…negazionismo

Apprendiamo con un certo stupore che l’Università di Padova ha ospitato un seminario in cui si è discusso il volume curato da Damien Short dal titolo Redefining genocide: settler colonialism, social death and ecocide. Fermo restando il diritto di chiunque di sostenere tesi storiche e sociali anche molto discutibili, siamo anche noi liberi di contestarne la natura scientifica e di metterne in rilievo gli aspetti strumentali e allarmanti. Se si affermasse la teoria sostenuta nel volume curato dal Dr Short andrebbe in crisi nella sua totalità la grande esperienza di rapporti proficui fra istituzioni ebraiche e amministrazioni pubbliche (istituzioni, scuole, centri di cultura, comunità religiose) che da decenni collaborano lavorando sul principio che fare Memoria della Shoah serva a spiegare le dinamiche malate del nostro presente. Com’è noto la definizione di Genocidio è stata ideata da Raphael Lemkin per descrivere in origine lo sterminio degli Armeni, ed è stata in seguito allargata allo sterminio degli ebrei in Europa. Successivamente il concetto ha assunto un valore anche giuridico, legato alla necessità di perseguire per via giudiziaria il crimine di Genocidio, e attualmente esiste una letteratura normativa di rilievo che si pone a fondamento di imprescindibili istituzioni sovranazionali come il Tribunale Penale Internazionale con sede all’Aia, che di recente ha perseguito e condannato i responsabili dei crimini di Genocidio nei Balcani.
L’ipotesi avanzata nei saggi contenuti nel volume propone di guardare a quattro episodi di violenza, segregazione e espulsione (Palestina, Sri Lanka, Australia e Alberta-Canada) proponendo di non considerare più solo il diretto massacro come elemento caratterizzante il Genocidio, ma allargando questo concetto a episodi di malversazione che a vario titolo e con diverse dinamiche producono grandi spostamenti di popolazioni e importanti mutamenti nella geografia umana. È del tutto oscuro il rapporto storico fra le quattro diverse realtà prese in esame, naturalmente l’articolo di apertura riguarda il conflitto Israelo Palestinese. Si tratta di una tesi che colpisce intenzionalmente il valore paradigmatico assunto negli ultimi anni, anche dal punto di vista concettuale, da crimini come lo sterminio degli ebrei in Europa. La distinzione, a nostro modo di vedere, è e resta netta: quando siamo in presenza di un progetto programmatico e attuato in maniera consapevole e prioritaria di eliminare un intero gruppo umano (gli armeni in Turchia, gli ebrei in Europa – e anche nella Padova dell’Università in questione (!), i tutsi in Rwanda, i musulmani in Bosnia) si parla di Genocidio. Quando ci si trova in presenza di situazioni di oppressione e di conflitto che prevedono anche gravi lutti e stragi insopportabili, ma che non seguono una politica di eliminazione radicale di un gruppo etnico o religioso, siamo di sicuro di fronte a una tragedia, ma non si tratta di Genocidio.
Non possiamo che dirci allarmati nel vedere edulcorato e in qualche modo diluito il concetto di Genocidio da una teoria storico sociale di cui proprio non si sente il bisogno (perché chiamarlo proprio Genocidio?), e naturalmente non possiamo che denunciare con forza l’assunto – tipico delle teorie negazioniste – per cui lo stato d’Israele – al quale la comunità ebraica è legata da stretti rapporti di amicizia e da relazioni storico-religiose – abbia mai attuato in maniera programmatica un progetto di genocidio della popolazione palestinese.
Resta fastidioso il fatto che un’Università italiana – abituata a collaborare e a promuovere azioni coerenti con il progetto culturale e pedagogico che si pone alla base del lavoro sulla Memoria della Shoah – offra spazio e legittimità a teorie proto scientifiche che nei fatti si riducono a mere provocazioni. Si tratta di un danno importante al lavoro continuo in cui le comunità ebraiche sono impegnate, accanto agli uffici scolastici, alle istituzioni pubbliche e all’Università nelle numerose iniziative legate alla valorizzazione del concetto di Memoria dei Genocidi.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC

(12 marzo 2017)