “Levi e Ragghianti. Un’amicizia fra pittura, politica e letteratura”. Realizzata dalla Fondazione Ragghianti a Lucca in collaborazione con la Fondazione Carlo Levi di Roma, l’esposizione ripercorre il percorso culturale e artistico dei due personaggi in una biografia a specchio straordinaria e ricca di sorprese. Un omaggio che cade nel centoventesimo anniversario dalla nascita di Levi e a cui Pagine Ebraiche di Febbraio dedica un ampio approfondimento firmato da Daniela Gross.

Questa è la storia di un’amicizia e di un sodalizio intellettuale che per quarant’anni attraversano la cultura del Novecento rivelandone i nodi e le svolte più complesse. Protagonisti, due personaggi indimenticabili – il pittore, scrittore e uomo politico Carlo Levi e lo storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti. Due intellettuali destinati a scrivere una pagina fondamentale nella storia d’Italia. Due uomini accomunati dalla passione politica, dal confronto sulle questioni dell’arte contemporanea e da una condivisa sensibilità per il patrimonio artistico del Paese. Quando si incontrino per la prima volta è un mistero. Si sa però che l’interesse di Ragghianti nei riguardi di Levi pittore data al 1936, quando lo inserisce nel suo articolo dedicato alla pittura italiana contemporanea; tre anni più tardi recensisce sulla rivista La Critica d’Arte la sua mostra a New York. Il rapporto fra i due, che per entrambi si rivelerà fondamentale, si intensifica attraverso la comune militanza politica nella Resistenza a Firenze durante l’occupazione nazista. Qui si rifugia nel 1941 Carlo Levi, dopo la fuga in Francia a seguito delle leggi razziste. Lo accolgono le abitazioni di amici, fra cui quella di Eugenio Montale che è amico anche di Ragghianti (da lui Levi conoscerà il futuro suocero Umberto Saba) e la casa di Anna Maria Ichino in piazza Pitti. È il periodo in cui Levi scrive Cristo si è fermato a Eboli, il suo romanzo più noto. Scaturito dalla drammatica esperienza del confino che già ha trovato espressione in dipinti di grande potenza, è un’accorata denuncia delle disumane condizioni di vita della popolazione di quelle terre dove “neppure la parola di Cristo sembra essere mai giunta”. Il libro, a cui la mostra dedica una toccante sezione, sarà pubblicato da Einaudi nel 1945 e farà di Levi un portavoce di spicco della questione meridionale. Fra le numerose traduzioni in esposizione, quella in ebraico datata 1961.
Al periodo fiorentino risale l’intervento congiunto di Levi e Ragghianti, insieme all’architetto Giovanni Michelucci, dopo che i nazisti hanno fatto saltare cinque ponti a Firenze, per evitare l’abbattimento della Torre di Parte Guelfa a Ponte Vecchio, un “salvataggio” poi messo in atto dal comando alleato. La frequentazione tra i due si fa più stretta nei giorni della formazione del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale e della direzione del quotidiano La Nazione del Popolo e quando Levi, subito dopo la liberazione di Firenze, diventa membro della commissione per la ricostruzione del centro storico della città. La loro è un’intesa che si riflette nella condivisione di un comune discorso artistico. La mostra personale di Levi alla Galleria dello Zodiaco di Roma nel 1946 è presentata proprio da Ragghianti, che poi propone la prima storicizzazione della figura di Carlo Levi nel 1948, attraverso la pubblicazione di un “catalogo” dell’opera leviana, nel quale sono datati e repertoriati i dipinti realizzati dal 1923 al 1947.
È un volume, con presentazione di Ragghianti, che rimane ancor oggi un punto di riferimento imprescindibile per gli studi su Levi. All’interno figura anche il testo di Levi intitolato Paura della pittura, tornato di recente all’attenzione degli studiosi, così come la riflessione più estesa Paura della libertà, scritta nel 1939 e dedicata alla crisi della società europea, oggi quanto mai attuale. Negli anni successivi i due s’incontrano quando possono, a Roma o a Firenze. Ragghianti dal 1948 ricopre il posto di professore di ruolo a Pisa. Qui, insieme con un folto gruppo di collaboratori, crea un modello originale di formazione di esperti nelle arti figurative, coniugando la riflessione teorica, l’indagine sulle raccolte museali, i campi più tradizionali della disciplina e altri settori di studio solitamente trascurati, come l’urbanistica, lo spettacolo, il cinema e le espressioni di civiltà lontane nel tempo e nello spazio.
Non perde però occasione per valorizzare la produzione artistica di Levi e ne sono chiari esempi il suo inserimento nella grande mostra che organizza nel 1967 con il titolo Arte moderna in Italia 1915-1935 e l’imponente selezione di opere dell’antologica allestita a Firenze due anni dopo la morte dell’artista.
Come scriverà Ragghianti all’amico artista nel 1971, “ormai qualche anno fa abbiamo disegnato due imprese simultanee: una tua grande mostra dei ritratti degli uomini del tuo tempo, e un libro di biografie e piuttosto di ricordi e di giudizi”. Il progetto si compirà, nella sua parte espositiva, purtroppo in forma postuma, nell’importante retrospettiva intitolata Levi si ferma a Firenze, curata da Ragghianti nel 1977.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche Febbraio 2022

Le vite a specchio di Levi e Ragghianti

Artista, scrittore, medico, uomo di cinema. A segnare la biografia Carlo Levi è una varietà d’interessi che stupisce. Nato a Torino nel 1902 da Ercole Raffaele Levi e Annetta Treves, sorella del leader socialista Claudio, studia al liceo Alfieri di Torino frequentato negli stessi anni da Leone Ginzburg, Massimo Mila, Giulio Einaudi, Giaime Pintor e Cesare Pavese.
Studia medicina e si laurea nel 1924 diventando assistente alla Clinica medica dell’Università di Torino dove conduce lavori sperimentali sulle epatopatie e sulle malattie delle vie biliari.
Intanto il suo impegno artistico si precisa. Espone per la prima volta nel 1923 alla Quadriennale di Torino e dall’anno successivo partecipa con regolarità alla Biennale di Venezia. Nello stesso anno conosce Guttuso a Roma e comincia a interessarsi anche di scenografia e sceneggiatura per la società cinematografica Cines.
La passione politica corre in parallelo. Sedicenne, conosce Piero Gobetti e già prima della laurea collabora con la rivista La rivoluzione liberale. Frequenta i fratelli Rosselli e presto diventa un importante esponente del gruppo Giustizia e Libertà costituito nel 1929. I suoi frequenti viaggi a Parigi come pittore diventano così l’occasione di rischiosi contatti con i fuoriusciti antifascisti.
E’ arrrestato una prima volta nel marzo 1934. Il secondo arresto, un anno dopo, si conclude con la condanna a tre anni di confino in Lucania. Liberato nel 1936 in occasione della proclamazione dell’impero, nel ‘39 è costretto dalle leggi razziste a rifugiarsi in Francia da cui ritorna nel 1941.
Si stabilisce a Firenze dove l’amicizia con Carlo Federico Ragghianti (1910 – 1987) diventa più stretta. Fervente antifascista fin dal liceo, Ragghianti – uno dei massimi storici, critici e teorici dell’arte italiani del Novecento – è tra i fondatori del Partito d’Azione, in cui Carlo Levi ha un ruolo di primo piano, e delle Brigate Rosselli e sarà sottosegretario all’Istruzione nel governo Parri.
Nel 1966, dopo l’alluvione di Firenze, sarà l’anima delle iniziative internazionali volte al risarcimento dei danni subìti dal patrimonio culturale e a gettare le basi per la costituzione del Museo Internazionale di Arte Contemporanea, realizzato soltanto negli anni Duemila.
Quanto a Levi, l’attività artistica prosegue intensa nei Cinquanta e Sessanta, intrecciata a una costante produzione letteraria e alla presenza sulla scena politica. Nel 1963 è eletto senatore come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano ed entra a far parte della Commissione parlamentare Istruzione pubblica e Belle Arti. La sua nomina è confermata nelle elezioni del 1968. Nel 1973 è colpito da distacco della retina ed è sottoposto a due interventi chirurgici. In stato di temporanea cecità, realizza centoquaranta disegni e scrive, con l’ausilio di uno speciale telaio, l’opera che sarà pubblicata postuma con il titolo Quaderno a cancelli. Muore a Roma il 4 gennaio 1975 dopo alcuni giorni di coma. Sarà sepolto in Basilicata.