Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      3 Ottobre 2022 - 23 Elul 5782
L'INTERVENTO

Yom Kippur, un tesoro da proteggere

Nel giorno di Kippur aleggia nel Beth hakeneset un’atmosfera particolare, quasi magica, che non ha eguali in tutti i giorni dell’anno. La Kedushà, santità, è presente in tutti i giorni di festa, ma a Kippur si respira quella che potremmo definire “Ghilà Bir’adà”, cioè una gioia accompagnata da timore. Rudolph Otto (1869 – 1937) ha descritto questa particolarità nel suo saggio “Il sacro” e cita una delle preghiere che si aggiungono nella ‘Amidà di Rosh hashanà e Kippur:
“Perciò imprimi, o Signore D. nostro, la tua riverenza su tutte le tue opere, e il timore di te su tutto il creato. Concedi dunque, o Signore, gloria al tuo popolo, lode a coloro che ti temono…allegria alla tua terra, gioia alla tua città…allora i giusti vedranno e gioiranno, le persone rette giubileranno, i pii gioiranno…” Aspetti fondamentali del sacro, che non possono essere ridotti a espressioni puramente razionali sono ciò che Otto definisce come “numinoso” e che si esplicano in esperienze che possiamo definire a seconda dei casi come Tremendum, Mysteriosum o Fascinans. Il momento terrificante e inquietante del divino e la percezione della sua sovrana potenza (maestà) genera nell’uomo un sentimento di inferiorità. 
La partecipazione alle preghiere pubbliche di Yom Kippur rimane incisa nella mente e nello spirito, capace di produrre un cambiamento drastico nella vita di chi vi partecipa. Può essere interessante raccontare l’esperienza di tre persone che, seppure in modo diverso, ne sono state toccate. 

Rav Scialom Bahbout

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L'ACCORDO SOTTOPOSTO ALLE PARTI DALL'INVIATO USA

Confini marittimi tra Israele e Libano,
un'intesa per garantire la stabilità

Un accordo che garantirà ulteriore stabilità al Medio Oriente e soprattutto “rafforzerà la sicurezza e l’economia di Israele”. Questa la sintesi del Primo ministro israeliano Yair Lapid rispetto alla possibile intesa con il Libano per risolvere la prolungata disputa sui rispettivi confini marittimi. I governi di Gerusalemme e Beirut da due anni sono impegnati in una complicata trattativa, mediata dagli Stati Uniti, sulla questione che tocca il confine delle reciproche zone economiche esclusive. Ovvero, le aree di mare in cui ciascun paese ha il diritto esclusivo allo sfruttamento economico delle risorse marine. In questo caso si parla dello sfruttamento di alcuni giacimenti offshore, scoperti dieci anni fa e da allora al centro della disputa. Dalla bozza, presentata alle parti dall’inviato statunitense Amos Hochstein, risulterebbe un compromesso tra le rispettive rivendicazioni. In particolare il Libano dovrebbe rinunciare alle pretese sul giacimento Karish, sui cui Israele, carte alla mano, ha ribadito di avere completa sovranità. Dall’altro lato Israele andrebbe ad accettare che il giacimento di gas di Qana – di cui non si conosce ancora il valore – rimanga per lo più nelle acque economiche del Libano. 

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LA NOTA DEL MINISTERO DEGLI ESTERI

Israele si congratula con l'Italia
(e rilancia la cooperazione con l'Europa)

“Israele si congratula con il popolo italiano per la conclusione della campagna elettorale e non vede l’ora di proseguire la cooperazione e l’amicizia con il governo che verrà istituito. In particolare con attenzione a economia, energia, acqua, innovazione e cyber; oltre alla lotta congiunta contro l’antisemitismo e alla tutela della memoria della Shoah. L’Italia è un importante amico di Israele”.
È la nota inviata dal ministero degli Esteri israeliano in riferimento al risultato elettorale italiano, in attesa della formazione del nuovo governo a Roma. Un messaggio, rilanciato dall’ambasciatore designato d’Israele Alon Bar, in cui si evidenziano i solidi rapporti tra i due paesi. Allargando poi lo sguardo all’Europa per il governo di Gerusalemme in queste ore ci sarà un importante ritorno. Per la prima volta da dieci anni a questa parte si terrà infatti una riunione del Consiglio di associazione UE-Israele. La delegazione europea sarà guidata dall’alto rappresentante agli Esteri Josep Borrell mentre quella israeliana dal Premier Yair Lapid.

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IL PRESIDENTE MATTARELLA IN SINAGOGA NEL QUARANTESIMO ANNIVERSARIO

Nove ottobre 1982: memoria, storia e racconto

Una mostra e di un podcast per ricordare l’attentato palestinese al Tempio Maggiore di Roma del 9 ottobre 1982. Nella sua dimensione di atto terroristico impunito. Ma anche come ferita “ancora aperta nella coscienza civile e spirituale del Paese”. Ha più diramazioni il progetto “9 Ottobre 1982. Memoria, Storia e Racconto di un delitto dimenticato” promosso dalla Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna (Fscire) insieme all’Associazione B’nai B’rith e al Comitato per gli anniversari di Interesse nazionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, con la collaborazione della Comunità ebraica di Roma e della casa editrice Giuntina. L’occasione per parlarne una conferenza stampa tenutasi alla sala Nassirya del Senato.
“Stefano Gaj Taché era prima di tutto un bambino italiano” ha esordito la senatrice Maria Elena Boschi, richiamando le parole di Mattarella nel giorno del suo insediamento. Quel suo riferirsi, toccante e incisivo, al “bambino italiano” di soli due anni ucciso nell’attacco. Memoria viva di una lacerazione destinata a non rimarginarsi. Un esercizio “condiviso da tutti, dall’intera comunità italiana”, ha detto Boschi. Senza però dimenticare “il ritardo colpevole delle nostre istituzioni” nella ricerca di verità e giustizia. Quell’evento drammatico, le parole del rabbino capo rav Riccardo Di Segni, “ha rappresentato il culmine di una campagna diffamatoria e ostile apertasi in Italia fin dal mese di giugno di quell’anno”. Ma anche in seguito, il suo messaggio, l’Italia ha fatto molte resistenze nell’elaborare quanto accaduto. Prova eloquente “la grande fatica istituzionale” per far sì che il piccolo Stefano fosse inserito tra le vittime del terrorismo. Come annunciato dalla presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello, il Capo dello Stato sarà presente alla cerimonia che si terrà in sinagoga domenica mattina. A caratterizzarla l’ingresso di un nuovo Sefer Torah nel nome del piccolo Stefano. “Il grande tema dell’attentato - ha detto - è il diritto di Israele ad esistere. Al riguardo vorrei ringraziare chi, in questi 40 anni, ha preso posizioni chiare”. 

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LA GIORNATA IN SUO ONORE CON LE SCUOLE PROTAGONISTE

Vita e Memoria dopo la Shoah,
gli studenti ricordano Rav Laras

È il 2 ottobre del 1944 quando, in seguito a delazione, due SS italiane si presentano nella casa dell’ebrea torinese Nella Della Rocca. Pur essendo l’unico nominativo nella lista non sarà in realtà l’unica vittima della retata: nelle loro mani cadranno infatti anche la figlia Gina Sbrana e il nipotino di nove anni Giuseppe Laras. Le due donne offrono loro del denaro perché sia lasciato andare almeno il bambino; l’accordo con gli aguzzini prevede che tutti escano di casa insieme, ma che all’angolo fra corso Vittorio Emanuele II e via Accademia albertina corra via fino a una casa sicura in un altro quartiere della città. Giunti su quel marciapiede il milite non accenna però ad allentare la presa. Serve così uno strattone, a Giuseppe, per liberarsi. Il tentativo riesce. Fugge, disperatamente, lasciandosi alle spalle madre e nonna. Non le rivedrà mai più.
A ricordare quel drammatico episodio d’infanzia di uno dei più grandi maestri dell’ebraismo italiano, narrato nel libro Salvarsi di Liliana Picciotto, un evento tenutosi quest’oggi presso il Liceo Berti del capoluogo piemontese (realtà capofila della Rete Didattica della Shoah locale). Tra gli intervenuti la dirigente scolastica Filomena Filippis, l’assessora alla cultura della Città di Torino Rosanna Purchia e il presidente della Comunità ebraica Dario Disegni.

 

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IL PROGETTO DELLA COMUNITÀ EBRAICA DI TORINO

Chieri e l'antica sinagoga in vendita
"Restituiamola a una pubblica fruizione"

È quasi un secolo ormai che la sinagoga di Chieri, preziosa testimonianza del barocco piemontese, ha cessato la sua funzione originaria. Un antico retaggio trasmesso oggi altrove, negli spazi del “Tempio piccolo” di Torino dove la Tevah e l’Aron haKodesh lì traslati negli anni Quaranta del Novecento “paiono rinati per dialogare in maniera ottimale con l’ambiente circostante”. Ad evidenziarlo di recente, durante un evento per i 50 anni del Tempio piccolo, il presidente della Comunità ebraica Dario Disegni. 
Pur privato dai suoi arredi, l’edificio della sinagoga di Chieri resta un segno vivo della presenza ebraica sul territorio. Un patrimonio da non disperdere e una possibile leva per sviluppare impegni culturali ed educativi. Forte di questa convinzione Disegni, appresa l’intenzione del proprietario di cedere gli spazi, ha scelto di rivolgersi all’amministrazione comunale e alla Regione “per tentare una cordata, o qualche iniziativa analoga, per far sì che torni un luogo di pubblica fruizione”.

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 L'ALLESTIMENTO INAUGURATO A CASALE MONFERRATO

Ebraismo e sostenibilità ambientale,
una mostra per la consapevolezza

Franco Gervasio non è mai un artista banale. Anche quando usa semplicemente i colori su tela, o utilizza la luce più pura dei neon, la sua formazione di regista teatrale ai massimi livelli emerge per spettacolarizzare i soggetti delle sue opere e metterle in relazione con il messaggio che vuole trasmettere. Nel complesso ebraico di Casale Monferrato, che gli ha dedicato la mostra “Fu luce e fu paesaggio”, questa sua capacità è emersa in modo sorprendente. Gervasio ha creato una performance e una esposizione capace di legarsi sia al luogo e alle sue tradizioni, sia al tema che sta guidando questi ultimi mesi della stagione culturale della Comunità ebraica casalese: la sostenibilità.

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Libertà delle donne, libertà di tutti
Da due settimane si susseguono in Iran e si sono ormai allargate a gran parte del mondo le proteste per l’assassinio di Masha Amini, la giovane curda uccisa a Teheran per aver lasciato emergere una ciocca di capelli dal velo. Ovunque le donne si tagliano i capelli per protesta, e in alcune manifestazioni gli uomini hanno cominciato a mettersi il velo per solidarietà. In Iran ci sono stati finora oltre settanta morti per la repressione. 
 
Anna Foa
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Yamim Noraim
Non si chiamano “Yamim noraim” per niente. Da sempre faticosissimi, questi dieci giorni fra Rosh HaShana e Yom Kippur. Sfido chiunque a contarli: non sono mai dieci, ma mille o nessuno a seconda del momento in cui si è. Sono giorni elastici: pieni di cose da fare, affastellate da pause estive che neanche ci siamo accorti di aver preso.
 
Daniela Fubini
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