Religioni
e civiltà
Il
bilancio di guerra dell’Isis
Facciamo
i conti in casa altrui. Magari anche le pulci. Ancora una volta il vero
problema è capire quanto siano attendibili i pochi dati che si hanno a
disposizione, raccolti dalle Intelligence occidentali. Poiché è parte
della stessa guerra la confusione sui numeri, i valori, le misure. Il
riferimento, ancora una volta, è al sedicente califfato messo in piedi,
tra Iraq e Siria, da Abu Bakr al- Baghdadi. Il quale deve operare su
due fronti: quello militare e quello civile. Nel secondo caso si
potrebbe pensare a una qualche forma di assestamento, ma non è
necessariamente così. Continua a mantenere un discreto seguito nelle
campagne, mentre arranca nelle aree urbane. Sul piano militare, dove
innanzitutto prevalgono le esigenze della forza combattente, la
capacità di assorbimento delle risorse disponibili supera qualsiasi
investimento di altro genere. Dal momento dell’avvio della loro
espansione, i miliziani dello Stato islamico, in circa un biennio,
dovrebbero avere raccolto complessivamente poco meno di un miliardo di
dollari di proventi. La provenienza di questi, si tratta oramai di
fatto risaputo, dipende da molti elementi, tra i quali l’esazione
fiscale, la vendita del greggio sottobanco ma anche e soprattutto la
politica di rapina dei beni altrui. Una condotta, quest’ultima, che si
rivela di breve respiro, poiché aliena le simpatie di chi subisce il
danno. Non di meno, la difficile comprensione delle dinamiche interne
al Daesh sta anche nella rigida centralizzazione del comando, alla
quale - tuttavia - si affianca l’autonomia delle componenti combattenti.
Claudio Vercelli, storico
Pagine Ebraiche, febbraio 2016
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