Questo

Primo Levi è come l’inglese: è facile se serve per fare turismo ma non per chi lo vuole studiare seriamente. Paragone suggestivo – proposto ieri da Domenico Scarpa nella presentazione della collana “questo” del Centro Internazionale di Studi Primo Levi e dell’editore Silvio Zamorani – che introduce efficacemente la ricchezza e molteplicità dei progetti del Centro, tra letture, ricerche, incontri di studio e soprattutto dialoghi.
Intrigante anche la spiegazione del titolo insolito della collana contenuta nel comunicato di presentazione: “A scuola si insegna che l’aggettivo e pronome ‘questo’ indica un oggetto vicino a chi parla e a chi ascolta. Con l’insieme della sua opera Primo Levi rilancia questa nozione elementare, avvicinando al lettore oggetti anche molto lontani dalla sua esperienza, ma rendendoli pensabili – cioè traducibili in scrittura – prima di tutto per se stesso.”
È vero, questo ha il potere di avvicinare ciò che lontano, renderlo pensabile, e non solo in Primo Levi. Penso per esempio a Leopardi che partendo da questo colle e questa siepe trasporta il lettore verso l’infinito, questa immensità e questo mare. Ma penso anche all’Haggadah di Pesach: “In che cosa è diversa questa notte da tutte le altre notti?”, “Questo pane azzimo che noi mangiamo perché lo mangiamo?”, “Io faccio questo per quello che il Signore fece a me quando io uscii dall’Egitto”.
Anche in altri contesti (per esempio a scuola) sarebbe utile ricordare che l’oscurità e l’astrazione non sono necessariamente indice di profondità così come la chiarezza e la concretezza non significano necessariamente semplicità. Anzi, la vera profondità sta proprio nella capacità rendere pensabile ciò che prima era lontano.

Anna Segre

(14 giugno 2022)