La ricerca, la guerra

Tobia ZeviQualche settimana fa ho visitato il museo della Seconda Guerra mondiale di Boston, in un sobborgo della città. Ci sono finito per caso, su suggerimento di Coralie Bonnet, un’amica belga che gestisce il museo di Bastogne, città teatro di un epico scontro bellico. E così ho scoperto un personaggio notevolissimo, Kenneth W. Rendell, di cui il museo è in realtà parte della collezione personale. Nato nel 1943, ancora ragazzo scoprì che gli oggetti hanno un valore: si poteva ad esempio comprare uno scellino antico e rivenderlo guadagnandoci, e in più divertirsi.
Dopo essersi dunque dedicato ai preziosi, che continua a collezionare e vendere, nel 1959 Rendell cominciò a raccogliere materiali, oggetti, documenti sull’Ultima guerra, scegliendo sulla base del proprio interesse personale. Fino agli anni Novanta accolse soltanto reperti dei “buoni”, cioè dei soldati americani o comunque della società USA degli anni della guerra; nell’ultimo trentennio, invece, Rendell ha cercato anche relitti di nazisti e giapponesi, che arricchiscono ulteriormente la sua ricchissima collezione.
Nel museo si trovano un enorme carro armato americano e le stoviglie del bunker di Hitler, i manifesti per invitare i giovani americani ad arruolarsi e i fucili dei vari corpi d’armata alleati, e molto altro ancora, tutto affastellato. Nei prossimi mesi dovrebbe vedere la luce un nuovo edificio, finanziato completamente dalla collezione stessa e dai privati, grande più del doppio di quello attuale. Ma nell’atmosfera un po’ irreale di questa esposizione si può respirare l’anima della Wunderkammer secentesca, degli oggetti che prendono vita grazie all’accostamento ardito e non sempre ordinato.
Mi ha fatto riflettere, Kenneth W. Rendell. In due modi: innanzitutto, nella vita bisogna seguire e non ostacolare le proprie inclinazioni, anche quando possono deviare in una piccola ossessione. Tutti siamo il prodotto delle nostre stranezze, e sono queste la parte spesso più interessante della nostra personalità. Inoltre, nel giorno in cui si parla delle fake news e delle polemiche sul 25 aprile, è importante sottolineare un altro elemento. Lo studio della storia è sempre un percorso personale, discrezionale, per definizione vocato all’incompletezza. Il Museo di Boston non è tanto interessante per capire la Seconda guerra mondiale, quanto per scoprire lo straordinario sentiero di ricerca individuale e profondissima di Rendell, diverso da quello di ogni altro essere umano, forse stimolante per altri originalissimi sentieri.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Twitter: @tobiazevi

(25 aprile 2017)