“Un patto contro il radicalismo
ma dobbiamo metterlo in pratica”

patto_islam_italiano_17“Un giorno importante, un passaggio utile per il presente e il futuro del nostro Paese attraverso il dialogo interreligioso”. Così il ministro degli Interni Marco Minniti commentava ieri la firma del “Patto nazionale per un Islam italiano”, siglato da undici associazioni rappresentative del mondo islamico italiano. Un accordo diretto a tutelare la libertà di culto in Italia e il cui pre-requisito, ha dichiarato il ministro Minniti, è il ripudio “di qualsiasi forma di violenza e terrorismo”. “È un patto – ha spiegato Minniti – che allude in prospettiva ad un’intesa. L’hanno firmato associazioni che hanno storie e sensibilità differenti e che in altri momenti non avrebbero sottoscritto un documento comune. Tutti i firmatari si sono impegnati a rifiutare qualunque forma di guerra e di terrorismo”. “Sono molto felice di questa firma. È un accordo che riconosce il valore delle diverse anime interne al mondo islamico – spiega a Pagine Ebraiche Maryan Ismail, dell’Associazione madri e bimbi somali di Milano – Abbiamo lavorato tutti insieme, dalla Coreis all’imam di Roma, a tutte le comunità coinvolte, per raggiungere questo risultato. Si tratta di un primo passo per il riconoscimento di vari protocolli d’intesa specifici per ciascuna delle entità firmatarie come avviene all’interno del mondo cristiano in Italia”. Secondo il vicepresidente della Coreis (Comunità Religiosa Islamica), l’imam Yahya Pallavicini, tra i firmatari dell’accordo, “tutto dipenderà da come verrà messo in pratica. Capisco le esigenze del Viminale che con questo patto ha voluto che si arrivasse un segnale chiaro e coeso dell’impegno dell’Islam italiano contro il radicalismo. Anche se, per quanto riguarda la Coreis, facciamo già questo lavoro. Detto questo, c’è molto da costruire ora, la base si fonda su un’intenzione condivisa, ma metodi, contenuti e strutture organizzative saranno fondamentali perché questo segnale politico importante si concretizzi”.

Il patto è suddiviso in dieci punti che impegnano sia le undici associazioni islamiche (che rappresentano il 70 per cento dei musulmani italiani) sia lo Stato. All’interno dell’accordo, la formazione di imam e guide religiose, primo passo verso la formazione di un albo degli imam vero e proprio. Una formazione a cui potranno, sottolinea Ismail, partecipare anche le donne. “Io sarò la prima e spero che tante altre seguano il mio esempio”. Il ruolo delle donne all’interno dell’Islam è uno dei temi di cui Ismail rivendica l’importanza. “L’Islam non è l’Hijab (il velo che copre il capo delle donne). Io non sono contro, non lo metto ma scendo in piazza per quelle donne che vogliono metterlo. Allo stesso tempo è fondamentale che le donne che portano l’hijab scendano in piazza per difendere noi che non lo mettiamo”.

Una condivisione di principi che il patto siglato con il Viminale dovrebbe aver tracciato e in cui Ismail spiega di voler inserire anche la lotta all’antisemitismo. “All’interno del mondo islamico è innegabile che ci sia antisemitismo. È inutile anche fare distinzioni, come ha fatto la consigliera comunale di Milano in un programma televisivo (il riferimento è alla consigliera Sumaya Abdel Qader), dicendo di essere antisionisti perché, come ha detto Napolitano, l’antisionismo è antisemitismo. E lavorerò perché ci sia un dibattito serio su questo”.
Anche l’imam Pallavicini sottolinea come il problema del pregiudizio antisemita sia presente nel mondo islamico italiano e internazionale e come manchi un dibattito e un confronto aperto su questo tema. “Purtroppo ci sono troppe prese di posizione di pancia e non di cervello. Noi parliamo con il secondo ma dobbiamo trovare una soluzione per chi pensa solo con la pancia. La difesa dell’identità ebraica è qualcosa di non negoziabile, e deve esserlo per tutte le associazioni che hanno firmato con lo Stato”.

Trasparenza e tracciabilità è un altro dei temi cardini dell’accordo con il Viminale, che sia Ismail sia l’imam Pallavicini chiamano in causa. Il finanziamento delle moschee e delle associazioni, sottolineano entrambi, deve essere limpido e trasparente, in modo che non ci siano dubbi sulla provenienza. “Ma anche la certezza della provenienza – sottolinea Pallavicini – non è una garanzia. Dobbiamo anche essere sicuri che Stati finanziatori non influenzino le politiche delle singole realtà musulmane in Italia. Non possiamo avere realtà ostaggio di Paesi stranieri”.

Daniel Reichel @dreichelmoked

(2 febbraio 2017)