società
Le tante parole sul velo
Ringraziamo
la Corte di Giustizia di Lussemburgo. Ci ha fornito l’occasione per una
di quelle discussioni che, in Italia, piacciono tanto: confusa, cattiva
e sostanzialmente inutile. Cos’ hanno deciso, i giudici europei? Che
un’azienda privata può imporre ai dipendenti in contatto col pubblico
di evitare simboli religiosi, politici o filosofici. Tra questi, il
velo islamico.
Primo punto: quale? Di «veli islamici» ne esistono tre: il burqa, che
copre interamente il corpo e il volto di una donna; il niqab, che le
lascia liberi gli occhi; e il hijab, che le lascia scoperto il volto. È
il velo che incontriamo spesso, ormai; senza sentirci turbati. Un
foulard, in sostanza. Le monache, le donne sarde e le dive del cinema
anni ’60 l’hanno indossato a lungo, senza destare scandalo.
In verità la sentenza — destinata a diventare un precedente di
riferimento in tutta l’Unione europea — apre più problemi di quanti ne
risolva. Un’azienda privata, a questo punto, potrebbe impedire al
dipendente di esibire un ciondolo a forma di crocefisso, un copricapo
ebraico, un simbolo buddista. I giudici, infatti, sono stati chiari: la
norma non deve essere discriminatoria.
Beppe Severgnini, Corriere della Sera
15 marzo 2017
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