LA PRIMA VOLTA DI UN SINDACO DI GERUSALEMME SOTTO ALL'ARCO DI TITO
“Serve uno sforzo di pace globale,
domenica inviterò il papa”

L’Arco di Tito è uno dei simboli più eclatanti della distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera delle truppe imperiali. E per questo gli ebrei romani, attraverso i secoli della loro lunghissima presenza, se ne sono sempre tenuti alla larga. Almeno fin quando uno Stato ebraico è risorto. Fu proprio lì infatti, in quel lembo di terra che per generazioni è stato molto più di un tabù, che Rav David Prato scelse di convocare la sua comunità per festeggiare il lieto evento. Da poche ore l’Onu aveva detto sì al moderno Israele: immagini in bianco e nero di struggente significato ci restituiscono tutta la gioia e la commozione di chi partecipò ma anche il senso di una rivincita sulla Storia.
Storia di cui è ben consapevole l’attuale sindaco di Gerusalemme, Moshe Lion. “La pace oggi è il bene più prezioso da difendere, in qualunque contesto e in qualunque forma la si cerchi di mettere in discussione. Il conflitto di queste ore colpisce e addolora, così come ogni conflitto in corso. Anche per questo domenica inviterò il papa nella nostra città, la città della pace. Tutti insieme possiamo fare qualcosa” annuncia a Pagine Ebraiche con alle spalle l’Arco, memoria marmorea di un’epoca di sofferenze radicatasi nelle generazioni e di snodi ineludibili che avrebbero portato a quella dispersione nota come Diaspora di cui Roma, con i suoi due millenni di percorso ininterrotto, è l’espressione più antica. Ad accompagnarlo in questa storica visita l’ambasciatore d’Israele in Italia, Dror Eydar, che parla al riguardo di chiusura di un cerchio. “Se potessimo chiedere a uno dei prigionieri che vediamo raffigurati nel rilievo qui davanti a noi quale è il suo sogno sono certo che, ciascuno di essi, ci risponderebbe: 'Tornare a Sion'. Quell'aspirazione – ricorda Eydar – l'abbiamo realizzata”. E per questo, aggiunge, “essere qui oggi ha un valore immenso”.

Lion si appresta a lasciare la Capitale per Firenze, dove nei prossimi giorni avrà un ruolo da protagonista nell’ambito del grande incontro internazionale di sindaci e vescovi organizzato nel nome di Giorgio La Pira e della sua visione di incontro e dialogo per il Mediterraneo. Al sindaco di Gerusalemme, insieme ai colleghi di Istanbul (Ekrem İmamoğlu) e Atene (Kostas Bakoyannis), oltre naturalmente al padrone di casa, il sindaco di Firenze Dario Nardella, e al presidente della Conferenza Episcopale Italiana Gualtiero Bassetti che sono entrambi promotori della conferenza, il compito di accogliere e confrontarsi con papa Bergoglio nella sua visita domenicale che chiuderà il vertice. In Palazzo Vecchio, in questa importante giornata che avrà inevitabilmente al centro anche la stretta attualità dell’attacco russo all’Ucraina, con tutte le sue drammatiche implicazioni presenti e future, ci saranno anche l’ambasciatore Eydar e la presidente UCEI Noemi Di Segni.
“Sarà una grande occasione per ribadire un messaggio di pace. Tutti sono chiamati a fare la loro parte. Noi ancora di più, per via della nostra storia e identità speciale”, sottolinea il sindaco Lion. Gerusalemme, prosegue infatti, “è la città della convivenza per antonomasia, la città cui tutte le religioni volgono il loro sguardo speranzose per mettervi radici: ebrei, cristiani, musulmani e molte altre fedi”. Per questo, ribadisce, “ci sentiamo investiti di una responsabilità”. C’è anche questo vissuto nel proposito di invitare il papa, che a Gerusalemme c’è già stato in una delle prime missioni all’estero dal suo insediamento. Una città che il suo sindaco descrive “a porte aperte e pronta ad abbracciare il mondo” e che ora guarda, con occhio certamente meno preoccupato di un tempo, l’evoluzione di una pandemia che volge forse al termine. “Aspettiamo il ritorno dei turisti, siamo pronti. Una nuova fase è in arrivo”, conferma il sindaco con un ampio sorriso. Ancora un anno e mezzo di mandato prima che si torni al voto. “Ci attende un periodo di duro lavoro. Poi si vedrà…”, mormora. Tra gli elementi che più stanno contraddistinguendo la sua azione politica la costruzione di un rapporto più che positivo con la popolazione araba, che gli viene riconosciuto in modo pressoché unanime dalla sempre esigente stampa israeliana. “Ho questa fama anche qui?”, sorride il sindaco. Si volge poi verso l’Arco di Tito: “È molto emozionante essere qui e soprattutto in questa veste. C’ero già stato in passato, ma non con la funzione che rivesto oggi. Gerusalemme, ricorderò anche a Firenze, è la casa del mondo”.
(Nelle immagini, il sindaco Moshe Lion e l’ambasciatore Dror Eydar sotto all’Arco di Tito)
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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GUERRA IN UCRAINA - LE ACCUSE DI MOSCA E LA REPLICA DI ZELENSKY
"Non è il governo ucraino ad essere nazista,
ma la Russia che ci aggredisce"

Nel dichiarare l'inizio dell'aggressione russa all'Ucraina, il presidente Vladimir Putin ha annunciato di voler “smilitarizzare e denazificare” il paese. Mosca usa la carta del nazismo per screditare il governo di Kiev. Poco prima dell'avvio dell'invasione, in un ultimo e infruttuoso appello alla pace, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha denunciato la falsità di questa accusa. “Come posso io essere nazista? Spiegatelo a mio nonno, che ha passato tutta la guerra nella fanteria dell'esercito sovietico, ed è morto colonnello in un'Ucraina indipendente”, ha replicato Zelensky.
Figlio di ebrei della cittadina di Kryvy Rih, vicino a Dnipro, il presidente ucraino ha inoltre ricordato di aver perso parte della sua famiglia nella Shoah. Rivolgendosi in russo all'opinione pubblica russa ha chiesto di non credere alla propaganda del Cremlino. “L'Ucraina nei vostri notiziari e l'Ucraina nella vita reale sono due paesi completamente diversi e la principale differenza tra loro è: il nostro è reale. Vi dicono che siamo nazisti. Ma potrebbe un popolo che ha perso più di 8 milioni di vite nella battaglia contro il nazismo sostenere il nazismo?”. Un interrogativo a cui era seguito un appello a fermare il conflitto. Poche ore dopo però è arrivato il discorso di Putin e sono iniziati gli attacchi contro molte città ucraine, da Kharkiv, nel Donbass, a Odessa, porto del Mar Nero.
Si è aperto così il conflitto e Zelensky è tornato a parlare. Questa volta è stato lui ad accusare Mosca di agire come i nazisti. “La Russia ci ha attaccato a tradimento questa mattina, come ha fatto la Germania nazista negli anni della seconda guerra mondiale. - ha scritto il presidente sui suoi profili social - Ad oggi, i nostri paesi si trovano su lati diversi della storia mondiale. La Russia ha intrapreso la strada del male, ma l'Ucraina si sta difendendo e non rinuncerà alla sua libertà, qualunque cosa pensi Mosca”.
Anche Israele in queste ore ha condannato l'invasione russa dell'Ucraina. "È una grave violazione dell'ordine internazionale.- ha dichiarato il ministro degli Esteri Yair Lapid - Israele condanna l'attacco, ed è pronto e preparato a fornire assistenza umanitaria ai cittadini dell'Ucraina".
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Le dittature del’900 e la scienza
 Lo sviluppo della scienza che ha portato alla conseguente evoluzione della tecnologia in tanti campi tecnico scientifici, di cui noi oggi godiamo i benefici, avvenne principalmente tra la fine dell’ ‘800 e gli inizi del’900. Non che prima non ci siano stati progressi, ma sono stati più lenti e soprattutto sporadici. Prima di Galileo, a cavallo tra il ‘500 e il ‘600, la scienza era sopratutto “magia” e “ “filosofia”. Galileo fu il primo ad adottare una metodologia che possiamo definire “moderna”. Ma il suo metodo impiegò secoli a diffondersi.
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Evola e l’antisemitismo
 Julius Evola è stato autore di numerose opere che esprimono bene il suo pensiero filosofico ed allo stesso tempo politico. I suoi scritti, tipici degli anni in cui vengono maturati, sono il frutto della sua esperienza storica e politica e riflettono attentamente un pensiero complesso che si va evolvendo nei diversi anni della sua vita. Evola è sinonimo di tradizione, che si coniuga con la dicotomia di spiritualità e materialità, dell’essere sul divenire, della qualità sulla quantità, della fermezza sugli empiti irrazionali e si traduce in una società in cui ciascuno assume la funzione che è più conforme alla sua natura.
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