Ticketless – Par condicio

cavaglionLa questione della intitolazione di due piazze di Roma, una a Toaff e una a Arafat, ha messo al centro del dibattito un tema, quello dei contrappesi. Un fenomeno ben noto, e non da ieri, a chi conosce il mondo dei libri, delle terze pagine dei quotidiani o degli inserti. A far data dal 1982 la recensione di un libro di storia degli ebrei o della Shoah è stata spesso abbinata (stessa pagina, stessa dimensione, titolazioni allusive) a una recensione sulla questione palestinese. Avevo iniziato a raccogliere in una cartelletta gli accostamenti più bizzarri, per la semplice (e deprecabile) ragione che talvolta mi toccavano da vicino. Vanitas vanitatum, commenti a lavori miei o di amici a cui voglio bene. Sia bene inteso. Onestà vuole che assai spesso sia accaduto di notare che il libro sulla questione palestinese fosse cosa più degna del mio libro o di quello del mio amico. O più acuto fosse il recensore del libro sul Medio Oriente del suo antagonista, stolido commentatore chiamato a comporre il soffietto di un lavoro zoppicante. L’ingegno umano, è noto, soffia dove vuole, come il vento: non bada alle nostre volgari simpatie di parte. È il metodo che infastidisce e che non ha eguali in altre tragedie umane: nel peggiore dei casi si è trattato di un segno subliminale del luogo comune secondo cui le vittime di ieri sono diventate i carnefici di oggi; nel migliore dei casi un segno di immaturità (nemmeno così deprecabile, una umana debolezza) da parte di chi cucina gli inserti culturali e non vuole offendere nessuno. Dalle debolezze giornalistiche alla toponomastica urbana il passo è stato breve.

Alberto Cavaglion

(16 agosto 2017)