…limite

Sulla sua Amaca (Repubblica, 28 gennaio), Michele Serra dice che oggi siamo migliori di ieri perché ieri di Shoah non si parlava, mentre oggi finalmente se ne parla. E un amico mi dice che è giusto parlarne, perché parlarne serve, si rivisita, si apprende, si approfondisce. Io rispondo che sì, se ne deve parlare, ma serve a poco perché alle manifestazioni per la Memoria ci vanno, assieme a chi presenzia per dovere, coloro che la sensibilità democratica e umanitaria ce l’hanno già viva, incardinata nella coscienza. Gli altri, quelli che non ce l’hanno, rimangono distanti dalle manifestazioni e dai discorsi, scrollano le spalle e continuano la loro vita, magari infastiditi per questi riti che si ripetono ogni anno, come se fossero un privilegio degli ebrei, una concessione alla loro caparbia volontà di far ricordare agli altri la loro storia, la loro tragedia. Così, è più il fastidio che si procura agli indifferenti della solidarietà che si riceve dai simpatizzanti e dai sensibili.
Ma il dovere della Memoria è irrinunciabile. Non ci si può arrendere di fronte alla tentazione dell’oblio. E la Memoria non può essere solo un fatto privato, è doveroso condividerla, anche a costo di procurare agli altri il fastidio di cui sopra.
Praticare la Memoria, però, non significa chiudere gli occhi di fronte alla realtà, di fronte alla destra che avanza in Europa, di fronte alla Polonia che cerca di passare un colpo di spugna sul suo antisemitismo, di fronte al populismo razzista e discriminatorio che in Italia avanza e raccoglie sempre più consensi fra la gente. Le parole del Capo dello stato sono risuonate chiare nella denuncia del fascismo e delle sue colpe, ma la coscienza sociale del nostro paese non sembra ne sia uscita intaccata. Gli antisemiti escono allo scoperto senza pudore, senza vergogna. La sindaca leghista di un paese del varesotto – Cristina Bertuletti, frequentatrice di oratorio – non esita a scrivere su Facebook che “Visto che è il giorno della Memoria…ricordate d’andare a pijarlo ‘nc…”. Lo riporta il Corriere della Sera, ma la cosa non farà certo più scalpore di tanto. Non importa che Salvini intervenga. Il fenomeno non interessa nessuno. Si tratta solo di una battuta. Antisemita, certo, ma che male c’è? Non è più grave di quanto accade sulle curve degli stadi, o dello sfogo razzista del presidente di una squadra di calcio. Non è più grave della strategia di minimizzazione dei crimini del fascismo e della concomitante esaltazione dei suoi presunti meriti.
È la graduale assuefazione che produce, nel tempo, il cambiamento di una prospettiva politica e storica. In fin dei conti, si tratta di fenomeni ridicoli, da baraccone. Anche le uscite razziste dei politici populisti non sono che battute. Le esaltazioni della razza bianca si giustificano perché chi le pronuncia ‘è una brava persona’, e appartiene magari a un partito politico amico. E le minacce antiebraiche dei propal a Milano le giustifichiamo perché quelli, poi, sono amici di altro segno.
Non si ravvisa più la gravità delle parole e degli atti. Ci si rifiuta di riconoscerne la potenzialità venefica.
E poi, a ben vedere, il pericolo maggiore non è l’antisemitismo da baraccone di Casa Pound o di Forza Nuova, o della Lega o dei Cinque stelle, ma quello anti-israeliano dell’islamismo estremista. O dell’islamismo tout court che ci invade.
La verità, piccola ma visibile, è che siamo presi tra due fuochi, e non è dato sapere quale potrà bruciare di più.
Ogni giorno la cronaca aggiunge un tassello che va a formare un mosaico, e non sappiamo quale forma questo mosaico stia per prendere.
C’è un tarlo che tormenta il cervello: come si farà a capire che il limite di guardia è stato raggiunto? Quali ne saranno i segnali, mentre ci sforziamo di dormire i nostri sogni tranquilli, illudendoci che ‘non è il caso di preoccuparsi’?

Dario Calimani