La Cittadella di Barletta

lotoroAdolf Hitler era un imbianchino, anche se si definiva un pittore (dipinse tele e acquerelli di scarso valore); il comandante di Treblinka Kurt Franz era stato un modesto cuoco; l’essere più crudele delle SS ossia Heinrich Himmler, prima della Guerra, allevava polli e vendeva fertilizzanti.
Senza mancar rispetto a lavori nobili e uomini che di tali lavori vivono dignitosamente, nel secolo scorso l’ebraismo d’Europa e la storia dell’Umanità sono stati stravolti e irrimediabilmente deturpati da esseri mediocri e gente che sbarcava il lunario; per tacer di stuoli di giovani tedeschi e austriaci che non riuscirono a laurearsi o finire gli studi e nell’ideologia nazionalsocialista trovarono terreno fertile per riscattarsi da fallimenti professionali, rancori esistenziali e frustrazioni di varia natura.
Perché diventò così importante per un musicista fare e scrivere musica nei Campi? La risposta migliore è quella di Emile Goué, geniale compositore francese prigioniero di guerra nell’Oflag XA Nienburg am Weser deceduto un anno dopo la liberazione per una malattia contratta nel Campo: “La musica non era un intrattenimento o un gioco ma la stessa espressione della nostra vita interiore. Facevamo musica molto seriamente, senza alcuna ironia. Era impossibile fare grandi cose senza convinzione e questa convinzione che l’artista deve portare al suo lavoro non è altro che credere nella necessità di ciò che scrive”.
In tal modo si spiega la creazione di tanta musica in Lager e Gulag come forma evoluta di elettromagnetismo dello spirito capace di tramutare la negatività del luogo fisico (il Campo) in positività del luogo spirituale (mente, intelletto, cuore).
Strumento di Resistenza tramite la Bellezza, la musica in cattività stravolge ogni statement della poetica ed estetica post–concentrazionaria; una Storia della Seconda Guerra Mondiale è letteralmente inconcepibile senza l’asse portante della creatività artistico–musicale nei Campi.
Occorre fare molto di più che recuperare la musica prodotta in prigionia civile e militare dal 1933 al 1953; urge ricostruire scuole e ospedali dell’ingegno umano alla pari dei rispettivi luoghi fisici distrutti dalla Guerra, ripristinare una Storia della culture e dell’estetica del Novecento allargata alla fenomenologia musicale concentrazionaria come criterio discriminante dello studio del sec. XX.
Bisogna mostrare attenzione e rispetto nei riguardi di tutti coloro che hanno perso la vita nei Campi e ancora una volta la musica è l’unico elemento della natura e della civiltà umana che tutto avvolge, ammanta in una sorta di pietas dell’intelletto artistico.
La musica non livella dall’alto verso il basso e non discrimina ma ingloba e tutto comprende, nel senso latino del termine ossia comprehendo (prendo tutto con me); dobbiamo intraprendere una vasta operazione di “comprensione” di questa musica come se fosse un unico grande linguaggio e ovunque essa sia stata concepita sotto qualunque tipologia di cattività.
Il capolavoro musicale sarà sempre tale e la canzoncina di modeste pretese lo sarà altrettanto; ma tutto ciò, nello sviluppo della ricerca musicale concentrazionaria, non ha alcuna importanza poiché il valore estetico di un’opera segue, non precede la ricerca.
La memoria non è un optional dell’intelletto ma è il vero muscolo dello spirito e dell’ingegno e trova la sua più estesa manifestazione creativa nella musica: c’è chi, spinto da spirito paleontologico, cerca le ossa dei dinosauri e le espone nei musei ma chi ricerca questa musica cerca le orme (partiture) dei dinosauri (compositori che crearono in cattività).
L’orma è vita ed è stata lasciata da un essere vivente mentre le ossa sono invece indicatori organici di esseri morti e decomposti; l’orma indica cosa l’essere mangiava, se era in branco o era solitario.
Come per i carotaggi nei ghiacci polari e nei terreni da edificare, i carotaggi di ricerca musicale nei Campi sono preziosissimi, indispensabili per riportare alla luce le orme dei musicisti giganti del genere umano annientati dal meteorite impazzito della Guerra.
Buchi neri capaci di divorare carne e civiltà umana riportando la clessidra della Storia alla barbarie, Lager e Gulag diventarono fabbrica di sogni, monumentali industrie di arte e scienza musicale capaci di riavviare l’orologio della vita dell’intelletto a dispetto della fissità del tempo concentrazionario.
In un’intervista pubblicata su Patria Indipendente il 20 giugno 2010 il compositore ebreo italiano Vittorio Rieti, emigrato negli USA al tempo delle leggi razziali (i suoi parenti perirono a Birkenau) disse: «La cosa peggiore è essere sopravvissuti a tutte le persone care e ritrovarsi a vivere in cima alla montagna dei ricordi»; la musica concentrazionaria tramuta in presente la Storia, la blinda da revisionismi e riduzionismi del passato e la consegna al futuro.
Fare e scrivere musica non alienava il deportato dal mondo ma lo comprimeva come una palla spugnosa perché esso entrasse tutto nel Campo; scrivere musica placava gli istinti onnivori della mente, forniva un senso di leggerezza rispetto alla insopportabile pesantezza del luogo, era strategia collettiva di sopravvivenza, tragicamente utilizzata dall’orchestra femminile di Auschwitz II Birkenau per soffocare le urla delle vittime durante la gasazione tanto quanto dall’orchestra dell’Oflag di Colditz per coprire – particolarmente nei forti dell’orchestra – le manovre di evasione di commilitoni.
Chi salva una vita salva il mondo intero, è scritto nel Talmud Bavli; non abbiamo potuto salvare la vita di gran parte di questi musicisti ma abbiamo salvato la loro musica e questo equivale ad avergli salvato la vita nel suo significato, universale, metastorico e metafisico.
Siamo andati a recuperare la vita dove c’era la morte; con la loro morte ci hanno comandato la vita.
Per questo oggi, sulle ceneri pietrose della ex Distilleria di Barletta, nasce la Cittadella della Musica Concentrazionaria (nella foto, veduta aerea del progetto), cui progetto è stato presentato domenica 17 settembre a Barletta; oceani di musiche, pensieri, storie e sofferenze di interi popoli che un pianista ha drenato verso Barletta e un altro visionario, l’architetto barlettano Nicolangelo Dibitonto, ha tramutato in linee, grafici, capriate e spazi.
In attesa di piantare la prima pietra così che tutto diverrà cemento, marmo, ferro, scale, scaffali, aule, palcoscenico, porte che si aprono per tutti coloro che ameranno questo Hub mondiale della musica più geniale del Novecento.
La Cittadella è ormai allo stato di progetto esecutivo e tutto sarà fatto perché essa sia completata entro il 2020 e questa è più che una promessa; è un obbligo nei riguardi di Istituzioni comunali, regionali, nazionali ed europee che credono fortemente nel progetto Cittadella, è garanzia di buona edilizia, prerogativa per buoni investimenti di imprenditori, sfida a un certo sentimento diffuso di cittadini del territorio ai quali forse è stato tanto promesso e poco mantenuto negli scorsi anni.
Per questi e altri mille motivi, in nome di 3.660 compositori che hanno scritto musica nei Campi, per conto di milioni di persone dei popoli più diversi che hanno conosciuto persecuzioni, discriminazioni, prigionia, deportazioni, genocidi e catastrofi umanitarie (che siano morti o sopravvissuti), diciamo oggi; ce la faremo, e questa è una certezza.

Francesco Lotoro