Jan Karski. Una missione per l’umanità

Nella prestigiosa cornice della Sala Napoleonica del Rettorato dell’Università degli Studi di Milano, il Consolato generale della Repubblica di Polonia a Milano, i dipartimenti di Lingue e Letterature Straniere e di Studi Storici dell’Università, e il Museo della Storia della Polonia hanno convocato, il 13 maggio, una giornata di studi dedicata a “Jan Karski. Una missione per l’umanità”. L’eroe Jan Karski, polacco, americano, inviato segreto dello Stato clandestino polacco e del governo in esilio della Repubblica Polacca durante la seconda guerra mondiale, portò in Occidente informazioni sulla vita nella Polonia occupata e sulla politica tedesca di sterminio contro gli ebrei. Yad Vashem lo ha riconosciuto Giusto fra le Nazioni.
Alla giornata di studi sono seguite la presentazione del libro di Jan Karski La mia testimonianza davanti al mondo. Storia di una Stato segreto. (Adelphi, 2013) e l’inaugurazione della mostra Jan Karski. Una missione per l’umanità, accompagnata da una breve pubblicazione che sintetizza la vita di Jan Karski. In essa, Robert Kostro, Direttore del Museo di Storia della Polonia, accenna appena, con mano molto leggera, al tema che intendo sviluppare in questo articolo: “Nella figura di Karski si intrecciano e si uniscono i temi della guerra e della tragedia del popolo ebraico – uno dei più importanti nel dibattito internazionale sulla storia più recente – e quello della Polonia occupata. Le vicende di Karski aiutano a comprendere le complesse relazioni tra polacchi ed ebrei, tra Cristianesimo e Giudaismo durante la seconda guerra mondiale. Jan Karski appartiene al non esiguo numero di polacchi che si impegnarono attivamente nel portare aiuto agli ebrei. La sua posizione è, nel contempo, un’accusa nei confronti di quanti – in Polonia, in Europa e negli Stati Uniti, si mantennero indifferenti di fronte all’Olocausto.”
Carla Tonini si è soffermata ad analizzare anche quelle complesse relazioni, e le ha esemplificate con le diverse reazioni intellettuali e morali di Karski e di altri. Per Karski, la tragedia svoltasi durante quella guerra fu l’occasione per una svolta generazionale: di fronte allo sterminio in atto, decise che, dopo la guerra, non avrebbe più considerato gli ebrei come esseri da odiare e segregare. Altri invece pensarono che era doveroso aiutare gli ebrei nel momento della minaccia mortale, ma per riprendere poi, a guerra conclusa, il consueto atteggiamento discriminatorio e punitivo nei loro confronti.
Particolare agghiacciante, riferito da Ewa Wierzinska: quando, il 16 maggio 1943, dopo 27 giorni di eroici combattimenti, la rivolta del Ghetto di Varsavia fu repressa con l’incendio totale del Ghetto, era in funzione, in un quartiere limitrofo, un luna park. Gli ignari gaudenti polacchi, sui sedili appesi a catene di una “giostra volante”, si divertivano ad acchiappare brandelli di cenere volteggianti nell’aria, ignorando trattarsi di cenere dei corpi umani degli insorti.
L’inviato segreto Karski, dopo rocamboleschi attraversamenti di confini e linee di fuoco, porto’ al ministro degli esteri britannico Eden e al Presidente Roosevelt la notizia dello sterminio in atto. Non meno agghiacciante la risposta di Eden: la mia priorità è battere militarmente la Germania nazista, non aiutare gli ebrei. E poco più tiepida fu, come noto, la reazione del Presidente degli Stati Uniti. Nel tentativo di smuovere l’opinione pubblica, Karski si rivolse allora al Giudice federale Felix Frankfurter, il cui cognome ne denunciava l’appartenenza a famiglia ebraica, che si mostrò incredulo. Il Console polacco che accompagnava Karski chiese al Giudice: “Lei non crede alle parole di un inviato del Governo polacco?” e il Giudice rispose: “Non ho detto che non gli credo, ho detto che non posso credergli”.
Palpabile l’assenza quasi totale e il pneumatico silenzio dell’ebraismo milanese, pur invitato dal Consolato generale alla manifestazione nelle sue principali componenti rappresentative e culturali. Chi scrive, non investito di alcun mandato di rappresentanza e presente solo a titolo personale, ha ritenuto di non perdere l’occasione offerta dalla prof.sa Tonini col suo breve cenno alle diverse reazioni intellettuali e morali di Karski e di altri appartenenti al non esiguo numero, per un intervento estemporaneo in cui, pur encomiando il lodevole atteggiamento delle attuali Autorità polacche, volto ad accompagnare l’elevazione culturale della popolazione verso la cancellazione dell’ancestrale e plurisecolare atteggiamento antigiudaico e antisemita, ha sottolineato il coraggio con cui la prof.sa Tonini ha messo sul tavolo il problema del quasi endemico antisemitismo popolare.
Se lo scopo dichiarato di questi sforzi è di porre le premesse perché l’antisemitismo popolare sia eradicato, o quanto meno attenuato, non ce la si cava, ha sostenuto lo scrivente in quell’intervento, senza mettere chiaramente sul tavolo il problema delle radici di quell’antisemitismo. Radici storiche ben note, e che è inutile e invalidante sottacere. Nel lungo periodo storico se ne possono rintracciare due, una storicamente “occasionale” ed una assai più remota. La prima. Come sappiamo, nei primi secoli dell’Era Moderna, molti feudatari dello Stato unificato di Polonia e Lituania erano analfabeti, e si servivano di ebrei per l’esazione delle tasse da contadini e borghesi. L’obbligo halachico dello studio e dell’insegnamento della Torah faceva sì che non esistesse analfabetismo presso gli ebrei, e ciò, unito alla rigida osservanza del comandamento a non mentire, li rendeva esattori ideali per principi non in grado di controllarli. Nel corso delle generazioni, l’identificazione dell’ebreo con l’esattore di tasse spesso esose, perché di importo determinato da beneficiari non a contatto con la realtà popolare, ha finito col creare un odio profondo e indifferenziato.
La seconda radice è assai più remota. Si innesta sullo storico antigiudaismo teologico cristiano, e in particolare cattolico. La Polonia è il più grande Stato cattolico dell’Europa orientale (ed ancor più lo era quando era unita con la Lituania), e si capisce come il problema dell’antigiudaismo religioso sia quivi importante e nessuno sforzo di eradicazione dell’antisemitismo possa prescinderne.
Apriti cielo! Al di là dei numerosi consensi, sapevo di toccare un nervo scoperto. La moderatrice della sessione, Bianca Valota, ha subito precisato che il problema è non solo polacco, ma europeo e mondiale. Lo sappiamo, ma quelli polacco e lituano sono proverbiali. Podbielkowski, con malcelata irritazione e una certa sovrainterpretazione delle mie parole, ha respinto l’immagine di un popolo polacco che abbia bisogno di essere educato dalle proprie Autorità al rifiuto dell’antisemitismo. Era presente in sala la figlia del cartografo e artigliere di “Pippo”. Chi, come me, ha vissuto gli anni della seconda guerra mondiale, ricorderà le imprese di questo imprendibile piccolo aereo da turismo che, eludendo la sorveglianza antiaerea (il radar, inventato in quegli anni in Gran Bretagna, non era ancora a disposizione dell’antiaerea italiana: gli allarmi aerei erano dati con pochi minuti di anticipo sull’incursione, grazie a enormi raccoglitori di onde acustiche piazzati sulle Alpi in prossimità dei confini) seminava il panico con bombardamenti piccoli, ma mirati e indisturbati. La figlia di quel combattente, sventolando la foto del padre, ne invocava la figura a riprova della volontà antifascista del popolo polacco. E, durante la pausa dei lavori, un sacerdote cattolico polacco mi ricordava con sorridente severità la battaglia di Leopoli (1673) come riprova dell’autonoma capacità del popolo polacco di rivendicare la propria indipendenza dall’impero Ottomano. Come se tutto questo c’entrasse col problema da me sollevato…..
I magisteri di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e la dichiarazione conciliare Nostra Aetate dell’ottobre 1965 hanno fatto molto per stigmatizzare gli errori della millenaria predicazione cattolica antigiudaica, e lasciano sperare che l’umanità non assista più a pogrom. Nella scia di questi autorevoli, a lungo attesi ravvedimenti, è perfettamente consono che anche il sentimento del cattolico popolo polacco si riorienti in senso non più antisemita. Ma la ricerca della verità storica non può prescindere dalle funeste conseguenze di quei millenari errori, e una seria indagine quantitativa sull’effettivo numero della “non esigua minoranza” citata da Kostro e impersonata da Karski sarebbe tema di ricerca di fondamentale interesse e attualità.

Aurelio Ascoli

(23 maggio 2013)