Stereotipi

bassanoNiente di più vero, come ha scritto Alberto Cavaglion questa settimana, “il personaggio dell’ebreo in Italia davvero fatica ad uscire dagli stereotipi”. Se la fiction tende a rappresentare l’ebreo ogni qual volta come presuntuoso e avido di potere e denaro – quando non si limita invece a definirlo soltanto attraverso qualche menorah sparsa per casa – non dovremmo poi stupirci dei consueti pregiudizi dell’italiano “medio”.
Eppure non è sempre così. Ripenso a qualche più colto riferimento letterario o cinematografico della post-modernità. Per esempio, ci sono dei casi in autori non ebrei dove personaggi fittizi catapultati in un contesto in cui i principali diritti sono negati si ergono a paladini e custodi della libertà e di idee democratiche.
Il dottor Pereira, l’eroe dell’omonimo libro di Antonio Tabucchi, come è spiegato nella nota, viene così nominato proprio per l’origine ebraica del cognome. In uno dei più entusiasmanti romanzi di Roberto Bolano, “La literatura nazi en América” del 1993, studio critico-bibliografico sugli autori di estrema destra nelle Americhe (in realtà parodistico e fittizio), l’ultimo capitolo è dedicato ad un inventato poeta, Carlos Ramirez Hoffman, omicida al soldo del regime nato dal golpe cileno del 1973. All’interno di questa storia e tra le vittime di Hoffman, compare il mai-esistito Juan Cherniakovski, poeta ebreo e guerrigliero panamericano. Nel film “I Compagni” (1963) di Mario Monicelli, il protagonista, il professor Sinigaglia, ha un cognome inequivocabilmente ebraico e si farà volontariamente carico delle istanze degli operai di una fabbrica di Torino di fine Ottocento con lo scopo di migliorarne le condizioni di lavoro.
Ci sono poi altri esempi più vaghi e meno delineati: Nella “Speculazione Edilizia” (1963) di Italo Calvino, uno dei migliori amici di Quinto Anfossi è il poeta Cerveteri descritto con “una lunga faccia occhiulata in cui s’elidevano malinconici lineamenti israeliti con tratti fiorentini sia dotti che plebei”, una persona colta e intelligente, sebbene nel contesto romanzesco venga relegato all’intellighenzia marxista del tempo, e quindi in aperto contrasto con le nuove mire imprenditoriali del protagonista. Ambiguo rimane poi il ruolo dell’oppositore Emmanuel Goldstein di 1984, spesso paragonato a Lev Trotskij, considerando anche il presunto antisemitismo di George Orwell. Sono un estimatore di Thomas Phynchon, ma nell’ultimo romanzo “Bleeding Edge”, che comunque non ho ancora letto, dalla recensioni pare che l’ebreo sia di nuovo il “potente” e malvagio antagonista.
Forse anche i primi tre esempi di personaggi ebrei che ho citato sono comunque stereotipi, ma sicuramente più “positivi” e ricercati.

Francesco Moises Bassano