Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     10 Giugno 2022 - 11 Sivan 5782
IL VARO DELL'INIZIATIVA EUROPEA

Sport, una rete contro l'hate speech

In questi anni cori e intemperanze razziste sono state spesso una consuetudine nelle curve del calcio italiano. Basti pensare, guardando al solo mese di maggio, agli insulti proferiti da un gruppo di tifosi della Lazio contro uno steward in servizio all’Olimpico preso di mira per il colore della pelle. O, restando sempre nella Capitale, a quei supporter della Roma che nella loro ultima trasferta hanno evocato una nuova “Marcia” sulla falsariga di quella fascista che, esattamente un secolo fa, trascinò l’Italia nel baratro della dittatura. Una “macchia nera”, come ha scritto qualcuno, nella notte altrimenti esaltante di Tirana che ha visto un club del nostro movimento conquistare un trofeo continentale a ben 12 anni dall’ultima volta. Due esempi tra i tanti che si potrebbero fare e non riferiti al solo universo del pallone. Anche altre discipline, infatti, hanno visto l’infittirsi di situazioni allarmanti sul crinale del pregiudizio e dell’odio (anche antisemita) talvolta derubricati in modo irresponsabile, da chi avrebbe la responsabilità non solo di stigmatizzare ma anche di intervenire, a goliardia. E non nella sola Italia per la verità.
“Combating Hate Speech in Sport”, il nuovo progetto varato da Unione Europea e Consiglio d’Europa, si propone di offrire gli strumenti adeguati per affrontare questo problema anche nella prospettiva di fare rete in modo più efficace tra Paesi e istituzioni. Nessuno insomma deve sentirsi solo e tutti devono essere portati a collaborare, a condividere esperienze sia negative che positive. Lo sport, si afferma nella premessa, unisce le persone. Contribuisce alla salute e al benessere, abbattendo le barriere e costruendo fiducia e spirito di comunità tra chi lo pratica. Tuttavia, se preso per il verso sbagliato, “può anche esacerbare tensioni o rivalità e favorire la discriminazione nei confronti di determinate categorie di popolazione, contrariamente agli standard, agli obblighi e ai principi internazionali sulla lotta al razzismo e alla discriminazione”.
Sebbene sia l’Unione Europea che il Consiglio d’Europa abbiano sviluppato quadri normativi anche abbastanza sofisticati, gli eventi sportivi restano sotto la scure delle parole malate così straripanti ormai sia online che offline. La distinzione è caduta da tempo e spesso purtroppo stadi, parquet e palazzetti si sono trasformati in veri e propri megafoni del peggio su piazza. Violenze che nascono come verbali ma che non di rado, si sottolinea nel documento, “degenerano anche in violenze fisiche che coinvolgono i sostenitori e provocano l’interruzione dell’evento stesso”. Comportamenti inaccettabili da non passare sotto silenzio, ma che al contrario devono essere “prevenuti e affrontati”.
Il lancio del progetto, avvenuto nel corso di un meeting tenutosi di recente a Strasburgo, aveva varie finalità. Tra cui quelle di esaminare le modalità innovative con cui viene affrontato l’hate speech nei contesti più diversi, soffermandosi su tendenze e direzioni di sviluppo; e oltre a ciò quello di presentare pratiche e progetti specificamente dedicati al contrasto dell’incitamento all’odio; e ancora dare visibilità e sensibilizzare sull’impegno antirazzista assunto dai vertici UE anche attraverso questa proposta; e infine implementare una rete di competenze e cooperazione per la sua messa in pratica nel quotidiano. A confrontarsi su questo e altri temi sono stati invitati rappresentanti dei vari ministeri dello sport, organizzazioni nazionali e internazionali, atleti, dirigenti, esponenti del tifo.
Nella delegazione italiana anche Triantafillos Loukarelis, il direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar) della Presidenza del Consiglio che è tra le realtà che più si sono spese in questo ambito portando sul tavolo delle istituzioni preposte campagne e progetti concreti. Essenziale per avere successo, ha detto Loukarelis intervenendo a Strasburgo, un approccio il più possibile multi-stakeholder che coinvolga tra tanti anche il mondo dell’informazione. “I club sportivi e le federazioni devono collaborare con gli allenatori, i giocatori e i club di tifosi”, l’appello del direttore dell’Unar. Oltre a ciò, l’invito alle organizzazioni sportive è a “collaborare con i media per garantire che l’incitamento all’odio e la violenza siano coperti in modo da evitare di riutilizzare gli stereotipi”. Allo stesso tempo, ha aggiunto, è fondamentale agire in sinergia “con le autorità pubbliche e le forze dell’ordine che vanno messe nelle condizioni giuste per far sì che questa problematica sia affrontata efficacemente e che le vittime di incitamento all’odio ricevano un sostegno adeguato”. Senza tralasciare infine il fronte, anch’esso di primaria importanza come gli altri, di una effettiva punibilità degli atti discriminatori compiuti “in ambito penale, civile e amministrativo”.

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IL NUMERO UNO DELLO YAD VASHEM A PAGINE EBRAICHE

"Lotta all'antisemitismo, il papa un alleato"

Per la prima volta dalla sua istituzione un presidente dello Yad Vashem è stato ricevuto, in udienza privata, da un papa. “Un evento storico” sottolinea a fine giornata Dani Dayan, confrontandosi sul significato di questo appuntamento con Pagine Ebraiche. A salutarlo, in compagnia dell’ambasciatore d’Israele in Italia Dror Eydar, c’era tra gli altri il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.
L’ex console generale israeliano a New York, chiamato alla guida del Memoriale di recente, si dice positivamente impressionato dal colloquio. “Chi ha a cuore temi come la tutela della Memoria e la lotta all’antisemitismo può contare su un amico in questo papa. Le sue parole al riguardo – afferma – sono state nette”. Un colloquio che Dayan definisce “cordiale e caloroso”. Non sarebbe potuta andare diversamente, aggiunge col sorriso, “perché non soltanto siamo entrambi argentini, ma anche entrambi nativi di Buenos Aires”.
Al papa Dayan ha rivolto il proprio apprezzamento per l’apertura degli archivi vaticani sull’operato di Pio XII. “Un’iniziativa – il suo pensiero – che va nella direzione di quella ricerca di giustizia fortemente auspicata dal pontefice. Bergoglio mi ha ribadito un concetto già espresso, con forza, in passato. E cioè che ‘la Chiesa ama la storia’. Aggiungendo poi che non tutti, all’interno di questa istituzione, hanno fatto la scelta giusta. C’è chi ha agito in un modo e chi invece al suo opposto. Parole che trovo importanti”.
Dayan non ha ancora avuto modo di leggere l’ultimo libro di David Kertzer, Un papa in guerra, che getta più di un’ombra su Pacelli, i suoi silenzi davanti alla Shoah, i suoi rapporti con Hitler e Mussolini. “Conto di farlo a breve. A prescindere dai contenuti, in ogni caso, ricerche come queste sono una conferma del lavoro che resta da fare. Le questioni sul tavolo sono infatti molteplici. Ma per avere un quadro ancora più esaustivo rispetto al presente serviranno ancora vari anni. Cinque, dieci, forse anche di più. Quando quel momento arriverà – annuncia – ci esprimeremo anche noi”.


Dayan è al vertice di Yad Vashem da pochi mesi appena. Un’esperienza del tutto nuova e diversa rispetto a precedenti attività. “Sento addosso ogni grammo di questa immensa responsabilità”, confida al giornale dell’ebraismo italiano. “Lo sento nei confronti delle vittime e di chi è sopravvissuto. Ogni nostro sforzo è orientate a raccogliere il maggior numero possibile di documenti e testimonianze, trasferendole anche sul digitale. Un patrimonio che dovrà resistere allo scorrere del tempo e alla scomparsa, inesorabile, di chi ha visto, vissuto e raccontato in prima persona”.
Secondo Dayan, nonostante tante insidie, l’interesse verso il tema Memoria sarebbe in crescita. “Appena pochi anni fa la Giornata internazionale della Memoria non esisteva. E neanche una realtà come l’International Holocaust Remembrance Alliance. Strumenti entrambi preziosi – riconosce – per portare avanti quella che è la nostra mission, il nostro impegno più significativo”.

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LA NUOVA MOSTRA INAUGURATA AL MEIS

"Alfabeto, la nostra forza"

Inaugurata ieri al Meis di Ferrara la mostra “Disegnare l’ebraico. Interpretazione artistica dell’Alef Bet”, in collaborazione con l’ambasciata d’Israele in Italia e l’Istituto Europeo di Design di Roma. Il Museo espone nel padiglione d’accesso del suo edificio, nel suggestivo Giardino delle Domande, le 27 illustrazioni firmate da 16 studenti e due docenti dello IED, che accoglieranno i visitatori con rielaborazioni originali delle lettere dell’alfabeto ebraico. Ogni lettera è accompagnata da un testo di approfondimento dedicato ai significati nascosti e all’origine dell’ispirazione che ha portato alla realizzazione dei disegni. Tanti i riferimenti culturali e i parallelismi che sono alla base dei lavori: dai personaggi dei Tarocchi alla Kabbalah, dai Re di Israele alle ultime invenzioni scientifiche. 
Le illustrazioni sono il frutto di workshop e incontri dedicati alle diverse sfaccettature della lingua ebraica, indirizzati agli studenti del secondo anno del corso di Illustrazione e Animazione dello IED.


Per primi furono i fanciulli a raccontarci cose eccezionali sull’alfabeto. Si sa, tutte le forme sono palestra di fantasia e ispirazione della profezia che nei bambini trova una dimensione potente e aggraziata.
Il Talmud ci riporta questo aneddoto: “Oggi sono venuti gli scolari e hanno riportato concetti che neppure ai tempi di Giosuè furono insegnati con tanta sagacia. Alef Bet, aluf binà, – impara il senno. Ghimel dalet, gomel dallim – sostieni il povero”.
A sbalordire i maestri era la loro capacità di captare i simboli più nascosti: “Perché la gambetta della ghimel sembra che si diriga alla base della lettera seguente, la dalet? Per dirci che ci deve essere una propensione ad aiutare i deboli. E perché la dalet sembra appoggiarsi alla lettera precedente? Perché il povero accetta l’aiuto. Ma perché allora le rivolge le spalle? Perché è bene che chi è sostenuto non conosca l’identità del benefattore”.
Gli studenti lasciarono stupiti i loro insegnanti. Inizia così un affascinante rapporto ininterrotto, fatto di interpretazione, di simbolismo e di profondo rispetto persino del valore numerico delle parole. Le lettere sopravvivono al corpo, formano un tutt’uno con l’anima e trascendono ad ogni tentativo dei nemici di Israele di distruggerle; sapevano infatti che in quello scrigno si concentrava la forza d’Israele.
Rabbi Haninà ben Teradion fu tra i dieci martiri della repressione ai tempi di Adriano. Sul rogo venne avvolto al rotolo della legge con cui era solito studiare. Mentre le fiamme lo raggiunsero gli studenti chiesero al maestro che era un passo dalla morte, cosa vedesse.
Egli rispose: “Vedo le pergamene che bruciano ma le lettere no, vanno verso l’alto, salgono in cielo”.
In effetti, l’alfabeto ebraico ha accompagnato gli ebrei in esilio. Divenne il veicolo attraverso cui, in ogni luogo della diaspora e qui in Italia in particolare, l’identità trovava il modo più propizio per radicarsi e tramandarsi. Si pregava, ma soprattutto si imparava a leggere e scrivere in ebraico. Le lettere diventavano l’elemento artistico di sinagoghe e scuole, di dipinti e oggetti cerimoniali domestici.
Attraverso le grafiche delle lettere ebraiche che ci propongono i giovani artisti dello IED di Roma, che ne hanno studiato origini e significati, viene raccolto questo bagaglio e se ne dà una originale interpretazione.
L’occasione dell’inaugurazione della mostra Disegnare l’ebraico è lieta anche per svelare il tombino che troverà spazio per alcuni mesi qui al Meis, realizzato dall’artista Anna Stylianou per Tel Aviv, la città che è cuore pulsante del Paese protagonista della rinascita la lingua ebraica nel corso dell’ultimo secolo.
Evocando il legame tra nuovo e antico, vorrei finire raccontandovi un aneddoto simpatico, forse una barzelletta con spunti verosimili, che ci offre la misura di quanta devozione gli anziani avessero per le lettere dell’alef bet. “Un ebreo del ghetto intraprende un viaggio in Israele in aereo. Al ritorno la moglie gli apre la valigia e la trova piena di biglietti del bus, scontrini, depliant, foglietti, giornali e giornaletti e gli chiede che senso avesse tutta quella cartaccia. Con tono di severa determinazione il merito le risponde: ‘Tutto quello che mi davano l’ho conservato. Volevi forse che gettassi nella spazzatura le parole di Torah?!'”.

Rav Amedeo Spagnoletto, direttore del Meis

(Foto: Bruno Leggieri)

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Liliana e Chiara
Snob e detrattori di professione si sono ampiamente esercitati nel criticare la scelta “scandalosa” compiuta da Liliana Segre di invitare Chiara Ferragni al Memoriale della Shoah di Milano. Penso che ci si dovrebbe allontanare da quell’area di comfort intellettuale. L’incontro fra queste due donne è, al contrario, molto significativo. Con l’incrocio delle loro immagini pubbliche la comunicazione contro il discorso d’odio e contro l’indifferenza cambia pelle. La loro foto su Instagram, immediatamente rimbalzata sulle altre piattaforme e “naturalmente” fatta oggetto di sarcasmi e di insulti (oltre che di molti, preponderanti messaggi di simpatia), è stata una vera e propria dichiarazione di guerra all’hate speech. 
 
Gadi Luzzatto Voghera
Una strada centrale
Nella nostra parashà, esattamente nella parte centrale di essa, la Torà ci descrive due casi che possono verificarsi nel corso della vita di un ebreo: la sotà, ossia una donna sposata il cui marito dubita della sua fedeltà coniugale; l’altro caso è il nazir, ossia una persona che decide di astenersi dal cibarsi di alcune sostanze o bevande inebrianti, dal tagliarsi i capelli e la barba. 
 
Rav Alberto Sermoneta
Questo
Primo Levi è come l’inglese: è facile se serve per fare turismo ma non per chi lo vuole studiare seriamente. Paragone suggestivo – proposto ieri da Domenico Scarpa nella presentazione della collana “questo” del Centro Internazionale di Studi Primo Levi e dell’editore Silvio Zamorani – che introduce efficacemente la ricchezza e molteplicità dei progetti del Centro, tra letture, ricerche, incontri di studio e soprattutto dialoghi.
 
Anna Segre
Sapersi muovere
Talvolta quando viaggio non pochi mi hanno chiesto perché mi ostini ad usare un atlante stradale o una pianta di città cartacea col rischio anche di perdermi quando invece con Google Maps tutto è più semplice ed immediato. Digiti il punto di partenza e l’indirizzo di destinazione e il software, oltre a indicarti percorso, tempi di percorrenza e situazione del traffico, ti accompagna per tutto il viaggio insieme a una piacevole voce robotica (sic!).
 
Francesco Moises Bassano
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