L’abito della dignità

Il giovane Haim Cattaneo Treves ha tenuto in occasione del suo Bar Mitzva, lo Shabbat Tetzawweh nella sinagoga di Torino, il discorso che segue.
Vogliamo condividerlo con tutti i lettori e partecipare, con sua mamma, la collega Ada Treves, suo papà, Enrico Cattaneo, le sue sorelle Lea e Mia e suo fratello Tuvia, alla gioia del suo tredicesimo compleanno e dell’assunzione delle sue responsabilità ebraiche.

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Haim Cattaneo TrevesNella Parashat Tetzawweh, che abbiamo appena letto, si parla dei vestiti e degli ornamenti dei Kohanim, i sacerdoti del popolo d’Israele. Si tratta degli abiti speciali che essi dovevano indossare prima dell’entrata nel Tabernacolo.
Era un obbligo talmente importante che il kohen che non li avesse avuti addosso nel momento e nel luogo giusto era passibile di morte per mano del Cielo. E il vestito del Kohen Gadol, il Gran Sacerdote, era assai più ricco di tutti gli altri.
Perché erano necessari abiti speciali per i Kohanim?
Affinché si distinguessero dagli altri uomini. I sacerdoti erano infatti figure importanti. Essi erano scelti per rappresentare il popolo davanti a H. e quindi erano tenuti a una stretta disciplina.
Persone normali che commettono errori vengono sanzionate in un certo modo, ma nel caso dei Kohanim la pena è peggiore.
Essi erano puniti con la morte anche se si presentavano con impurità. L’impossibilità di svolgere il proprio ruolo in caso di impedimento è una pena non meno grave.
I Kohanim sono stati scelti per questo compito e se non sono ammessi a farlo è quasi un tradimento della propria missione.
Oggi il Tabernacolo non esiste più e i Kohanim non sono più in funzione. Tutti noi siamo chiamati a condividere almeno in parte questo ruolo.
L’abito rientra in tutto questo perché le trasgressioni più gravi dipendono proprio dall’abito. Alcune forme di impurità si trasmettono attraverso gli abiti e più in generale, la dignità umana è anche dettata dall’abito che uno porta.
I nostri Maestri raccomandano che ci vestiamo adeguatamente.
Il primo incontro dell’uomo con l’abito è avvenuto con Adamo ed Eva. Prima di mangiare il frutto proibito essi erano nudi, senza provare vergogna. Aver mangiato il frutto dell’Albero del Bene e del Male instillò in loro una sensazione nuova: il pudore.
Se Adamo ed Eva furono i primi a vestirsi, Noè fu il primo a svestirsi, quando si ubriacò. La Torah ci vuole insegnare che esiste una relazione fra l’azione di ubriacarsi e quella di svestirsi. Negativa la rinuncia alla ragione, negativa la rinuncia alla propria dignità.
Un figlio reagì deridendo Noè e fu maledetto. Questo dimostra che chi si diverte a vedere la nudità di un altro è non meno peggio di chi espone la propria.
Gli altri due figli si precipitarono a coprirlo per salvarne la dignità e per non vedere il padre in quelle condizioni andarono a ritroso verso di lui.
Gli abiti meritano rispetto di per sé.
Si racconta che Re David da vecchio non riuscisse a riscaldarsi, nonostante gli abiti che gli venivano fatti indossare.
Da qui imparano i nostri Maestri che chi disprezza gli abiti viene punito proprio con il fatto che gli abiti non lo proteggeranno dal freddo.
Se un povero domanda da mangiare, prima di fornirgli del cibo i distributori della tzedaqah devono indagare se veramente ha bisogno del loro aiuto.
Non così se domanda da vestire. La tutela della dignità personale impone di provvedere senza indugi.
L’abito è uno dei fattori che distinguono l’uomo dall’animale. Questo aspetto è fondamentale, dato che tutto ruota intorno al fatto che l’uomo deve essere consapevole delle proprie azioni.
Di più. Un corpo svestito è un insieme di parti: il busto, le gambe, le braccia, ecc. L’abito ha la funzione di unire le parti del corpo.
È mediante l’abito che la figura umana diviene Una, come Uno è il nostro Creatore.
Fra pochi giorni è Purim. Tutti conosciamo la storia della Meghillat Ester. Il Midrash racconta che la regina Vashtì si rifiutò di comparire davanti al re Achashverosh suo marito e ai suoi ospiti perché aveva ricevuto l’ordine di presentarsi come mamma l’aveva fatta, con la sola corona in testa.
Era una presa in giro della sua dignità.
E la dignità non va messa a repentaglio neppure per ordini superiori.
Voglio ora ancora ringraziare i miei genitori e i miei fratelli per il sostegno e per l’aiuto che mi hanno dato, e rivolgere un particolare ringraziamento a Rav Somekh, con cui studio da qualche anno, e che è stato al mio fianco nella preparazione della parashà.
E grazie anche a tutti voi che oggi siete qui con me.

Haim Cattaneo Treves