LA PROTESTA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME
Monaco '72, il ricordo e le tensioni
"Trattati in modo inaccettabile"

Salvo sorprese dell’ultimo minuto, la cerimonia in ricordo della strage di Settembre Nero a Monaco di Baviera si svolgerà senza la presenza dei familiari delle vittime. Una decisione innescata dal rifiuto della compensazione offerta dal governo tedesco, ritenuta inadeguata rispetto alla gravità degli eventi e alle successive negligenze nella ricerca di verità e responsabilità. “Una presa in giro”, il messaggio inviato in risposta a Berlino. Una questione non economica ma di principio, ribadisce una delle figure simbolo di questa vicenda: Ankie Spitzer, vedova dell’allenatore di scherma Andre Spitzer. Uno degli 11 assassinati israeliani.
“Voglio un risarcimento per tutti gli errori, le bugie, le umiliazioni e gli insabbiamenti. Non c’è prezzo che si possa dare a mio marito, ma non accetto che ci venga lanciato un osso come si farebbe con un cane”, la sua dura accusa dalle colonne del britannico The Times. “Non c’era sicurezza nel 1972 – prosegue la donna – perché la Germania voleva mostrarsi diversa dopo le Olimpiadi naziste del 1936. La polizia indossava abiti azzurri. Non c’erano cani o altro. Eravamo una giovane coppia, molto innamorata. Al Villaggio olimpico siamo entrati dall’uscita, ma non ci è stato detto nulla. Non avevo nemmeno l’accredito”. Spitzer racconta di esserci tornata poche ore dopo il massacro, su esplicita richiesta delle autorità. “Ci è stato chiesto di raccogliere gli effetti personali. Ho detto: ‘Andrò nella stanza di Andre’. Al che mi è stato fatto notare: ‘Non puoi, è lì che sono stati presi in ostaggio’. Ho ribadito la mia intenzione. Sono arrivata all’edificio e, insieme a uno dei suoi ragazzi, ho aperto la porta d’ingresso. Non c’era nessuno. In mezzo alla stanza una scala a chiocciola. Chi era con me vede il sangue sui gradini e mi fa: ‘Per favore, non andare’. Gli ho risposto così: ‘Devo vedere dove Andre ha trascorso le ultime ore della sua vita’. Sono salita da sola su quella scala e mi sono guardata intorno: c’era sangue su tutto il soffitto, ovunque. L’unico oggetto che non ne era impregnato era un piccolo cane mascotte. L’ho preso, per mia figlia. Ce l’ha ancora”. Di recente i familiari delle vittime si sono rivolti al Presidente israeliano Isaac Herzog chiedendogli di boicottare la cerimonia. “Ci aspettiamo che annunci la sua defezione. Visto che le famiglie non ci saranno, lui pure non dovrà esserci”, la richiesta formulata al Capo dello Stato. Spitzer sostiene che, di fronte all’entità della compensazione prospettata dalla Germania, Herzog avrebbe commentato: “È uno scherzo, un insulto”.
(Nell’immagine: Ankie Spitzer)
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LA SIMBOLICA INIZIATIVA DELL'AMBASCIATORE ISRAELIANO A BEBELPLATZ
“La mia famiglia fuggì da Berlino nel ’33
Ora torno per rappresentare Israele”

Dopo aver presentato le sue credenziali al Presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier, il nuovo ambasciatore d’Israele Ron Prosor ha scelto un luogo simbolico per il suo primo discorso pubblico: Bebelplatz. Qui, nel cuore di Berlino, il 10 maggio 1933 oltre ventimila libri furono bruciati dai nazisti perché considerati “non tedeschi nello spirito”. Tra questi c’erano opere di Heinrich Heine, Erich Kästner, Lion Feuchtwanger e Kurt Tucholsky. “Quando quei libri sono bruciati, mia nonna, Elfriede Proskauer, ha capito che la Germania non era più un posto sicuro per gli ebrei e ha lasciato il paese con la famiglia”, ha spiegato Prosor. Non è un caso, ha aggiunto il diplomatico, se a Bebelplatz l’artista israeliano Micha Ullmann abbia deciso di incidere le parole scritte ai primi dell’Ottocento da Heine, uno degli autori censurati dal nazismo. “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”. Pochi mesi dopo il rogo di Bebelplatz la famiglia Proskauer lasciò Berlino. “Mio padre, Uri, era nato qui nel 1927”, e a sei anni trovò riparo con i nonni e genitori nella Palestina mandataria. Ora, dopo una vita in Israele, il ritorno nella capitale tedesca in veste di ambasciatore rappresenta per Prosor “la chiusura di un cerchio: per un diplomatico è uno dei ruoli professionali più importanti, ma per me ha anche una valenza personale”.
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A LUNGO PROTAGONISTA DELLA VITA EBRAICA VENEZIANA
Umberto Aboaf (1939-2022)
Non sono in grado di scrivere un ricordo biografico completo dell’amico Umberto Aboaf, che ci ha lasciati lo scorso Shabbat. Non solo non ho sufficienti elementi, ma già me lo vedo ridere sornione dietro il fumo della sua sigaretta che mi guarda come a dire: “Ma ti xe sémpio, no gò fato niente de importante”. Eppure, non posso non parlarne, perché la Comunità ebraica di Venezia senza Umberto sarebbe qualcosa di diverso, e con la sua scomparsa oggi è decisamente più povera. Parlava con orgoglio della sua famiglia di antiche origini sefardite e sentiva forte l’urgenza di contribuire con i fatti ad assicurare un futuro alla sua Comunità. Il che significava esserci sempre, mettere a disposizione quando servivano le sue braccia forti e la sua rara intelligenza organizzativa, tenendosi lontano dalle polemiche interne (ché gli ebrei, quando li metti insieme, sono sempre in contrasto fra loro per qualche motivo). Umberto è stato un uomo di mediazione, equilibrato e al contempo severo.
Gadi Luzzatto Voghera
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L'INIZIATIVA UCEI A PINZOLO
Italia ebraica, l'incontro tra Comunità

Sport, escursioni e gite. Lezioni di Torah. Iniziative di approfondimento per grandi e piccini. Serate, workshop e attività in ebraico. Si è da poco conclusa una nuova edizione della vacanza estiva organizzata a Pinzolo dall’area Educazione e Cultura UCEI guidato dal rav Roberto Della Rocca. Un momento d’incontro caratterizzato da un ampio spettro di stimoli e da una significativa partecipazione di nuclei e famiglie da tutta l’Italia ebraica.
Tanti i temi al centro del confronto, dallo “stato di salute dell’ebraismo italiano” e dalla sua capacità di affrontare sfide e opportunità al ruolo svolto dagli Italkim, gli italiani d’Israele, nella crescita e nei successi della società israeliana. Argomenti che hanno animato dibattiti costruttivi all’interno di giornate all’insegna di spensieratezza e divertimento.
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Un ripensamento necessario

“L’antisemitismo di sinistra non ha niente a che vedere con il ben noto, razzista e violento antisemitismo di destra. Deriva piuttosto da un modello di pensiero che divide il mondo in oppressi e oppressori, assegnando quest’ultima etichetta agli ebrei, visti come popolo ricco, potente e manipolatore. È un sentimento che sconfina in molto più di una legittima opposizione alle politiche dello Stato ebraico, incorporando gli antichi stereotipi antisemiti e le classiche teorie della cospirazione...”.
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Non fiori ma dibattiti e studi

Una Giorgia Meloni giovane e carina si è materializzata dal passato (dalle latebre dello scorso secolo) grazie ai misteri del video, per tessere in un carezzevole francese un tenerissimo elogio di Benito Mussolini: “Tout ce qu’il a fait, il l’a fait pour l’Italie”. Nessuno le chiese se anche certe alleanze facessero parte delle benemerenze, ma se la tendenza alla rimozione l’abbiamo tutti, potrebbe pure essere comprensibile che l’avesse anche una teenager. Inoltre, la Meloni è stata pure baby sitter di Olivia, la figlia di Fiorello, e questo – si spera – l’ha molto addolcita, sempreché non parli in quello spagnolo un tantino marziale che finisce per somigliare alla pubblicità di un liquore (“el sabor de España”).
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Falsificazione della Shoah e treni perduti

La risposta data da Abu Mazen (alias Mahmoud Abbas) ai giornalisti che a Berlino lo interpellavano a cinquant’anni dalla strage compiuta da Settembre Nero alle Olimpiadi di Monaco 1972, oltraggiosa nei confronti della storia e della memoria della Shoah e falsa rispetto alla politica israeliana, non desta nessun stupore, se riandiamo al suo passato di revisionista/riduzionista dell’Olocausto, già a partire dalla sua tesi di dottorato sul sionismo, e al suo atteggiamento perennemente ostile a Israele.
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