Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      15 Agosto 2022 - 18 Av 5782
IN MOSTRA A GERUSALEMME I DISEGNI DI ANNA DESNITSKAJA

Dalla Russia a Israele, in cerca di casa

Costretto a trasferirsi in Israele, l’ex rabbino capo di Mosca rav Pinchas Goldschmidt ha descritto recentemente l’emozione di tanti nuovi olim (immigrati) dalla Russia: mi sento a casa, ma allo stesso tempo in esilio. Come il rav migliaia di persone hanno scelto la strada dell’aliyah dopo aver visto il proprio paese aggredire la vicina Ucraina. Tra queste anche una illustratrice dal seguito internazionale come Anna Desnitskaya. Due settimane dopo l’attacco, Desnitskaya, il marito e i due figli hanno fatto i bagagli e hanno scelto di spostarsi in Israele da Mosca. Una scelta sofferta, ha raccontato l’illustratrice, che nel mentre ha cercato di ambientarsi nella nuova vita israeliana, integrandosi nel panorama culturale locale. Un impegno culminato nella sua prima esposizione a Gerusalemme in occasione dell’Outline Festival (17-23 agosto), rassegna dedicata al mondo dell’illustrazione nelle sue diverse declinazioni. Nella capitale israeliana Desnitskaya porta alcuni suoi famosi lavori dedicati al tema della “casa”, titolo della mostra. Nonché un richiamo alla sua condizione attuale piena di interrogativi: “Qual è il significato del concetto di casa? Dov’è casa? Può un paese straniero diventarlo? Quanto presto accadrà? E torneremo mai in Russia?”, sono le domande che si pone l’illustratrice, che a Gerusalemme propone un intreccio di lavori dedicati alle case israeliane, alla propria esperienza personale e una selezione di uno dei suoi progetti più noti: C’era una casa a Mosca (pubblicato in Italia da Donzelli).
 

 

Quest’ultimo racconta l’evoluzione della Russia attraverso l’ambiente casalingo. Nell’illustrazione del 1919, ad esempio, viene presentato un appartamento buio, disordinato, con i personaggi dai volti tristi. Nella casa del 1945, l’anno in cui finì la seconda guerra mondiale, l’ambiente invece è decisamente diverso: si vedono soldati che tornano dalla guerra, riabbracciano le famiglie, in un clima di sollievo. Si arriva fino alla caduta della cortina di ferro. 

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PAGINE EBRAICHE - LIBRI IN VALIGIA / KONSTANTY GEBERT

Dietro al muro, ignari del proprio destino

Mezzo milione di persone rinchiuse nel ghetto di Varsavia, mentre la città oltre il muro ha voltato loro le spalle. I contrabbandieri sono al lavoro e le relazioni tra i due mondi non sono completamente interrotte. Quanto però all’interno i prigionieri del ghetto siano consapevoli della situazione del paese e della guerra non è chiaro. Le informazioni passano, ma quali? Quante persone sanno della sorte degli altri ebrei polacchi e del paese? Quante immaginano il proprio destino? Sono alcuni degli interrogativi su cui riflette il nuovo studio della storica Maria Ferenc “Tutti si chiedono che ne sarà di noi. Abitanti del ghetto di Varsavia di fronte alle notizie sulla guerra e sulla Shoah”.
“Una pubblicazione monumentale di 500 pagine, preziosa per capire le dinamiche dell’informazione all’interno del ghetto e quanto i suoi prigionieri sapessero del loro destino”, spiega il giornalista polacco Konstanty Gebert a Pagine Ebraiche. Per il momento il saggio è stato pubblicato solo in polacco, “ma spero che venga tradotto presto in altre lingue: dà una prospettiva nuova non solo sul ghetto di Varsavia, ma anche sulle condizioni di persone che si trovano in una situazione impossibile da accettare e allo stesso tempo da contrastare”. E per questo, aggiunge, “ha un’importanza universale”. Ferenc, ricercatrice dell’Istituto storico ebraico Emanuel Ringelblum, ha studiato a fondo le carte dell'archivio. “Ha fatto una rilettura accurata di testimonianze pubblicate e non, della stampa clandestina, delle lettere che arrivavano all’interno del ghetto. Ne emerge che l’immensa maggioranza dei prigionieri non aveva coscienza di cosa accadesse fuori. Da qui anche il titolo del volume”. 

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UN GIORNALISTA CHE AVEVA A CUORE L'IMPEGNO DI MEMORIA

Matteo Incerti (1971-2022)

Nel 2020 Martin Adler, un veterano dell’esercito Usa protagonista nella Liberazione d’Italia dal nazifascismo, aveva espresso un desiderio: riabbracciare, a 77 anni da loro primo incontro, tre ragazzini sbucati all’improvviso da una cesta con cui si era fatto ritrarre in foto in un borgo dell’Appennino emiliano. Un’immagine, le sue parole, “di vita e speranza”. Per realizzare quel sogno c’era voluta tutta la passione civica di un giornalista, Matteo Incerti, che non solo aveva fatto da ponte tra Adler e i fratelli Bruno, Mafalda e Giuliana Naldi (i bambini della foto, da lui ritrovati dopo alcune ricerche) ma dalla storia personale del veterano aveva anche tratto un bel libro di memorie. A breve distanza sarebbe arrivato un altro regalo: l’organizzazione dell’atteso incontro, avvenuto esattamente un anno fa all’aeroporto di Bologna. “Ho aspettato questo momento tutta la vita” commenterà Adler, in posa per un nuovo scatto tra sorrisi e lacrime di commozione. La prima tappa di un viaggio nei suoi ricordi italiani che l’avrebbe portato anche al Tempio Maggiore di Roma dove l’ex soldato, che è ebreo, aveva già sostato nel ’44 “pregando per la fine della guerra, per la pace e per l’amore”. Al suo fianco l’amico e biografo Incerti. Una presenza costante in ogni passo di quel toccante itinerario. “Sei uno di famiglia ormai”, l’avrebbe ringraziato Martin.
Matteo Incerti, giornalista esperto di vicende belliche e resistenziali, è scomparso nelle scorse ore. Fatale un malore. Si trovava in Canada per presentare un suo libro dedicato alle vicende dei soldati pellerossa che liberarono l’Italia. Rachelle Shelley Adler Donley, la figlia di Martin, ha commentato così la notizia: “Il mio cuore è spezzato. Era mio amico, era mio fratello, era mio confidente. Ha regalato a mio padre un dono che non potrò ripagare”.

(Nell'immagine: Matteo Incerti con Martin Adler) 

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Il simbolo della fiamma
In risposta all’esortazione della senatrice Segre a cancellare la fiamma dal simbolo del suo partito, se davvero vuole rompere con il fascismo, Meloni ripropone la fiamma tricolore nel simbolo elettorale e si dichiara, in numerose interviste, “fiera” della fiamma. Il simbolo della fiamma, che sta probabilmente a significare lo spirito fascista che risorge, appare per la prima volta nell’emblema del M.S.I., nato nel dicembre 1946 in stretta continuità non solo con il ventennio fascista ma anche con la Repubblica Sociale Italiana, ad opera di uomini che invece di trovarsi a rispondere alla giustizia del loro operato si trovano a fondare un partito neofascista: Almirante, ex segretario di redazione de La difesa della razza, Romualdi, vice segretario nazionale del Partito Fascista Repubblicano, Graziani, ministro della difesa della RSI, e altri personaggi altrettanto compromessi nella politica della Repubblica di Salò.
Anna Foa
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Oltremare - Clima
Viviamo in un’epoca di forti confusioni climatiche, e questo vale per tutti a tutte le latitudini e longitudini. Però al prossimo europeo che mi dice eh, che caldo tremendo quest’estate, figuriamoci da voi che siete nel deserto, rido apertamente in faccia. Quel “da voi” può essere inteso come Medio Oriente, oppure come Israele o infine come la zona specifica vicino ad Ashkelon dove vivo, a scelta. E comunque sbaglia.
 
Daniela Fubini
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