…Polonia

“La storiografia – scriveva il compianto Nicola Gallerano nel suo libro “L’uso pubblico della storia” (FrancoAngeli, Milano, 1995) – è frutto di una ‘tensione’ continua, perennemente riproposta e perennemente irrisolta, ragione del suo fascino e insieme della sua dannazione, ‘tra storia, futuro, profezia’: è un’attività scientifica sui generis, la cui dimensione cognitiva si affianca e si mescola con quella affettiva, intrisa di valori, predilezioni, scelte non o pre-scientifiche.”
La Storia è un testo che si può scrivere e riscrivere, perché non usa un linguaggio specialistico (e quindi è alla portata di tutti) e perché da sempre viene manipolata per dare un senso al presente e a volte al futuro. Stiamo parlando di una questione cruciale, che carica di grandi responsabilità i ricercatori che studiano, interpretano e mettono a disposizione la documentazione seguendo criteri scientifici e non disegni e propositi politici. Attorno alla questione della legge recentemente approvata dal Parlamento polacco, mi pare che sia questo il nodo che andrebbe affrontato e in qualche modo sciolto. Scrivere una legge che interviene in difesa della reputazione dello Stato e della nazione polacca incentrandone l’obiettivo su una scansione cronologica ristretta (parliamo degli anni 1917-1990, con particolare attenzione agli anni del secondo conflitto mondiale) significa compiere una scelta politica netta che limita oggettivamente non solo la libertà di ricerca, ma anche la prospettiva stessa dell’idea di nazione polacca. D’altro canto, la marea di critiche che ha sommerso a livello internazionale questo atto politico-legislativo, si è indirizzata in una sola direzione, mettendo in evidenza sull’onda del caso di Jan T. Gross (l’autore del libro “I carnefici della porta accanto” sul massacro di Jedwabne – Mondadori 2002) le numerose azioni persecutorie attuate da polacchi non ebrei nei confronti di polacchi ebrei a prescindere dalla macchina dello sterminio nazista. Anche in questo caso, mi pare che la sostanza di queste critiche non tenga conto (colpevolmente) di quella che Fernand Braudel chiamava la “lunga durata” dei fenomeni storici. Nel caso in questione bisogna prendere atto che la legge di cui si parla (che è una brutta legge) non si occupa specificamente dei rapporti fra polacchi ebrei e non ebrei, ma è maggiormente indirizzata a esentare la nazione polacca da ogni responsabilità politica e storica attribuibile ai nazisti e ai bolscevichi. Un assurdo storiografico su cui ci sarebbe da discutere, ma in ogni caso l’oggetto della legge è quello, prova ne sia che la cronologia 1917-1990 corrisponde alla storia del regime sovietico. Ma la storia dei rapporti fra ebrei e non ebrei in Polonia, e la stessa storia della Polonia, è molto più lunga, non lineare e articolata. Una lettura, ad esempio, del fondamentale lavoro dello storico britannico Norman Davies, “God’s Playground. A History of Poland” (Oxford University Press, 2005) fornisce al lettore le basi per comprendere quella complessità di esperienze senza la cui conoscenza è impossibile dare un senso agli avvenimenti degli anni 1939-45. Quel che intendo dire è che non ci possiamo permettere di lasciare il palcoscenico ai politici su un tema così cruciale come il nostro passato (e di conseguenza il futuro). Permettere che il ministro degli esteri polacco dica parole offensive in consessi pubblici sugli ebrei che collaborarono con i nazisti, come d’altro canto consentire che altri politici dicano spropositi sui polacchi che avrebbero ucciso più ebrei dei nazisti significa farsi volutamente del male. La mia proposta è quindi questa: studiare per non banalizzare. Tradurre testi, aprire confronti su veri nodi storiografici, e raccontare storie per lo più ignote, come ad esempio quella (eroica e complicata) dell’armata del generale polacco Władysław Anders che con oltre 70.000 soldati contribuì alla liberazione della nostra Italia dal nazi-fascismo. La potremmo già studiare attraverso la bella lettura del romanzo di Helena Janeczek, “Le rondini di Montecassino” (Guanda, 2010). Ma se andiamo a scavare nella sua storia scopriremmo che ne faceva parte Menachem Begin, futuro leader della destra israeliana, e che la storia di questa armata coincide in dimensione dieci volte superiori a quella della Brigata Ebraica. E scopriremmo anche che più di mille soldati di quell’armata erano ebrei polacchi. L’intreccio della storia degli ebrei e di quella dei polacchi è affascinante e profondo, e il conflitto di parole che viene colpevolmente messo in scena in queste settimane sotto gli occhi del mondo è ingiusto prima di tutto e soprattutto nei confronti di quella storia. Che non è lineare, che è fatta di conflitti e convivenze, ma che è e rimane storia da studiare e da raccontare, e non da manipolare.

Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC