Alfabeto, la nostra forza

Inaugurata ieri al Meis di Ferrara la mostra “Disegnare l’ebraico. Interpretazione artistica dell’Alef Bet”, in collaborazione con l’ambasciata d’Israele in Italia e l’Istituto Europeo di Design di Roma. Il Museo espone nel padiglione d’accesso del suo edificio, nel suggestivo Giardino delle Domande, le 27 illustrazioni firmate da 16 studenti e due docenti dello IED, che accoglieranno i visitatori con rielaborazioni originali delle lettere dell’alfabeto ebraico. Ogni lettera è accompagnata da un testo di approfondimento dedicato ai significati nascosti e all’origine dell’ispirazione che ha portato alla realizzazione dei disegni. Tanti i riferimenti culturali e i parallelismi che sono alla base dei lavori: dai personaggi dei Tarocchi alla Kabbalah, dai Re di Israele alle ultime invenzioni scientifiche. 
Le illustrazioni sono il frutto di workshop e incontri dedicati alle diverse sfaccettature della lingua ebraica, indirizzati agli studenti del secondo anno del corso di Illustrazione e Animazione dello IED.

Per primi furono i fanciulli a raccontarci cose eccezionali sull’alfabeto. Si sa, tutte le forme sono palestra di fantasia e ispirazione della profezia che nei bambini trova una dimensione potente e aggraziata.
Il Talmud ci riporta questo aneddoto: “Oggi sono venuti gli scolari e hanno riportato concetti che neppure ai tempi di Giosuè furono insegnati con tanta sagacia. Alef Bet, aluf binà, – impara il senno. Ghimel dalet, gomel dallim – sostieni il povero”.
A sbalordire i maestri era la loro capacità di captare i simboli più nascosti: “Perché la gambetta della ghimel sembra che si diriga alla base della lettera seguente, la dalet? Per dirci che ci deve essere una propensione ad aiutare i deboli. E perché la dalet sembra appoggiarsi alla lettera precedente? Perché il povero accetta l’aiuto. Ma perché allora le rivolge le spalle? Perché è bene che chi è sostenuto non conosca l’identità del benefattore”.
Gli studenti lasciarono stupiti i loro insegnanti. Inizia così un affascinante rapporto ininterrotto, fatto di interpretazione, di simbolismo e di profondo rispetto persino del valore numerico delle parole. Le lettere sopravvivono al corpo, formano un tutt’uno con l’anima e trascendono ad ogni tentativo dei nemici di Israele di distruggerle; sapevano infatti che in quello scrigno si concentrava la forza d’Israele.
Rabbi Haninà ben Teradion fu tra i dieci martiri della repressione ai tempi di Adriano. Sul rogo venne avvolto al rotolo della legge con cui era solito studiare. Mentre le fiamme lo raggiunsero gli studenti chiesero al maestro che era un passo dalla morte, cosa vedesse.
Egli rispose: “Vedo le pergamene che bruciano ma le lettere no, vanno verso l’alto, salgono in cielo”.
In effetti, l’alfabeto ebraico ha accompagnato gli ebrei in esilio. Divenne il veicolo attraverso cui, in ogni luogo della diaspora e qui in Italia in particolare, l’identità trovava il modo più propizio per radicarsi e tramandarsi. Si pregava, ma soprattutto si imparava a leggere e scrivere in ebraico. Le lettere diventavano l’elemento artistico di sinagoghe e scuole, di dipinti e oggetti cerimoniali domestici.
Attraverso le grafiche delle lettere ebraiche che ci propongono i giovani artisti dello IED di Roma, che ne hanno studiato origini e significati, viene raccolto questo bagaglio e se ne dà una originale interpretazione.
L’occasione dell’inaugurazione della mostra Disegnare l’ebraico è lieta anche per svelare il tombino che troverà spazio per alcuni mesi qui al Meis, realizzato dall’artista Anna Stylianou per Tel Aviv, la città che è cuore pulsante del Paese protagonista della rinascita la lingua ebraica nel corso dell’ultimo secolo.
Evocando il legame tra nuovo e antico, vorrei finire raccontandovi un aneddoto simpatico, forse una barzelletta con spunti verosimili, che ci offre la misura di quanta devozione gli anziani avessero per le lettere dell’alef bet. “Un ebreo del ghetto intraprende un viaggio in Israele in aereo. Al ritorno la moglie gli apre la valigia e la trova piena di biglietti del bus, scontrini, depliant, foglietti, giornali e giornaletti e gli chiede che senso avesse tutta quella cartaccia. Con tono di severa determinazione il merito le risponde: ‘Tutto quello che mi davano l’ho conservato. Volevi forse che gettassi nella spazzatura le parole di Torah?!'”.

Rav Amedeo Spagnoletto, direttore del Meis

(Foto: Bruno Leggieri)