"Lotta al cambiamento climatico,
il mondo ebraico in prima linea"
Ambiente e giustizia climatica saranno i due temi su cui si incentrerà il prossimo appuntamento a Venezia del progetto UCEI “Diversi tra uguali” nel 75esimo anniversario della Costituzione repubblicana. Cosa si può fare, ci si chiederà in quel contesto, quando a complicare la difesa del principio di uguaglianza sancito nell’Articolo Tre è “il cambiamento climatico che, di fatto, colpisce le persone più deboli e le generazioni future?”. Un interrogativo cui molte voci ebraiche stanno cercando da tempo risposta. Tra gli altri un gruppo di rabbini ortodossi israeliani, che di recente hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui si esprime l’urgenza di intervenire con azioni incisive per garantire un futuro. Nel documento, in cui fa riferimento a numerose evidenze portate dalla scienza, l’appello al mondo ebraico è ad essere protagonista negli sforzi globali per evitare una “catastrofe climatica”. A partire da Israele, Paese che è tra i più minacciati “dal cambiamento climatico”. Ricordavano infatti i rabbini firmatari che “il Medio Oriente è un’area molto calda e secca e le proiezioni indicano che diventerà più caldo e più secco, rendendo più probabili l’instabilità, la violenza, il terrorismo e la guerra; inoltre, gran parte della popolazione e delle infrastrutture di Israele sono minacciate dall’innalzamento del Mar Mediterraneo”. Ridurre il cambiamento climatico deve essere pertanto “un obiettivo centrale della vita ebraica”. L’invito a rabbini, educatori, leader ebraici, scuole e sinagoghe, è a compiere “passi importanti per aumentare la consapevolezza, anche rispetto alle azioni che devono essere compiute”. Mentre la richiesta alle istituzioni israeliane è di passare “da un uso diffuso di combustibili fossili a un’attenzione maggiore sulle fonti di energia rinnovabile come il solare e l’eolico”. Secondo rav David Rosen, direttore internazionale degli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee e tra i 43 firmatari, non vi sarebbe tema più importante del cambiamento climatico: “Di tutte le cose molto significative che devono essere fatte nel nostro mondo, qual è il loro valore se vogliamo distruggerle tutte? La nostra responsabilità è un imperativo fondamentale per la sopravvivenza della vita sulla terra stessa”. La pensava così anche rav Jonathan Sacks, storico rabbino capo d’Inghilterra e del Commonwealth: “Se interpretiamo il nostro ruolo di padroni della terra come un’opportunità unica per servire veramente e prenderci cura del pianeta, delle sue creature e delle sue risorse, allora potremo davvero rivendicare il nostro status di amministratori del mondo e far crescere le nuove generazioni in un ambiente molto più vicino a quello dell’Eden”.
Il cimitero di via delle Vigne è uno dei luoghi più rappresentativi della Ferrara ebraica. Uno spazio ricco di storie e testimonianze, come i due monumenti freschi di restauro mostrati oggi al pubblico in occasione di una cerimonia istituzionale dal forte significato. In uno si ricordano i militari ebrei caduti nello svolgimento della Grande Guerra. L’altro, opera dello scultore Arrigo Minerbi, celebra invece nello specifico l’eroe dell’aviazione Pico Deodato Cavalieri.
Entrambi i progetti di restauro (il primo avviato da un’iniziativa della Comunità ebraica, il secondo da un impegno dell’amministrazione comunale) sono stati sostenuti dal Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah, per essere poi selezionati nell’ambito di un bando promosso dal Comitato tecnico-scientifico speciale per la tutela del patrimonio storico della Prima Guerra Mondiale in funzione all’interno del Ministero della Cultura.
La cerimonia – cui erano presenti autorità civili, militari e religiose, oltre alla associazioni combattentistiche e d’arma cittadine – ha visto l’intervento dell’assessore comunale alla Cultura Marco Gulinelli, del presidente della Comunità ebraica Fortunato Arbib, del rabbino capo rav Luciano Caro, del direttore del Meis rav Amedeo Spagnoletto e di Daniele Ravenna, componente del comitato tecnico-scientifico ministeriale.
Ebraismo e laicità, studiosi a confronto
nel ricordo di Bruno Di Porto
Fondatore e anima della rivista “Hazman Veharaion – Il Tempo e L’Idea”, oltre che autore di una miriade di pubblicazioni e saggi, Bruno Di Porto (1933-2023) è stato fino all’ultimo uno dei più autorevoli e appassionati studiosi delle vicende dell’ebraismo italiano. Un impegno nato ai tempi dell’università, con la discussione di una tesi sulle minoranze religiose durante il Risorgimento. A ricordarne il lascito, a cinque mesi dalla scomparsa, una giornata di studi su “Laicità ed ebraismo” indetta dal Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici dell’Università di Pisa insieme alla Domus Mazziniana. Un’occasione per ricordarne i meriti e il suo essere stato, negli anni di docenza universitaria e direzione della stessa Domus Mazziniana, oltre che in molte altre vesti sia pubbliche che private, “un punto di riferimento per generazioni di allievi, studiosi e cittadini che trovavano in lui una capacità di accoglienza e una volontà di un confronto civile e responsabile senza pari”.
“Ha affrontato le difficoltà della sua vita non rinunciando mai a sorridere, aiutando gli altri con profondo pudore, senso di giustizia e grande ingenuità”. Così Alain Elkann nel ricordare la madre Carla Ovazza, nel corso di una serata svoltasi nel centro sociale della Comunità ebraica di Torino nel centunesimo anniversario dalla nascita. Le diverse testimonianze, moderate dal presidente della Comunità Dario Disegni, hanno permesso di ricostruire vari aspetti della sua vita e personalità. Guardando anche all’impegno profuso da Ovazza nel contesto comunitario.
Ci ha lasciato ieri, a quasi 91 anni, Lidia Gallico. Questa immagine del 2016 la ritrae tranquilla e serena, soddisfatta per l’interesse suscitato dal suo lavoro Una bambina in fuga – testo pubblicato nel 2016 da Gilgamesh Edizioni per la curatela di Maria Bacchi, e già raccontato per questi notiziari.
Lidia è stata tante cose: una bambina felice, prima di essere una bambina ebrea braccata e costretta a nascondersi prima e a cercare riparo in Svizzera poi. Qui per Lidia la scrittura è la vita, parafrasando Jorge Semprún: nel suo primo diario, personale ed intimo, la ragazzina può liberamente lasciar fluire le preoccupazioni proprie della sua età, tra scuola e amicizie, gravate però dall’esperienza dell’esilio e della discriminazione. Lidia sarà poi un’adolescente dolorosamente consapevole di aver vissuto una guerra del tutto diversa da quella delle sue coetanee non ebree, una studentessa di lingue e insegnante di inglese, moglie e madre di tre figlie, nonna di cinque nipoti, scrittrice.
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