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Nel sesto e ultimo capitolo di Avòt, che leggeremo Shabat prossimo, nella sesta Mishnah è detto che uno dei 48 requisiti fondamentali con cui si acquisisce la Torah è l’amore per i rimproveri. Per far sì che quello studio della Torah che si è svolto domenica scorsa nella maggior parte delle nostre Comunità non si riduca soltanto a un evento scoop domenicale, ma possa viceversa trasformarsi in qualcosa che accompagni il nostro vivere quotidiano, non possiamo non prendere sul serio tutte le critiche costruttive che ci sono arrivate.
Qualcuno ci ha ammonito perché a questa prima edizione di Yom Ha Torah sarebbe stata data un’impostazione troppo rabbinica alla giornata, qualcun altro ha scritto su questa testata che nei vari programmi non compariva alcun contributo femminile, altri hanno lamentato una pubblicità poco adeguata all’iniziativa, altri quella di una scelta infelice della data coincidente con un periodo dell’anno in cui sta per concludersi la scuola. Insomma tutti temi da prendere in considerazione per fare meglio e di più.
La cosa importante è che queste giuste ragioni non costituiscano per alcuni un paravento ideologico per non studiare e per non impegnarsi. Lo studio della Torah deve aiutarci a prendere coscienza di quanto siamo mancanti e inadeguati al fine di crescere e migliorarci. La giornata di domenica ci ha indicato che, nonostante gli sforzi, le energie profuse e la partecipazione di molti, siamo ancora molto distanti da quella mobilitazione di massa che le nostre Comunità sanno attivare in occasione di momenti pubblici dell’anno nei quali piuttosto che guardare dentro noi stessi preferiamo essere guardati e mostrare le nostre belle scatole vuote.
Dobbiamo convincerci e riuscire a convincere le future generazioni che la vuotezza di queste scatole possiamo riempirla solo attraverso uno studio serio e quotidiano svolto con umiltà ed entusiasmo. Un chazak uvarukh a tutti coloro che in questi giorni di freddezza hanno saputo riscaldare i nostri cuori e le nostre teste.

Roberto Della Rocca, rabbino